Dialetti salentini: “spatiddhare”, ovvero dall’antica Roma al Rinascimento e da questo alle comiche dei nostri tempi

di Armando Polito

Spatiddhare è uno di quei vocaboli non registrati nel vocabolario del Rohlfs e questa assenza può essere spiegata o col fatto che la voce, con o senza una o più varianti, sarebbe di diffusione molto limitata, oppure che essa sia frutto di una mente farneticante, la mia, nella quale è balenata un’accozzaglia di fonemi.

Tuttavia, siccome fortunatamente credo ancora nel dubbio, ho fatto un controllo in loco, cioè a Nardo, ovviamente non partendo da spatiddhare ma da una descrizione dell’azione o, per fare più presto, dal suo sinonimo italiano, cioè slogare.

La conferma dell’uso di questa voce a Nardò (saranno gradite notizie sulla sua eventuale più ampia diffusione) è venuta, oltre che dall’indagine fatta, per così dire, dal vivo,  anche dal fatto che essa risulta presente in Enrico Carmine Ciarfera-Mario Mennonna, Il vulgare neritino. Vocabolario etimologico del dialetto di Nardò, Congedo, Galatina, 2020. Qui, senza nemmeno l’ombra di un forse o probabilmente, avverbi che dovrebbero essere un dogma per chi, anche professionalmente, si interessa di etimologia e non solo, si sentenzia che è da spaddhare. Un etimo, per essere almeno, convincente, deve mostrare coerenza semantica e fonetica. Spaddhare significa rovesciare le spalle all’indietro e proprio la genericità dell’azione ha propiziato la presunta derivazione di spatiddhare da spaddhare. All’estrema labilità del collegamento semantico si aggiunge poi l’incongruenza fonetica. Gli autori probabilmente hanno supposto che spatiddhare fosse forma frequentativa o intensiva di spaddhare per via del presunto suffisso, per cui spaddha>spaddhare>spatiddhare, sulla suggestione sonora di ponta>‘puntieddhu>‘ppuntiddhare,  cappa>cappieddhu>scappiddhare e simili, in cui si noterà la presenza costante di un intermediario diminutivo tra il sostantivo di partenza  e il verbo finale. Non risulta esistere uno spatiddha diminutivo di spaddha e, anche pensando ad una derivazione diretta dal verbo, da spaddare c’era da aspettarsi spaddhicare; e poi, anche se per assurdo spaddhare fosse il padre di spatiddhare, bisognerebbe spiegare (magari per semplice analogia, ma valla a trovare!) lo scempiamento di –dd-. E allora? Spatiddhare è connesso col latino patèlla. La voce è parente strettissima di pàtera (della quale è il diminutivo) e pàtina (dai quali in italiano, rispettivamente, pàtera e pàtina, nonché, con cambiamento d’accento, paténa) e direttamente da patella è l’italiano padella (l’utensile) e patella (nome di un genere di molluschi, la cui specie Patella vulgata è particolarmente diffusa dalle nostre parti, nonché, in anatomia, una delle componenti  dell’articolazione del ginocchio, più comunemente detta rotula).

Patella in latino designava non solo un piatto di terracotta o di metallo dai bordi bassi usato per cuocere i cibi e portarli in tavola ma anche un piatto metallico circolare usato nei sacrifici e, per traslato (evidente l’analogia di forma), la rotula.

Mentre i primi due significati ricollegano patella all’italiano padella e al salentino patella (in cui il mancato passaggio –ll->-ddh– ha una funzione distintiva, cioè quella di evitare confusione tra l’utensile patella e il mollusco pateddha), il terzo sopravvive nel termine medico patella e solo (almeno fino ad ora) nel neritino spatiddhare, forma verbale da pateddha col prefisso estrattivo o privativo s- (ciò che resta del latino ex=lontano da), ad indicare proprio la messa fuori uso del dettaglio anatomico, con dilatazione del riferimento dal solo ginocchio anche alla spalla.

Quest’ultima, dunque, pur essendo protagonista passiva dell’azione, non ha il minimo ruolo attivo nell’etimo di spatiddhare.

Quello proposto con eccessiva e infondata sicurezza nel citato vocabolario è solo una delle numerose inesattezze in esso contenute. La filologia, come ogni disciplina, non si improvvisa, richiede, oggi più di ieri, competenza specifica, anche se l’errore rimane sempre in agguato: recita un proverbio puru ci face carrozze ‘ndi bbocca (anche chi fabbrica carrozze ne ribalta), che ha il suo gemello, di molto più anziano, nell’oraziano Quandoque bonus dormitat Homerus (Di tanto in tanto il buon Omero sonnecchia).

Ciò che ora sto per documentare potrebbe a buon diritto entrare in un’antologia di testi inconsapevolmente comici consapevolmente spacciati per lavori scientifici.  È mio altro dogma fare sempre il nome del peccatore quando parlo di un peccato, anche perché, se quest’ultimo è veramente tale, suo padre (magari dopo aver chiesto il parere di qualcuno di provata esperienza, cosa che avrebbe dovuto fare prima), se ha un residuo per quanto minimo di intelligenza, si guarderà bene dal querelare l’accusatore, per non incorrere nel rischio di un maggiore sputtanamento. Nella metaforica rete dei nostri giorni restano impigliati pesci pregiati ma anche buste di plastica e simili, in una sola parola spazzatura. Nella fattispecie il pesce pregiato è un manoscritto (ms. D/8) custodito nella Biblioteca Arcivescovile “Annibale De Leo ” di Brindisi e contenente un’opera in latino (Epistola apologetica Io Batistae Casnirii ad Q. Marcum Corradum) di un letterato e notaio brindisino (Giovanni Battista Casmirio).

Questo manoscritto, la cui copia digitalizzata è in rete con quelle di altri, operazione che fa onore a chi ne ha disposto la realizzazione, è rimasto inedito fino al 2017, data in cui è stato pubblicato col titolo Iohannis Baptistae CasmiriiEpistola apologetica ad Quintum Marium Corradum (Introduzione, trascrizione e note di commento a cura di Roberto Sernicola, prefazione di Domenico Defilippis), Edisai, Ferrara, 2017.

 

Del 2024 è Epistola apologetica a Quinto Mario Corrado/Giovanni Battista Casimiro (Traduzione integrale dal manoscritto originale in latino trascritto da Roberto Sernicola a cura di Luciano Ancora), s. n., s. l. (ma disponibile su academia.edu).

Del primo libro, stando alla scheda OPAC1, una copia è, oltre che nella citata biblioteca brindisina, in queste altre: Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna, Biblioteca dell’Archivio di Stato di Bologna, Biblioteca comunale Ariostea di Ferrara, Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli e Biblioteca nazionale centrale di Roma; del secondo libro, sempre in base ai dati OPAC2, una sola copia è custodita nella biblioteca brindisina e va rilevato che la data riportata, 2017, è la stessa del libro di Sernicola, probabilmente per errata segnalazione della stessa biblioteca.

Tutto questo, però, non significa che una presenza fisica è garanzia di un numero maggiore di contatti rispetto a quella virtuale, perché vale esattamente il contrario e non solo in quanto il primo è un testo in gran parte in latino. Succede, così, che una traduzione fatta, come vedremo, più che con i piedi, con un’altra parte anatomica neppure umana ma canina, ha molte probabilità di diventare oggetto di saccheggio con un comodissimo copia-incolla o con una più fastidiosa parafrasi da parte di qualche sedicente divulgatore o, peggio, di un, sempre sedicente,  studioso (anzi con più effetto, ricercatore o, meglio ancora, researcher, spesso con l’attributo indipendente come aureola del martirio) pronto ad immortalare, sfruttando quella altrui, la sua ignoranza, che altri, purtroppo non pochi, ancora più ignoranti, si scoleranno avidamente u un attimo e, magari, faranno pure il passaparola.

E così il lavoro di Roberto Sernicola, che pur nei suoi limiti ha un certo decoro, avrà una visibilità  molto più limitata rispetto a quello, indecente, di Luciano Ancora, che pure ha avuto la sua brava recensione, fatta, evidentemente senza averne letto non dico un periodo ma tre parole consecutive, a firma di Gianfranco Perri3. Col traduttore sarò spietato, mentre del trascrittore voglio ora dire che, comunque, si è accollato una bella fatica, anche nel descrivere il manufatto e operare un’analisi dello stile dell’autore, nonché corredare il tutto di un cospicuo numero di note, parte questa che per la sua compilazione avrà richiesto non poco tempo. Sernicola però, anche lui senza forse o probabilmente, giunge alla conclusione che siamo in presenza di un autografo. Sono del parere diametralmente opposto perché, fra l’altro, l’analisi stilistica operata trascura, nella sua genericità, il dettaglio grammaticale e, a parte gli errori di lettura e, dunque, di trascrizione3 (per cui sono addirittura emendate parole assolutamente corrette), non sono rilevati i numerosi errori grammaticali in cui poteva incorrere un copista neppure tanto esperto di latino, ma non certo un letterato del calibro del Casmirio.

Se la trascrizione ha le sue pecche, la traduzione è un vero peccato mortale e un’offesa per il semplice buon senso. Sotto questo punto di vista Sernicola avrebbe senz’altro meritato un traduttore meno scalcinato.

In attesa di passare a quello che ci interessa direttamente, di seguito, come assaggio, uno dei tanti calcinacci

(nell’ordine: il dettaglio della carta, la trascrizione di Sernicola, la traduzione di Ancora e, in corsivo, la mia)

carta 46v

 

 

 

I nostri scritti panegirici poi, a partire dal calcolo del patrimonio della repubblica brindisina, debbono a quest’uomo espertissimo tanto quanto un uomo inaspettatamente redivivo deve a chi gli ridà la vita. Infatti i medesimi scritti, che avevano ascoltato la sentenza di condanna a morte di un giudice ignorante e miserabile emessa contro di loro, rivissero grazie al ragguardevolissimo giudizio di questo sapientissimo uomo avidissimo di antichità e lodi brindisine.

È il caso di far notare che damnare capitis (=condannare alla pena capitale, cioè a morte) e  sententia càpitalis o sententia capitis (=sentenza di morte) sono in latino locuzioni di uso comunissimo, che peculii rationes (=gestione patrimoniale) era un principio giuridico fondamentale. Dopo aver informato chi legge che poco prima il Casmirio aveva detto che la persona alla quale qui esprime gratitudine per l’apprezzamento del suo impegno letterario, da altri denigrato, era Pietro Antonio Canalis, inviato a Brindisi come pretore onorario, lascio al lettore il giudizio sulle capacità di un traduttore che, a parte la palese ignoranza della lingua, non è neppure in grado di aiutarsi col contesto, per cui, fra l’altro, l’innocente Roma si vede coinvolta sulla scena di un delitto commesso da un altro (superfluo ripeterne il nome).

A chiudere il tema in bruttezza, come e, se possibile, peggio di come si era aperto ed era proseguito, un ultimo dettaglio trattato come il precedente. Fa parte di un lunghissimo, macabro elenco di reliquie.

carta 27v

 

Resti della rotula di san Roberto abate.

Da notare come per il trascrittore il titolare della reliquia non è san Roberto ma sant’Antonio e come patella per il sublime traduttore sarebbe un piatto. D’altronde, siccome patella fa parte di un lungo elenco di reliquie in cui primeggiano tibie, teschi e brandelli di carne (tutto allora faceva buon brodo, come oggi la pubblicità, anche quella di libri le cui pagine sono degne al massimo di essere usate come carta igienica di emergenza) l’unico a mancare sarebbe stato il piatto, anzi, visto il piatti con cui viene reso il genitivo singolare patellae, l’intero servizio. Chi fosse ansioso di conoscerne la marca e per le posate abbia la pazienza di aspettare (magari sempre su academia.edu) la prossima edizione della traduzione di Ancora (il lupo perde il pelo ma non il vizio …5), anche se superare la demenzialità (per usare un eufemismo) di questa mi sembra, anche per lui, impresa disperata. Io, fossi Sernicola, chiederei il risarcimento del danno, che comincia già dal titolo (approfitta per far notare al lettore cui fosse sfuggito quanto la copertina sia sontuosa rispetto all’altra umile e scarna …) con Casimiro pretesa traduzione dell’originale Casmirii), cosa che non può fare il povero Casmirio che, però, se nulla delle sue spoglie rimane, almeno si sarà risparmiato e si risparmierà per sempre il fastidio di rivoltarsi nella tomba.

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1 https://opac.sbn.it/risultati-ricerca-avanzata/-/opac-adv/index/2/ITICCUUBO4299389?fieldvalue%5B1%5D=Casmirio&fieldaccess%5B1%5D=Autore%3A1003%3Anocheck&fieldstruct%5B1%5D=ricerca.parole_tutte%3A4%3D6&struct%3A1001=ricerca.parole_almeno_una%3A%40or%40

2 https://opac.sbn.it/risultati-ricerca-avanzata/-/opac-adv/index/1/ITICCUPUG0029904?fieldvalue%5B1%5D=Casmirio&fieldaccess%5B1%5D=Autore%3A1003%3Anocheck&fieldstruct%5B1%5D=ricerca.parole_tutte%3A4%3D6&struct%3A1001=ricerca.parole_almeno_una%3A%40or%40

3 https://brindisistoria.com/0090/05/06/tradotto-allitaliano-lantico-testo-di-giambattista-casimiro-sulla-storia-di-brindisi/

4 Eppure tra i suoi  titoli (vedi https://www.brindisiweb.it/storiapatria/ap_epistola17.asp) compare anche un diploma di Archivistica, paleografia e diplomatica

5 https://independent.academia.edu/LucianoAncora

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