
Gilberto Spagnolo, Maestri, maestre e scolaresche. Il Memoriale di Maria Ida Marrazzi e la Novoli dell’Otto e Novecento, Quaderni. 3, Società Storica di Terra D’Otranto.
ISBN 978-88-945508-9-4, presentato a Novoli nel settembre 2025.
Fabio Scrimitore
Dalla Prefazione al volume:
Non omnis moriar
La genialità, di cui la natura lo aveva dotato, gli dette il coraggio di opporsi all’evidente caducità della vita, che accompagna nel tempo l’uomo nelle sue peregrinazioni plurimillenarie da occidente ad oriente del mondo. Tutto ciò che nasce sotto il sole è caduco, temporaneo; tutto si estingue col tempo, persino lo stesso tempo, assicurano gli scienziati, un giorno cesserà di accompagnare i perplessi epigoni di Edipo a sfuggire al capriccio dell’onnipossente Fato.
Ma, il grande Ugo Foscolo ha avuto la forza di chiedersi perché mai l’uomo dovrebbe rinunciare alla naturale illusione che lo accompagna nel corso dalla vita, poter fermarsi, anche se spento, sul limitare di Dite, grazie alla sua creazione poetica, o alla sua intuizione scientifica. Con il suo grido: Non omnis moriar, anche il poeta Cesareo Quinto Orazio Flacco si è illuso che non sarebbe morto del tutto: la sua opera avrebbe superato i limiti del tempo vissuto e quello da vivere; nessuno avrebbe cancellato la sapienza ironica della sua creazione artistica, che è rimasta integra, almeno nella memoria delle persone che amano l’arte.
La consolante intuizione che non ammetteva che potesse essere precluso all’uomo di genio almeno un modo per superare i limiti della caducità con la forza dell’ingegno, prima che in Orazio, era fiorita fra le regioni generose, note per la mitezza del clima dell’Egeo, dove storiografi di indimenticata memoria hanno saputo comporre opere d’arte che lo stesso poeta di Venosa ha definito monumenti non meno indistruttibili di quanto possa esserlo il bronzo, con il quale il Poeta ha ricostruito per le generazioni del futuro la storia da cui sarebbe nata la civiltà di quelle terre fortunate grazie alle mitiche ispirazioni elargite dalle nove abitatrici del nebbioso Parnaso.

Non era, peraltro, accettabile che restassero avvolte nel silenzio del tempo le inverosimili gesta degli eroici popoli liberi delle città-stato dell’Attica e del Peloponneso, che sono riusciti a difendere la loro libertà dagli appetiti di conquista di grandi imperi, forti di eserciti di decine e decine di migliaia di armati, sorti intorno, o poco lontano, dall’Egeo e dalle semi-aride terre della Mezzaluna fertile. E la genialità poetica di Omero, divenendo modello per i suoi epigoni, con versi imperituri ha saputo affidare alla memoria di tante generazioni venute nei secoli successivi i nomi, le aspirazioni, le ansie d’un affettuoso padre guerriero, che non resiste all’impulso primigenio di salvare la sua patria, lasciando il tenero figlioletto fra le braccia della mamma in lacrime, nella vuota, grande piazza di Troia, correndo alle minacciate porte Scee, per difendere la storica città di Priamo e le fortune del suo popolo. Anche oggi lo stesso Foscolo commuove con i suoi versi: E tu onore di pianti, Ettore, avrai, / ove fia santo e lacrimato il sangue/ per la patria versato, e finché il sole/risplenderà sulle sciagure umane. Con l’eroico Padre del piccolo Astianatte anche il grande aedo cieco si è guadagnato con i suoi versi la riconoscenza di tanti suoi lettori futuri.

Con le vivide pagine, composte dai grandi narratori di storia e dai protagonisti della storia dell’arte, e con la costanza e la passione della ricerca certosina di documenti salvati nelle biblioteche d’ogni tempo, la storiografia restituisce merito sociale ed intellettuale e, insieme, riconoscenza, ai nomi ed alle opere di coloro che dedicano la loro passione intellettuale alla ricostruzione degli eventi del passato. Fra le polverose pagine emerse dalla polvere della dimenticanza dei secoli trascorsi, possono sempre riemergere notizie, dati e reperti che potranno far ricostruire il profilo sociale di personaggi pubblici o privati che, con la vita e le loro opere, avranno potuto contribuire alla caratterizzazione delle tante comunità, aggregate nel tempo intorno a sacri, antichi campanili, comunità che hanno dato origine ai grandi raggruppamenti sociali, protagonisti della grande storia.
Se si cerca una relazione di valore culturale fra l’azione discreta, realizzata dai cultori di storia patria nei limitati contesti delle comunità locali con le opere omologhe dei personaggi che compongono il grande canone degli autori classici, i cui scritti impreziosiscono le pagine dei testi scolastici, si potrà dedurne una riflessione che potrà contribuire a riconoscere il merito dei ricercatori che operano nei propri luoghi d’origine. Infatti, come il piccolo strumento musicale di pochissimi decimetri di lunghezza, quale è lo sfuggente ottavino, fratellino minore del flauto, concorre con la limpidezza melodica dei suoi trilli a dar completezza all’armonia dell’intera orchestra sinfonica, allo stesso modo l’opera e la vita artistica d’un ricercatore di storia patria, potrà dar completezza alla caratterizzazione storica delle comunità sociali di appartenenza.
Fra queste comunità un fortunato Paese di appena 4000 anime, sorto nel corso del XVI secolo all’ombra spiritualmente protettiva d’un incompleto, turrito campanile e d’un’austera magione post-feudale, culla di illustri mecenati, e d’una biblioteca ricca d’opere d’arte, di incunaboli e di apprezzati manoscritti d’autore, quel vivace paesino, animato da intelletti non dimenticati, attendeva di veder percorrere quotidianamente le proprie stradine una vivace insegnante, Lucia Garbocchi. La maestrina, orgogliosa concittadina di Vincenzo Monti, ad appena 20 anni, avrebbe lasciato la sua Alfonsine, cittadina della pascoliana Romagna, vincitrice d’un posto di insegnamento nella scuola elementare.
Nel tempo in cui il sistema educativo nazionale si trovava nello stato di crisalide, nel quale la bella farfalla non possiede ancora né la forma, né la varietà dei colori che la natura sa produrre, l’insegnamento non poteva assorbire tutte le potenzialità didattiche d’una maestrina, la quale avrebbe dimostrato poi di considerare l’insegnamento alle bambine delle classi della scuola elementare una missione sociale vincolante, non meno di quanto lo sia la missione che assume la persona consacrata con il crisma. E l’insegnamento nei paesi del vecchio Regno delle due Sicilie, divenuto nel 1861 regno d’Italia, richiedeva effettivamente uno spirito missionario.
Un regno costituito da pochi decenni con il concorso di tante e dissimili componenti statuali del tempo della pre-unificazione nazionale, non poteva avere molte possibilità di dedicare energie sufficienti a programmare e finanziare adeguatamente un sistema educativo rivolto a popolazioni composte in gran parte da persone che non avevano potuto fruire del beneficio dell’istruzione. Le limitate risorse dell’Erario servivano, in primo luogo, per sostenere le necessità dell’Esercito e della Marina, cui competeva il sacro dovere di completare il lungo processo di unificazione della nazione, iniziato con successo con la seconda guerra d’indipendenza.
Soprattutto la lontananza dai centri europei di elaborazione delle idee illuministiche, che avevano esortato gli Stati ad includere fra gli obblighi primari ed irrinunciabili delle pubbliche amministrazioni quello di garantire a tutti il diritto-dovere all’istruzione, aveva lasciato il Meridione d’Italia in condizione di preoccupante arretratezza culturale. Alla formazione scolastica delle classi sociali meno fortunate aveva cercato di porre un qualche argine il clero più illuminato, al quale si affiancò gradualmente una generosa, limitatissima schiera di persone, titolate ad insegnare nelle classi della scuola elementare dalla frequenza della Scuola Normale Statale, che, dopo qualche decennio, avrebbe assunto il nome di Istituto Magistrale.
Restano benemeriti gli insegnanti e le loro colleghe che, con compensi molto modesti, hanno saputo integrare l’azione educativa del Ministero dell’Educazione Nazionale, non soltanto con l’insegnamento attivo, ma spesso offrendo agli alunni gli ambienti delle abitazioni proprie, divenute improprie aule scolastiche.


Fra i benemeriti insegnanti che hanno aiutato i bambini di Novoli a verificare con le loro prime esperienze di apprendimento formale quanto sia utile e bello saper leggere e scrivere, un fortunato giorno del 1872 è apparsa la solerte maestrina di Alfonsine, con lo stesso entusiasmo professionale e con la medesima coscienza deontologica con cui, cento anni dopo, molti giovani laureati della cittadina cara a Sant’Antonio Abate, hanno raggiunto le scuole primarie e secondarie di tante province italiane, per garantire ai ragazzi ed ai giovani di quelle terre di poter fruire del diritto all’istruzione. Insegnava a scolaresche a cui dovette insegnare, per primo, “l’idioma gentile” dopo lunghi esercizi di traduzione dal vernacolo”.
Alla maestra di Alfonsine, signora Lucia Garbocchi – Marrazzi, sarà riconosciuto il titolo di fondatrice dell’insegnamento primario in Novoli, conseguendo la Medaglia d’oro, concessale dal Ministero dell’Educazione Nazionale il 15 maggio 1915; avrebbe concluso quasi novantenne la sua apprezzata esistenza il 27 luglio 1937.

Ultima nata dei dieci figli della generosa maestrina ravennate, Maria Ida Marrazzi avrebbe continuato la tradizione materna a beneficio delle bambine e dei bambini della generosa terra di elezione della madre. Lo ha fatto nel modo che le è stato più congeniale; fra le inclinazioni materne erano ben evidenti la chiarezza e l’eleganza della scrittura, la passione per l’insegnamento e la ricostruzione, per grandi linee, della storia della scuola nazionale e della piccola storia della scuola di Novoli.
Forte di queste non comuni doti, la maestra Maria Ida Marrazzi ha composto un memoriale che, partendo dal tempo dell’estensione della legislazione sulla scuola del Regno di Sardegna ai territori della nuova Nazione, unificata nel 1861, ha descritto il progressivo impegno con cui il nuovo Stato Italiano ha avviato il lungo processo tendente al superamento delle difficili condizioni nelle quali l’analfabetismo imperante aveva lasciato le popolazioni italiane. Si è visto così riconosciuta, per la prima volta, dall’ordinamento giuridico statale l’istruzione come diritto soggettivo perfetto della persona e, nello stesso tempo, come dovere dello Stato e delle comunità pubbliche periferiche, di rendere effettivo tale diritto ai cittadini, con la gratuità della frequenza scolastica e con la disponibilità di aule funzionali all’apprendimento e dotate delle idonee suppellettili. La definizione di scuola di empirismo, coniata dall’appassionata autrice del “Memoriale”, appare sapientemente adeguata a descrivere lo stato della didattica del tempo, affidata alla generosità non soltanto delle mescie, titolate dalla sola esperienza della scuola informale, ma soprattutto alla buona volontà di sapienti sacerdoti, spinti dalla sensibilità di illuminati intellettuali, a far recuperare alle nuove generazioni quel che l’insensibilità dei tempi trascorsi aveva obliterato; scrive coraggiosamente al riguardo Maria Ida Marrazzi: “La Chiesa, obliterando verità scientifiche e perseguendo i banditori di quelle (verità: n.d.r.) aveva favorito le tenebre dell’ignoranza”.

Dopo 45 anni di insegnamento, Maria Ida Marrazzi ha potuto fregiarsi della Medaglia d’Oro, che le è stata conferita dal Ministero della Pubblica Istruzione, nel corso d’una solenne, partecipata manifestazione, che si è svolta il 7 novembre del 1957 nell’Aula Magna della sua città di adozione, alla presenza del Provveditore agli studi e delle Autorità comunali.


