
di Fabio Cavallo
Tra i calvari più rappresentativi dell’area ionico-salentina, senza dubbio quello di Casarano riveste un ruolo di primaria importanza, sia per l’aspetto artistico-architettonico che per quello devozionale.
Edificato a partire dal 1911, sulle fondamenta di un precedente calvario risalente al 1829[1], il nuovo monumentale edificio, progettato dall’Ing. Vincenzo D’Elia (1856-1913) fu fortemente voluto dalla Confraternita dell’Immacolata[2], che da allora ne cura la manutenzione e i periodici restauri.
Addossato sul fianco ovest della chiesa confraternale – tanto da essere un tutt’uno con l’edificio sacro – il monumento, imponente ed elegante al contempo, è articolato da un muro semicircolare sul quale poggia un semicatino absidale a mo’ di copertura[3]. Sul prospetto fanno bella mostra cinque grandi edicole in cartapesta incastonate nel muro, sublimi creazioni del noto cartapestaio leccese Raffaele Caretta (1871-1950), raffiguranti i principali misteri della Passione di Cristo[4].

Il tutto è delimitato da coppie di paraste in ordine ionico sulle quali poggia la trabeazione che si sviluppa per tutto il perimetro del semicatino. Durante l’edificazione del monumento, la nobildonna Olimpia Passero Sylos, baronessa D’Elia dei Flavi (1849-1932)[5], chiese all’amministrazione della confraternita di accollarsi parte delle spese per il completamento del nuovo calvario.

Tale richiesta di compartecipazione ai costi avrebbe rappresentato un sollievo per le casse confraternali e data un’accelerazione ai lavori di completamento che, dopo l’iniziale entusiasmo, avevano registrato un vistoso rallentamento. La pia aristocratica commissionò ad alcuni fabbri locali l’artistica cancellata in ferro che circoscrive il monumento[6], ai cui pilastri del portone fece applicare due targhe in bronzo (Olimpia Passero Fece, 1913 1918)[7].
Ai lati della semicupola furono collocate due imponenti figure angeliche, opera dello scalpellino leccese Sparapane. L’intero monumento fu inaugurato nel 1918.

Successivamente, nel piazzale interno del monumento, la baronessa fece inserire un rigonfiamento fatto di pietre rustiche, nel cui incavo posizionò un’artistica statua di Gesù morto, opera della bottega leccese dei germani Carmelo e Salvatore Bruno[8].

Il Calvario di Casarano rappresenta, ancor oggi, un luogo denso di memoria e di fede. Trovandosi su un asse viario principale, qual è l’odierna via Roma, è d’uopo che, giornalmente, transitino davanti centinaia di auto e di pedoni. E non è raro scorgere fugaci segni di croce che fanno capire quanto importante sia questo luogo per la storia religiosa della comunità casaranese.
Secondo un antico rituale, il Calvario non viene quasi mai aperto al pubblico ad eccezione della sera del Giovedì Santo e della mattinata seguente. In questa occasione, un fiume interrotto di gente si riversa davanti ai cancelli, attendendo con pazienza di scendere nell’angusta grotta dove giace la statua del Cristo morto per una breve preghiera o semplicemente per rispettare una tradizione.
Leggenda vuole che, nel momento in cui la folla si accalca all’ingresso, la baronessa Olimpia (vulgo dicta “Donna Culimpia”) sia presente spiritualmente lì, nell’antro, in atteggiamento orante di fianco al Cristo morto. L’aneddoto potrebbe sembrare come frutto della fantasia popolare se non fosse per una lettera, indirizzata al priore della congrega, custodita nell’archivio dell’Immacolata e scritta da una certa signora Jolanda De Marco, che narra di un sogno, avuto poco tempo prima. La mittente scrive come la baronessa, rattristata e mortificata, le dava il compito di contattare i vertici della confraternita per sollecitare un restauro del Calvario che, in quei tempi, versava in condizioni miserevoli. Inoltre le confidava che era stata destinata da Cristo ad essere perennemente presente nella grotta, attraverso la sua anima, con l’esclusivo compito di pregare. Nonostante il turbamento, la De Marco non diede peso alla visione e mancò alla missione ricevuta. Passati alcuni giorni, la baronessa le venne nuovamente in sogno, con fare ancor più deciso, ordinandole di adempiere all’incarico che le era stato affidato. Presa dall’inquietudine, anche perché non residente in paese in quanto sposata a Corigliano d’Otranto, la De Marco vergò la missiva[9], riportando esattamente le volontà dell’estinta. Ben presto “Donna Culimpia” fu esaudita e si intraprese una generale ristrutturazione del monumento mercé l’intervento dell’amministrazione dell’Acquedotto Pugliese, che, in quei periodi, completava le opere idriche nell’abitato, con l’elargizione di un assegno di £ 100.000 [10]. Per non incorrere negli anatemi della nobil donna, le successive amministrazioni, succedutesi al governo della confraternita, hanno tenuto da conto le periodiche manutenzioni del Calvario [11]. Ed ecco che giunge a noi, integro sotto il profilo artistico e storico, questo sublime esempio di “architettura della pietà popolare” nel quale memoria collettiva e religiosità convergono plasmando l’identità e i valori condivisi del popolo casaranese.
Note
[1] Del calvario precedente ne fa cenno Giacomo Arditi nella sua “Corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto” (1879) nel capitolo riguardante Casarano (pag. 112).
[2] La confraternita fu fondata il 9 aprile 1619 con rescritto del vescovo neritino Mons. Girolamo De Franchis (1581-1635).
[3] Secondo recenti studi, il semicatino è, con ogni probabilità, la prima struttura in cemento armato edificata in città. Il calcestruzzo armato fu introdotto in Italia ad opera dell’Ing. Giovanni Porcheddu, intorno al 1906.
[4] Gli episodi raffigurati, a partire da sinistra, sono: “Gesù davanti a Pilato”, “Gesù flagellato”, “Gesù crocifisso sul Golgota”, “la folla acclama a Barabba”, “Gesù nel Getsemani”.
[5] Olimpia Passero Sylos nacque a Saline di Barletta (l’odierna Margherita di Savoia) nel 1849 da Carlo e Chiarina Sylos, famiglia altolocata di Barletta. Conobbe il barone Marcello D’Elia dei Flavi, nativo di Casarano e, con lui, contrasse matrimonio a Barletta nel 1873. Si stabilirono a Casarano dimorando nel Palazzo D’Elia. Morì a Casarano il 17 febbraio 1932.
[6] Si dice che la cancellata fu forgiata in un laboratorio sito “a retu Pizzimenti”, (dietro le scale dei Pizzimenti) l’odierno vicolo Principe Amedeo.
[7] Il completamento del monumentale Calvario fu motivo per la baronessa D’Elia di onorare la memoria del fratello Gustavo, deceduto al fronte durante la Grande Guerra.
[8] Il laboratorio dei fratelli Bruno di Lecce era collocato in viale Stazione, sempre nel capoluogo salentino. Nel 1933, Salvatore si trasferì a Bari mentre Carmelo continuò a svolgere la sua attività nella città natale.
[9] La De Marco inviò anche una copia al Dott. Leonardo Pispico di Lecce, il quale era genero della Baronessa avendo sposato una sua figlia.
[10] All’epoca l’Ente era amministrato dal bitontino prof. Italo Giulio Caiati (1916-1993), futuro ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno.
[11] Sono attestati restauri del monumento negli anni ’70, nel 2000 e l’ultimo, nel 2013, che ha riguardato il consolidamento della parte muraria che il restauro delle edicole in cartapesta.
Bibliografia e sitografia
Perretti Bruno (2011). Calvari. Architettura della pietà popolare nell’area Ionico-Salentina. Manduria, Barbieri Selvaggi
Mellone, Lucia (2009). I Calvari della provincia di Lecce: architettura e devozione. Tesi di Laurea in Storia dell’architettura Moderna e Contemporanea, Università del Salento, relatore prof. Vincenzo Cazzato.
Palmisano Francesca (2010). Dai sacri monti ai Calvari: architettura e devozione nelle provincie di Taranto e Brindisi. Tesi di Laurea in Storia dell’architettura Moderna e Contemporanea, Università del Salento, relatore prof. Vincenzo Cazzato.
