Agar nel deserto del Solimena… persuasa a non tornare indietro a Tutino! 

Dipinto originale del ‘600 attribuito a Francesco Solimena detto Abate Ciccio trafugato nella notte del 21 maggio 1982 (foto in b/n tratta dal Cat. gen. Soprint. Beni Storici Artist. ed Etnoantrop. di Puglia)

 

di Fabrizio Cazzato

Ricorre quest’anno il quarantesimo anniversario del furto della pregevole opera pittorica  “AGAR nel DESERTO” (persuasa dall’Angelo a tornare indietro), attribuito al maestro napoletano Francesco Solimena  (*1657- +1747), conosciuto anche con il nome di Abate Ciccio, trafugata da ignoti nella notte del 21 maggio 1982 nella chiesa di San Gaetano di Tutino.

La tela, in dote alla corposa collezione dei Principi Gallone di Tricase, che molta influenza ebbero nella società partenopea sia nell’arte che nel commercio, venne donata alla venerabile confraternita dell’Immacolata e S. Nicolò in Tutino dal padre spirituale don Giuseppe Gratis nel 1889 e successivamente restaurata nel 1896, dato non poco rilevante che già evidenziava, presumibilmente, uno stato di conservazione del dipinto non proprio buono.

Il programmato restauro e l’imminente traslazione del dipinto presso un laboratorio di Belle Arti di Puglia, trovò il disappunto dell’allora consiglio di amministrazione della confraternita dell’Immacolata proprietaria dell’opera, che per paura di riceverne una copia in cambio dell’originale, fece trattenere il dipinto nella sua sede originaria di S. Gaetano.

Prospetto Chiesa di san Gaetano – Tutino – sede della Confraternita dell’Immacolata e s.Nicolò. (foto trattta dal sito uff. del Comune di Tricase)

 

Con stupore, dopo alcuni giorni, si notò la grande cornice appesa sulla parete destra della chiesa (per intenderci sullo stipone della statua lignea di S.Gaetano) senza la tela che era stata asportata dal telaio e che a Tutino non fece mai più ritorno.

Francesco Solimena operò nella città partenopea nel XVII secolo, entrando in contatto con altri grandi pittori del periodo barocco come Luca Giordano e Mattia Preti,  acquisendo un alto livello artistico espresso nei suoi capolavori ricercati e commissionati dalle più importanti Casate del tempo.

Nell’agosto del  1995 in occasione della riapertura al culto della chiesa di S.Gaetano, dopo un radicale restauro durato un anno, la confraternita dell’Immacolata commissionò al pittore prof. Roberto Buttazzo da Lequile una copia del dipinto “Agar nel deserto”, in sostituzione di quella originale e posizionata nella stessa cornice per l’occasione restaurata.

Dipinto “Agar nel deserto” del maestro prof. Roberto Buttazzo da Lequile 1995 – Chiesa san Gaetano Tutino – Foto di Fabrizio Cazzato

 

Dopo quarant’anni AGAR  attende di essere ritrovata e di ritornare nel suo luogo di appartenenza.

Da questa vicenda forse impareremo a capire e amare l’arte, perché solo una comunità consapevole del proprio patrimonio sarà in grado di custodirlo, proteggerlo e trasmetterlo alle future generazioni.

 

Bibliografia

R.Baglivo, La Confraternita dell’Immacolata nella Cappella di San Gaetano di Tutino, Congedo Editore, Galatina 1996

Tutino e la Madonna delle Grazie

di Fabrizio Cazzato
Nonostante tutto….il paese è in festa!
Un po’sottotono, con cautela, con disagio e con la paura del contagio che tutti noi avvertiamo, sono iniziati i festeggiamenti in onore della patrona – titolare della nostra Comunità di TUTINO, la Madonna delle Grazie, che nella settimana dopo Pasqua, da diversi secoli, ininterrottamente si svolgono con grande fermento e devozione.
Certamente non potrà essere come negli anni passati e speriamo che non sia come un lontano ricordo, ma ci auguriamo invece che presto tutto torni alla normalità, affinchè possiamo esprimere al meglio i nostri momenti essenziali della festa: fede e gioia le cui convivenze trovano il loro momento celebrativo.
La gara della cuccagna che si teneva negli anni passati
Perché la nostra festa esprime da sempre una devozione antica, profonda e gioiosa, radicata nella vita delle nostre famiglie e di quanti condividono con noi questo momento comunitario importante.
Perciò custodiamola, non lasciamo che questo tempo che ci ha messo tutti alla prova si permetta di cancellare tutto ciò che abbiamo ricevuto, custodito e valorizzato. L’ augurio più sincero va a tutti noi per vivere in pieno questi giorni di giubilo senza dimenticare chi, per tanti motivi, non potrà farne parte o non è più tra noi.
Nonostante tutto…è festa!!!
Buona festa della Madonna delle Grazie ai Tutinari residenti e lontani, ai devoti e a quanti ne portano il nome.

L’organo a canne “Vincenzo De Micheli” della chiesa parrocchiale di Tutino

Tutino

 

di Fabrizio  Cazzato

La nota informativa, apparsa sul blog della fondazione, sul recente restauro di un antico organo a canne di una chiesa del nostro Salento (1) mi ha dato lo stimolo per presentare un breve cenno storico sull’organo custodito nella chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Grazie di Tutino (fraz. di Tricase).

Premesso che l’organo è uno strumento antichissimo utilizzato in Egitto già alcuni secoli prima di Cristo (funzionante con un sistema idraulico per evolversi in uno strumento ad aria) e successivamente a partire dall’VIII secolo d. C. utilizzato nella civiltà romana e nell’area mediorientale per celebrare le grandi festività pubbliche, venne via via perfezionato cominciando a raggiungere una larga diffusione soprattutto a partire dal  XVII secolo tanto che ogni chiesa ambiva di averne uno per rendere le funzioni liturgiche più solenni.

 

Nella piccola chiesa parrocchiale di Tutino, nella cantoria a balconata posta sulla porta d’ingresso principale, dalla quale si accede da una strettissima e ripida scala ricavata nelle mura perimetrale, fa bella mostra di sé un organo a canne di antica costruzione , per molti anni lasciato in disuso e senza alcuna manutenzione di cui questi maestosi strumenti hanno bisogno.

Purtroppo la mancanza di risorse e l’impegno di ripristinare ciò che il lungo tempo trascorso aveva alterato in maniera profonda, sia le canne che la struttura meccanica dell’organo, nel 2015 si è reso necessario un radicale restauro per poter rendere l’opera nuovamente fruibile grazie all’impegno del parroco e con il contributo dell’intera comunità di Tutino.

Un lavoro svolto con grande professionalità e competenza ad opera della ditta organaria “Nicola Puccini” di Pisa il quale pur non avendo trovato all’interno alcuna firma del costruttore ha tuttavia confermato, dopo una comparazione con altri organi della zona, di attribuire l’opera al magliese organaro Vincenzo de Micheli, databile al 1868/69. Infatti una nota del verbale della Giunta Municipale di Tricase datata 21.10.1868, conservato negli archivi comunali, conferma la necessità per la chiesa parrocchiale di Tutino di avere un  nuovo organo  perché quello esistente ormai non funzionante. Si legge difatti: “… la Giunta Municipale del 21.10.1868, in seguito alla richiesta di contributo presentata dal Parroco della Borgata di Tutino, per la costruzione del nuovo organo della chiesa parrocchiale, essendo l’attuale ormai consunto dall’annosità, delibera di doversi assegnare al Parroco suddetto lire cento, da servire per la costruzione dell’organo”(2).

Questo importante documento ci informa dell’esistenza di un organo ben più antico, sicuramente realizzato tra i secc. XVII/XVIII, e dal quale sicuramente sono stati recuperati i pezzi in buon stato di conservazione per la costruzione del nuovo.

Tutino

 

È suddiviso in tre campate, divise da lesene decorate con motivi ornamentali in legno intagliato e dorato di impostazione barocca, con 25 canne di facciata in stagno distribuite a cuspide e munito di due antine che chiudono il mobile in legno di noce dipinto. Essa è divisa in due parti: in quella inferiore sono alloggiati i due mantici e i canali portavento, in quella superiore invece trovano posto le meccaniche, il somiere e le canne.

La tastiera manuale costruita in osso e noce verniciato di nero consta di 55 tasti e una pedaliera di 13 note costruite tutte in legno e collegate al somiere; sul lato destro della tastiera vi sono i comandi dei registri su due file rispettivamente di due e sei tiri con pomellini in ottone.

 

Le 345 canne, tutte originali, attualmente alimentate da un nuovo elettroventilatore sono in stagno (di facciata), piombo (quelle interne) e di legno di abete verniciato di rosso capaci di imitare, con un effetto speciale, il suono della Zampogna che lo rende unico nel circondario.

 

Dopo anni di oblio quest’organo è ritornato a regalarci la sua armonia nei giorni festosi e solenni e a raccontarci la sua storia; in un certo senso ha riacceso in noi un interesse nostalgico di valorizzazione di quanto, in questi ultimi decenni, avevamo accantonato e orgogliosamente possiamo dire che anche un piccolo borgo come Tutino ha potuto contribuire al grandioso e straordinario patrimonio artistico e culturale del nostro Bel Paese.

 

Note

 (1) https://www.fondazioneterradotranto.it/2020/02/22/racale-restauro-dellorgano-a-canne-ottocentesco/

(2) ricerca d’archivio condotta dal dr. Sergio De Blasi.

Le foto sono dell’Autore.

 

L’opera e il suo doppio. Per un’attribuzione a Maria Rachele Lillo

di Franco Contini

Dopo la recente ricomparsa di un prezioso disegno di Vincenzo Ciardo, del quale non se ne sapeva l’ubicazione e conosciuto solo attraverso una pessima riproduzione fotografica, una nota casa d’aste europea continua a riservare sorprese per la storia dell’arte in Puglia. Nello specifico riguarda un’opera della pittrice Maria Rachele Lillo (Ruffano, 1768 – Lecce, 1845), una delle rare, per l’epoca, artiste donne di questa terra.

Cominciamo dicendo che alle ore 20:10:31 del primo Aprile 2020 è stato aggiudicato un dipinto passato in asta come “Anonimo: Sacro Cuore di Gesù Bambino”.

 

Si tratta di un dipinto ad olio su tela di cm. 55×40, proposto come [Quadro della tradizione popolare, probabilmente ispirato al dipinto “Bottega siciliana secc. XVIII-XIX. Dipinto del Sacro Cuore di Gesù Bambino” presente nell’inventario dei beni storici e artistici della Diocesi di Piazza Armerina (Sicilia, Italia). Ex voto con iscrizione sacra “Dolce Cuore del mio Gesù, fa ch’io vi ami sempre più”… Proveniente da collezione privata].

Verosimilmente, saranno state queste presunte peculiarità a spingere l’acquirente a rilanciare, concitato, più volte la posta fino ad aggiudicarsi il lotto.

Abbiamo cercato, ed in fine trovato, il dipinto a cui si fa riferimento nella scheda di presentazione della casa d’aste, e sulla quale poggia l’attribuzione dell’opera “Sacro Cuore di Gesù Bambino” alla “Bottega siciliana”. Ce lo ha fornito l’inventario dei beni artistici e storici della Diocesi di Piazza Armerina (la piccola città della Sicilia centrale, più famosa per lo splendore dei mosaici ed i resti di una grande ed incredibile villa romana), nel quale inventario è schedato un dipinto dal titolo “Madonna con Gesù Bambino e Sacro Cuore”, un olio su tela di cm. 94×70, dichiarato “di ambito Italia centrale sec. XIX, Bottega Umbra”.

 

Effettivamente, al confronto risulta evidente, nelle due tele, la similitudine anatomica nella parte superiore della figura di Gesù dove il busto, le braccia e la testa denotano la stessa, identica gestualità, mentre la parte inferiore si differenzia per le inconfondibili posture: seduto nella prima opera e, nella seconda, in piedi sulle ginocchia della Madre seduta che lo indica al mondo.

Fin qui, sembrerebbe non fare una piega il ragionamento sull’assegnazione alla Bottega siciliana dell’opera venduta all’asta. Esiste però una terza opera che non solo smonta in maniera inoppugnabile e definitiva la tesi della “Bottega siciliana” riconducendola, di fatto, alla Scuola pugliese e che, senza equivoci, rende certa anche l’autografia del dipinto il quale, pur non essendo firmato, è da assegnare senza ombra di dubbio, così come abbiamo accennato nell’introduzione, alla salentina Maria Rachele Lillo.

 

L’opera è dipinta ad olio su tela e misura cm. 56×37, quasi le stesse misure del dipinto battuto in asta. Allocata nella chiesa matrice di Tutino, frazione di Tricase (Lecce), fa parte dei beni storici e artistici della Diocesi di Ugento.

La totale, e chiara, sovrapponibilità del disegno compositivo, dell’una e dell’altra opera, conferma l’ipotesi che Maria Rachele non disdegnasse dipingere i suoi soggetti utilizzando ripetutamente i medesimi cartoni preparatori apportando, di volta in volta, solamente lievi modifiche: quella più evidente, tra le due opere, è l’assenza in una e la presenza nell’altra del cuore (che insieme alla catena d’oro è l’attributo iconografico del soggetto rappresentato), pendente dalla catena che Gesù regge tra le mani. Identica è pure la didascalia apposta alla base che si differenzia invero nella stesura testuale: “Dolce catena tiene = In mano il mio Signore / E lega col suo Cuore, = Un cuor che lo ferì”.

Simile è la tavolozza cromatica e la stessa timbrica tonale. Uguali sono la fonte luminosa proveniente da sinistra e le ombre. L’incarnato è reso con il consueto, solito, effetto luminoso, di un rosato chiaro ottenuto da sintesi tonali che sfumano in leggerissime ombre, quanto basta a dare il senso della tridimensionalità corporea e la resa dei dettagli anatomici.

Sul petto è posto l’attributo iconografico principale: il Cuore infiammato coronato di spine e sormontato dalla Croce.

Sul viso è fissata l’espressione di una grazia accogliente e rassicurante, quella grazia con cui Maria Rachele Lillo si distingue e con la quale, in fondo, si distingue dagli altri artisti a lei coevi.

A sinistra, in alto, fanno capolino due testine alate (delle quali diremo dopo) riscontrabili in altri suoi dipinti e che, in particolare, abbiamo notato nel dipinto “Sacro Cuore di Gesù con l’Immacolata e San Giuseppe” collocato nella chiesa matrice di Sant’Eufemia, altra piccola frazione del Comune di Tricase (Lecce).

 

Quest’ultima opera, datata 1833, così come attualmente appare, non è certamente da annoverarsi tra le meglio riuscite a Maria Rachele (probabilmente perché umiliata da ripetute ridipinture) però ci consente di ipotizzare il periodo di esecuzione delle due telette caratterizzate da un forte simbolismo che affonda le radici nel Vecchio Testamento e nei Vangeli di Luca, Matteo e Giovanni.

In entrambe i dipinti la figura di Gesù Bambino si staglia su un fondo scuro ma comprensibilmente collocata in uno spazio di verzura. È una evidente allusione all’orto del Getsèmani sul Monte degli ulivi dove Gesù si ritirò per pregare pronunciando le parole: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Luca. 22, 39-46) e ( Matteo. 26, 39-49). Gli apparve un angelo dal cielo per confortarlo prima di essere arrestato, tradito da Giuda Iscariota.

Maria Rachele sceglie dunque di raffigurare Gesù Bambino nel paesaggio di un giardino, l’orto del Getsèmani e, cosi facendo, carica la rappresentazione di chiari significati simbolici.

In primo piano, a sinistra e a destra, si staglia un tripudio botanico di foglie e fiori che rafforzano e sostengono cromaticamente il colore del mantello regale (preludio anch’esso alla Passione e Morte ed alla Resurrezione di Cristo) che avvolge il corpo di Gesù Bambino e ne enfatizza la sacra dignità.

Maria Rachele sceglie anche di non rappresentare l’angelo mandato da Dio secondo i racconti di Luca (22, 43) a confortare Gesù prima che iniziasse il supplizio ma, colloca, nella scena in alto a sinistra, due cherubini alati.

Secondo la gerarchia angelica i cherubini sono collocati con estrema vicinanza a Dio. Hanno una sola faccia e due ali. Nell’Antico Testamento si legge: “Li io mi i contrerò con te; dal propiziatorio, fra i due cherubini che sono sull’arca della testimonianza, ti comunicherò tutti gli ordini che avrò da darti per i figli di Israele”. (Esodo. 25, 18-22) ed in (Giovanni. 17, 6-8).

Nella raffigurazione dei due dipinti i cherubini rappresentano dunque il diretto intervento di Dio Padre Onnipotente per consolare il proprio Figlio.

Maria Rachele non raffigura l’angelo mandato da Dio secondo il Vangelo ma, due cherubini, tra i quali sta Dio, secondo l’Antico Testamento. Cioè, pone in essere un’iperbole iconografica e insieme iconologica che ne amplifica il significato ed il significante.

Al momento non ci è dato conoscere la reale formazione culturale di Maria Rachele Lillo. Molto avrà influito su di lei frequentare la bottega del padre Francesco Saverio ma, la dimestichezza e la perspicacia, o l’acume, con cui ha affrontato, e risolto, le problematiche della rappresentazione del soggetto dei dipinti in questione, ci suggerisce che la conoscenza dei testi sacri non le era affatto estranea.

Ci avviamo alla conclusione annotando inoltre che, pur conservando il medesimo impianto disegnativo, le due tele presentano una differente tecnica esecutiva nella stesura della materia pittorica riguardante la flora, particolarmente nelle rose.

Ciò induce ad ipotizzare anche l’intervento di un’altra mano, presumibilmente quella di un aiuto di bottega che, al momento, resta a noi sconosciuto.

Rimane da chiosare chi ha preso da chi, tra l’Anonimo di Piazza Armerina e Maria Rachele Lillo o, da chi, entrambe gli artisti, ipoteticamente potrebbero avere attinto. È risaputo, d’altronde, che le riproduzioni delle opere dei grandi maestri circolavano tra gli artisti attraverso le stampe calcografiche divenendo, talvolta, veri e propri modelli a cui ispirarsi o da cui trarre spunto. In fondo, né più e né meno di quanto accade oggi con certa arte contemporanea, in maniera molto più amplificata ed estesa, per via dei potenti e rapidi sistemi di informazione e di divulgazione a portata di mano o, per meglio dire, di click.

Fede e tradizione nella settimana santa a Tutino

di Fabrizio Cazzato


La Settimana Santa è una delle ricorrenze dell’Anno Liturgico più sentita e celebrata nelle varie parrocchie e chiese confraternali della nostra città di Tricase. Il momento più suggestivo delle celebrazioni religiose esterne si ha nel corso della giornata del Venerdì Santo, con la processione dei Misteri avviata dalla chiesa di San Domenico; anche il Venerdì antecedente la Domenica delle Palme, quello denominato di Passione o dei Dolori, vede la comunità di Tutino recarsi in silenzioso raccoglimento con la statua dell’Addolorata alla chiesetta extraurbana della Pietà.

Grazie alla solerte organizzazione delle nostre Confraternite si può constatare una fattiva partecipazione ai santi riti degli iscritti ai pii sodalizi e dell’intero popolo tricasino.

Le sei Confraternite attive di Tricase contano ormai, rispetto al passato, pochi aderenti, per lo più anziani e il cambio generazionale è molto lento e faticoso. Tuttavia queste aggregazioni laicali cercano in tutti i modi di testimoniare la fede guardando al futuro, resistono alla globalizzazione culturale presente e non dimenticano il passato con le loro tradizioni e la loro storia plurisecolare.

Alcune di esse, fondate verso il XV secolo, quindi prima della Controriforma del Concilio di Trento (1545-1563), sono scomparse e forse riaffiorate nei secoli successivi.

La confraternita più antica di Tricase (e della Diocesi di Ugento) è la Congregazione laicale dell’Immacolata e San Nicolò di Tutino, già presente  nel “500 di cui il testo redatto  delle regole ai confratelli nel 1649 risulta essere il più antico che si possa conoscere delle Diocesi dell’estremo Salento.

Essa ebbe anche una forte azione moralizzatrice della sua attività religiosa, devozionale e penitenziale, espressa attraverso la preziosa rappresentazione della Passione di Cristo, raffigurata in ventiquattro formelle del bellissimo affresco recentemente restaurato, consistenti nella recitazione visiva dei testi evangelici della Passione di Gesù.

Questo tipo di devozione personal-popolare, che solitamente si svolgeva negli oratori confraternali, fu via via sostituite da vere e proprie performance recitative (tragedie), fino a giungere alle processioni con le statue raffiguranti i vari personaggi della Passione, Gesù Cristo e l’Addolorata.

Quest’ultima è la protagonista assoluta del Venerdì Santo. Con il lungo velo poggiato sulla testa e il suo voluminoso abito nero, sfila nel suo incedere lento tra le orazioni dei fedeli, per le vie della nostra città.
Sarebbe opportuno osservare con degna nota la statua “ a manichino “ dell’Addolorata conservata nella chiesa di San Gaetano di Tutino (sede della Venerabile Confraternita dell’Immacolata e san Nicolò), la quale appartiene alla vasta produzione della statuaria processionale pugliese e che ricalca in un certo modo i ricami a caratteri profani delle madonne vestite della Catalogna e dell’Andalusia spagnola.

Tale genere di statuaria è conosciuta col termine di “Madonna vestita” (tra queste ricordiamo la statua della Madonna Immacolata in S. Angelo e le statue della Madonna del Rosario e dell’Addolorata in San Domenico), in quanto leggera e maneggevole, destinata all’uso processionale e che veniva generalmente portata dalle donne.

Il più diffuso modello del genere è la statua della Madonna (ma ci sono anche statue di santi), realizzata in legno o cartapesta per quanto riguarda testa, braccia e mani, mentre il corpo è un semplice “manichino vestito”.

In prossimità dei riti pasquali, la statua viene sottoposta al rito della vestizione; l’evento commovente è un rituale privato e quasi segreto, privilegio di poche consorelle (e in alcuni casi di una sola). Le donne si riuniscono intorno alla statua spogliandola, togliendole l’abito giornaliero, facendole indossare (a partire dalla biancheria intima) gli abiti solenni e sontuosi della cerimonia.

L’abito  finemente ricamato in filo d’oro e pietre preziose dell’Addolorata di Tutino, indossato in occasione dei riti della Settimana Santa appartiene alla tipica tradizione sartoriale della manifattura salentina ottocentesca. Venne realizzato da tal Teresina da Taranto agli inizi del ‘900 e commissionato per devozione di Addolorata Alfarano.
Amorevolmente custodito dalla Confraternita l’abito della Vergine, in raso di seta nera, è costituito da un’ampia gonna e da un corpino; su di esso si sviluppa un ricamo in oro eseguito con punto steso e punto lamellare con disegni floreali a racemi e volute, di chiaro rimando alle forme rinascimentali. Sul petto è mostrato in evidenza un cuore trafitto da una spada in gemme rosse.

Il volto sofferente ed intenso ha un roseo incarnato (sicuramente lucidato a cera) e la sua triste bellezza è segnata da lacrime realizzate in resina, tanto da far brillare i suoi occhi in pasta vitrea; il lungo velo, poggiato sulla testa, nasconde una vera capigliatura legata a treccia. L’abito è completato da un velo in seta nera, realizzato nello stesso periodo, con puntina da piccola frangia in oro, sul quale si distribuiscono alcune stelle ricamate in filo oro a punto lanciato.

Grazie all’impegno e alla dedizione della signora Maria Meraglia,  con la collaborazione della confraternita stessa, in occasione della visita dei “sepolcri” del giovedì santo, è quasi un obbligo per i fedeli sostare in preghiera anche al cospetto della Pietà, allestita nella chiesa di san Gaetano a Tutino (foto in basso).

l’esterno della chiesetta di Tutino innevata (2017) (tutte le foto sono di Fabrizio Cazzato)

Santi in edicola, edicole di Santi… da salvare

Edicola votiva con San Martino, borgo antico, Tutino
Edicola votiva con San Martino, borgo antico, Tutino

 

di Fabrizio Cazzato

Ambiente e beni culturali, un connubio inscindibile in Italia, eppure troppo spesso non valorizzato  pur se negli ultimi decenni è cresciuta la sensibilità e si sono attivate strategie di tutela anche attraverso le nuove tecnologie. Ma tutto ciò non basta.

Dal Salento  dialoga nel segno della bellezza una civiltà fatta di pietre, di segni e di colori che ha saputo modellare il nostro territorio. Pensiamo alla dolcezza delle Serre Salentine, alle distese di uliveti, agli antichi borghi, alle cripte basiliane e alle grotte che sono diventate abitazioni e chiese.

Ma hanno importanza fondamentale  anche  quelle opere religiose ritenute come “arte minore”, che fanno parte del patrimonio materiale e immateriale del nostro Paese che realizza l’identità di un popolo e ne costituiscono il fondamento e il carattere.

Le edicole votive sparse nel nostro territorio, poste generalmente sugli architravi delle antiche case o  al limite delle proprietà e nei punti in cui le strade di campagna si incrociano, offrono l’opportunità per approfondire la conoscenza di questa forma di devozionismo popolare. Legate soprattutto al mondo contadino, rimandano alle “erme” dell’epoca romana, e forse ai più antichi “menhir”, alle quali è riconosciuto il significato di protezione delle famiglie, degli animali, dei campi, oltre a tenere lontane le calamità naturali.

La maggior parte della popolazione trascorreva buona parte del suo tempo nei campi per svolgere l’indispensabile attività agricola, da cui traeva sostegno per poter vivere. Era quindi naturale che i nostri avi, in maggioranza contadini, volessero erigere nei luoghi frequentati una testimonianza della loro fede e del profondo sentimento religioso di cui era intessuta la loro esistenza. Spesso le realizzavano in ringraziamento per una grazia ricevuta.

Edicola votiva con Santa Cesarea, su via Marina Serra
Edicola votiva con Santa Cesarea, su via Marina Serra

Nelle sere d’estate, dopo la fatica quotidiana, ma anche in occasione di ricorrenze  religiose, quelle edicole diventavano occasione per ritrovarsi a recitare il Rosario, che coinvolgeva il proprietario, le famiglie vicine, se non, in alcuni casi, tutta la comunità del paesello.

La tipologia di queste semplici costruzioni è varia per dimensione e impostazione. Possono essere  ad una sola nicchia concava, protetta da un vetro o da una grata a protezione del dipinto o della statuetta. Ricavate sui muri esterni della casa, talvolta erano piccole cappelle con altarino e quadro  della Madonna o di un santo.

L’iconografia più frequente richiama la Vergine Immacolata, i santi Vito, Rocco e i SS. Medici, le cui immagini erano fatte realizzare da artisti locali e non sempre eccellenti nella pittura.

Di questi manufatti si hanno poche notizie storiche, anche perché poco o niente considerati, ma si è portati a considerarli realizzati tra XVIII e XIX secolo, a causa dello sviluppo rurale e agricolo dei nostri centri, che han dovuto soccombere con lo spopolamento delle campagne e l’avvento dell’era industriale.

 

Edicola votiva, contrada Homo morto, sulla via vecchia per il porto
Edicola votiva, contrada Homo morto, sulla via vecchia per il porto

Tra le tante disseminate nel territorio comunale di Tricase, e che certamente meriterebbero un censimento, si segnala qui una in particolare, sebbene non sia unica, perché meritevole di attenzione per lo stato in cui versa e che l’incuria potrebbe irrimediabilmente compromettere sino alla scomparsa.

Edicola votiva, contr. Homo morto, via vecchia Porto4
Edicola votiva, contrada Homo morto, sulla via vecchia per il porto

Situata in contrada “homo Morto”, la vecchia via che dalla città porta al mare, alle spalle della grande Quercia Vallonea, fu fatta realizzare per devozione di Tommaso Nuccio nel 1850. A forma di edicola con volta a botte, sulla parete frontale interna sono ancora ben visibili tre immagini tirate a fresco, di discreta fattura ma di autore ignoto, raffiguranti al centro la Madonna Immacolata, antica patrona di Tricase, ai lati della quale vi sono San Giuseppe, a sinistra, San Vito Martire a destra, protettore delle campagne e di tutto il territorio comunale. Purtroppo tutte e tre le immagini sono state lievemente sfigurate nel volto.

Madonna delle Grazie, sec. XVIII, Borgo antico, Tutino
Madonna delle Grazie, sec. XVIII, Borgo antico, Tutino

I cenni che ho scritto servono da stimolo per parrocchie, comitati feste patronali, Amministrazione Civica ed associazioni religiose e culturali, ma anche singoli cittadini, perché possano  attivare urgenti piani di recupero e di intervento, mirati alla salvaguardia di queste preziose testimonianze religiose del passato da consegnare alle future generazioni.

Edicola votiva, Tre Santi, via Marina serra
Edicola votiva, Tre Santi, via Marina serra
Madonna di Leuca. Borgo antico, Tutino
Madonna di Leuca. Borgo antico, Tutino

Forse è bene rivolgere uno sguardo alle nostre radici per indurci ad una seria e profonda riflessione sul senso di responsabilità a cui non possiamo e non dobbiamo sottrarci per difendere dall’incuria e dall’abbandono ciò che il passato ci ha gelosamente consegnato.

Se ci soffermassimo a meditare su queste piccole espressioni artistiche del nostro popolo e sui contesti in cui sono inserite, penso troveremmo la sensazione di quiete e di pace che l’aperta campagna offre. Comprenderemmo, forse, i valori essenziali che improntavano la semplice ma ricca vita dei nostri avi, che le vollero ai bordi dei campi perché proteggessero senza disturbare il lavoro, vicino alla strada quasi per ritrovarsi idealmente con i passanti, all’ombra di un albero per riposare dopo aver duramente faticato.

 

Immacolata Concezione, sec.XIX, borgo antico, Tutino
Immacolata Concezione, sec.XIX, borgo antico, Tutino

Tutino. Un antico e suggestivo borgo nel comune di Tricase (Lecce)

di Marco Cavalera

La frequentazione umana nel territorio di Tutino (rione di Tricase) risale all’età romana. Questa ipotesi è stata avvalorata da frequenti rinvenimenti di frammenti di ceramica, in fondi ubicati a ridosso di un tratto viario che, secondo alcuni studiosi, coincide con l’antica via “Sallentina”. Uggeri, a tal proposito, afferma che quest’ultima proveniva dalla Madonna del Gonfalone, lambiva a nord-ovest l’attuale borgo di Sant’Eufemia, si dirigeva per Tutino e proseguiva per Depressa[1].

Alcune evidenze di questo antico tracciato persistono ad ovest dell’abitato di Tutino, lungo la c.d. via delle Zicche. Si tratta di una strada campestre, larga circa tre metri e delimitata da muretti in pietra a secco alti, in alcuni punti, più di due metri, che conserva sotto l’asfalto e il cemento tracce superstiti di acciottolato.

Antico tracciato stradale, nel territorio di Tutino, identificato con la via “Sallentina”.

Un tratto di strada secondaria, che interseca ad est il tracciato della via “Sallentina”, presenta dei tagli sul banco di roccia, appositamente regolarizzato per permettere un più agevole transito dei carri. La carrareccia si segue solo per una lunghezza di poche decine di metri: sul suo

Da Napoli a Gallipoli. Due statue processionali per la chiesa di Tricase

storia, ancora maestra di vita?

Uno spaccato di realtà socio-economica e di vita religioso-devozionale di fine ‘700

di Antonio Faita

Nella società in cui viviamo la velocità delle informazioni, il loro accumularsi e susseguirsi senza ordine e mediazione, lo stesso loro “bruciarsi” nell’arco di poche ore nell’interesse delle persone sembra testimoniare la fine della storia. Lo scrittore Daniele Del Giudice, in un’intervista diceva: «quello in cui viviamo è il vero degrado, è l’uomo senza qualità».

La storia può essere ancora considerata maestra di vita?

La concezione che abbiamo della storia riflette quella che abbiamo della società. Occorre, dunque, recuperare ai giovani la certezza del futuro della società. E’ allora che la storia ed il suo insegnamento tornano ad essere essenziali nella formazione integrale della persona.

Dobbiamo essere coscienti che il fatto storico acquista “valore” secondo  le idee di chi le interpreta. Conoscere il passato attraverso un’attenta riflessione è il richiamo continuo ai limiti delle nostre conoscenze. La scoperta ed il recupero agli studi di un immenso patrimonio d’arte e di oggettistica devozionale, nonché il reperimento di un notevole nucleo di documenti che consentono di approfondire la memoria storica delle nostre città a vari livelli di conoscenza, tentano di ricostruire un fenomeno, quello dell’associazionismo laicale, legato soprattutto al passato e che potrebbe sembrare controcorrente e un po’ passatista[1].

Ritengo opportuno, per la rara testimonianza dei documenti, riportare in questo articolo la trascrizione di due manoscritti, inediti per la loro caratteristica, pregni di un valore storico-sociale, devozionale, economico ed artistico, che rappresentano uno spaccato della vita religiosa del paese alla fine del ‘700.

Entrambi narrano le vicende di committenze ed arrivo di due simulacri lignei: il primo, del 1738, riguarda la statua della Madonna Immacolata, per

Tutino. Un antico e suggestivo borgo nel comune di Tricase (Lecce)

di Marco Cavalera

La frequentazione umana nel territorio di Tutino (rione di Tricase) risale all’età romana. Questa ipotesi è stata avvalorata da frequenti rinvenimenti di frammenti di ceramica, in fondi ubicati a ridosso di un tratto viario che, secondo alcuni studiosi, coincide con l’antica via “Sallentina”. Uggeri, a tal proposito, afferma che quest’ultima proveniva dalla Madonna del Gonfalone, lambiva a nord-ovest l’attuale borgo di Sant’Eufemia, si dirigeva per Tutino e proseguiva per Depressa[1].

Alcune evidenze di questo antico tracciato persistono ad ovest dell’abitato di Tutino, lungo la c.d. via delle Zicche. Si tratta di una strada campestre, larga circa tre metri e delimitata da muretti in pietra a secco alti, in alcuni punti, più di due metri, che conserva sotto l’asfalto e il cemento tracce superstiti di acciottolato.

Antico tracciato stradale, nel territorio di Tutino, identificato con la via “Sallentina”.

Un tratto di strada secondaria, che interseca ad est il tracciato della via “Sallentina”, presenta dei tagli sul banco di roccia, appositamente regolarizzato per permettere un più agevole transito dei carri. La carrareccia si segue solo per una lunghezza di poche decine di metri: sul suo

Tutino e la contraddizione pragmatica delle epigrafi del suo castello baronale

di Armando Polito

Debbo anzitutto ringraziare Marco Cavalera, autore, sul tema,  del post apparso sul sito qualche giorno fa perché, prima di leggerlo, di Tutino ignoravo pure il nome.

Particolare interesse hanno suscitato in me le iscrizioni riportate e le considerazioni che farò le riguardano in modo esclusivo.

Citerò di ognuna testo e traduzione per non obbligare il lettore ad un continuo andirivieni tra il mio post e quello di Marco.

1) ALOISIUS TRANE PRIMAE PATRlAE NOMEN GAZA VERO COGNOMEN INTER PRIMOS FORTUNAE NATOS FAVENTE MINERVA AD PRlSTINAM NOBILITATEM EJIUS FAMILIAM REDUXIT IMISQUE AB INFIMIS FUNDAMENTIS EREXIT POSTERISQUE SUIS VINCULA(VIT)

(Luigi Trani dal nome della patria di origine, in verità di cognome Gaza, tra i prediletti della fortuna, col favore di Minerva riportò all’antica nobiltà la sua famiglia, lo eresse fin dalle fondamenta e lo destinò ai suoi posteri).

Giustamente è stata citata per prima, perché costituisce la targhetta di riconoscimento del manufatto. Gli ingredienti che la compongono sono quelli che usualmente si leggono in documenti del genere, ma voglio far notare la riconoscenza espressa nei confronti di due divinità pagane: Fortuna e Minerva.

2) VINCE IN BONO MALUM (Vinci il male con il bene).

Si tratta della seconda proposizione di un periodo (12, 21) della lettera di San Paolo ai Romani:

Noli vinci a malo, sed vince in bono malum (Non farti vincere dal male, ma vinci il male nel bene).

Il lettore si sarà accorto della diversa traduzione che ho dato di in bono. Molto spesso la traduzione libera non esprime compiutamente il pensiero come quella letterale che, secondo me, va adottata tutte le volte che si incorre in questo rischio. Nel nostro caso l’originario complemento di stato in luogo (in bono, nel bene) è molto più pregno di significato del complemento di mezzo (con il bene), che in latino avrebbe richiesto la presenza dell’ablativo semplice (bono e non in bono). San Paolo, insomma, esortava non a vincere il male con il bene ma (restando) nel bene, formulazione di un principio generale che privilegiava la continuità di uno stato che, al di là della sua contingente incarnazione temporale, doveva avere anche un’atemporale funzione preventiva (chi sta costantemente nel bene non avrà bisogno di combattere il male perché non esiste neppure il rischio, almeno endogeno, di esserne assalito).

3) MELIOR DIES MORTIS QUAM NATIVITATIS  (Meglio il giorno della morte che quello della nascita).

Si tratta anche qui di una citazione parziale, questa volta  di un proverbio biblico (XXI, 2):

Melius est nomen bonum quam unguenta pretiosa, et dies mortis die nativitatis (È meglio un buon nome che profumi preziosi e il giorno della morte che quello della nascita).

Credo che il motivo ispiratore sia la condanna dell’apparenza (profumi preziosi) rispetto alla sostanza (buon nome), ricalcato nella seconda parte con la contrapposizione tra la morte (tempo di bilancio consuntivo) e della nascita (tempo di bilancio preventivo).

4) CORONA SAPIENT(I)UM DIVITIE(AE) EORUM (Corona dei sapienti è la loro ricchezza).

Citazione parziale di un altro proverbio (XIV, 24): Corona sapientium, divitiae eorum; fatuitas stultorum, imprudentia (Corona dei sapienti, le loro ricchezze; degli stolti, la superficialità e l’imprudenza).

Qui sono in ballo elementi tutti spirituali, come le ricchezze dei sapienti e la superficialità e l’imprudenza degli stolti.

5) MISERICORDIA ET VERITAS CUSTODIUNT REGEM   (Misericordia e verità proteggono il regnante).

Altra citazione parziale dal proverbio XX, 28: Misericordia et veritas custodiunt regem et roboratur clementia thronus eius (La misericordia e la verità proteggono il re e il suo trono è rafforzato dalla clemenza).

6) QUID PRODEST STULTO HABERE DIVICIAS CUM SAPIENTIAM EMERE NON POSSIT (Che cosa giova allo stolto avere la ricchezza se non può comprare la sapienza?)

Si tratta della citazione, questa volta integrale, del proverbio XVII, 16.

7) VERE PRINCIPUM EST SIMULARE (Fingere è proprio dei principi).

A Luigi XI, re di Francia dal 1461 al 1483, è attribuita la frase qui nescit dissimulare, nescit regnare (chi non sa fingere, non sa regnare), della quale la nostra iscrizione sembra la sintesi e che avrebbe trovato la sua sistemazione teorica, vedendo, fra l’altro, nascere il principio della ragion di stato, ne Il Principe (1513) di Niccolò Machiavelli.

8) NON ETS (EST) CONC(S)ILIUM CONTRA DOMINUM (Non sia complotto contro il signore).

Citazione parziale del proverbio XXI, 30: Non est sapientia, non est prudentia, non est consilium contra Dominum (Non c’è sapienza, non c’è prudenza, non c’è assennatezza contro il Signore).

E qui mi dissocio dall’interpretazione di Marco, che introduce (a parte est  reso con sia come se fosse sit)  un adattamento ad personam indotto, credo, dal non aver potuto considerare il testo originale nella sua completezza, per cui il consilium diventa complotto e Dominum diventa signore.

A conclusione di questa analisi voglio fare questa riflessione che è un’immonda ma certamente rabbiosa parafrasi di Domande di un lettore operaio di Bertold Brecht (per la sinistra, il centro la destra e per tutte le possibili posizioni trasversali http://www.filosofico.net/brecht83operaio3.htm): le iscrizioni appena esaminate per un imbecille come il sottoscritto andrebbero raccolte in due gruppi: nel primo la 1 (in cui Minerva  diventa quasi un’autocelebrazione pagana della propria sapienza)  e la 7; nel secondo le rimanenti in contraddizione totale con le due del gruppo precedente, che, non a caso, pur essendo in minoranza, prevalgono per i fatti concreti cui danno vita (il palazzo, il mantenimento del potere).

E allora, ben venga qualche atto vandalico o qualche terremoto che faccia piazza pulita di queste (presunte?) vergogne? Tutt’altro! Esse vanno conservate come testimonianza delle nostre contraddizioni e miserie (soprattutto quelle legate al potere in tutte le sue forme) e lette alla luce brechtiana che, in ultima analisi (incredibile per un comunista!), coincide con l’insegnamento cristiano (non cattolico!).

Vuoi vedere che la trascuratezza in cui versano i nostri, così pomposamente definiti, beni culturali non dipende solamente da un comodo principio di priorità connesso con le ristrettezze economiche?

Tutino (Lecce). Il castello baronale dei Trane

di Marco Cavalera

Il castello di Tutino fu costruito, negli ultimi decenni del XVI secolo, su una preesistente struttura normanno-sveva (fig. 5). La struttura, che si caratterizza per la presenza – su tre lati – di un profondo fossato, è dotata di una cinta muraria alta sei/sette metri e spessa un metro e mezzo circa. La possente fortificazione – realizzata in pietre di calcare locale e “bolo” – era difesa da ben nove torri, delle quali attualmente ne sopravvivono solo cinque. Alla base è rafforzata da una scarpata e sulla sommità, in alcuni tratti meglio conservati, è visibile ancora il cammino di ronda. Le due torri situate a nord-est, prive di scarpata e di coronamento, sono state più volte oggetto di rifacimenti e rimaneggiamenti.

La costruzione del palazzo baronale comportò l’abbattimento di alcune torri e il riempimento della parte settentrionale del fossato. Un’iscrizione a grandi caratteri latini, incisa lungo la facciata rivolta su Piazza Castello, ricorda il committente di questa imponente opera difensiva, ossia il barone Luigi Gaza da Trani: ALOISIUS TRANE PRIMAE PATRlAE NOMEN GAZA VERO COGNOMEN INTER PRIMOS FORTUNAE NATOS FAVENTE MINERVA AD PRlSTINAM NOBILITATEM EJIUS FAMILIAM REDUXIT IMISQUE AB INFIMIS FUNDAMENTIS EREXIT POSTERISQUE SUIS VINCULA(VIT) (Luigi Trani dal nome della patria di origine, in verità di cognome Gaza, tra i prediletti della fortuna, col favore di Minerva riportò all’antica nobiltà la sua famiglia, lo eresse fin dalle fondamenta e lo destinò ai suoi posteri).

La facciata è stata realizzata con blocchi in carparo ed è alleggerita da eleganti finestre in pietra leccese, sulle cui architravi sono incise delle massime ancora perfettamente leggibili. Da sinistra verso destra si legge:

VINCE IN BONO MALUM (Vinci il male con il bene– (San Paolo)
MELIOR DIES MORTIS QUiM NATIVITATIS     (Meglio il giorno della morte che quello della nascita)
CORONA SAPIENT(I)UM DIVITIE(AE) EORUM (Corona dei sapienti è la loro ricchezza)

MISERICORDIA ET VERITAS CUSTODIUNT REGEM   (Misericordia e verità proteggono il regnante)
QUID PRODEST STULTO HABERE DIVICIAS CUM SAPIENTIAM EMERE NON POSSIT (Che cosa giova allo stolto avere la ricchezza se non può comprare la sapienza?)
VERE PRINCIPUM EST SIMULARE (Fingere è proprio dei principi)

NON ETS (EST) CONC(S)ILIUM CONTRA DOMINUM (Non sia complotto contro il signore).

Sul portale è ancora visibile il drago caratterizzante lo stemma di famiglia[3].

La struttura, allo stato attuale, necessita di tempestivi ed urgenti interventi di consolidamento statico e recupero funzionale.

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