Dialetti salentini: ‘nnizzu, ovvero Nardò-Avellino 0-2

di Armando Polito

Una doverosa, anche se un po’ campanilistica, premessa: l’incontro al quale fa riferimento il titolo fu disputato in campo neutro …
Di fronte ad una parola dialettale è quasi automatico pensare all’esistenza o meno di un corrispondente italiano e controllare la congruenza fonetica e semantica tra le due voci mettendo nel dovuto conto che la parziale differenza fonetica può essere il frutto di condizionamenti di varia natura, che possono rendere difficoltosa la ricostruzione della trafila; ancor più complesso, poi, può il controllo della congruenza semantica pensando ai molteplici, in alcuni casi apparentemente contraddittori, slittamenti metaforici. In alcuni casi la corrispondenza non appare immediatamente perché lo stesso etimo di base risulta perfettamente conservato nella voce dialettale e camuffato in quella italiana. Un esempio illuminante a tal proposito è rappresentato dal salentino crai=domani, che è dal latino cras: quest’ultimo in italiano sopravvive solo nel composto procrastinare. Può succedere pure di sbattere la testa per un bel po’ non trovando per la voce dialettale l’immediato corrispondente italiano, a causa delle trasformazioni finetiche e semantiche di cui sopra. ‘Nnizzu, con la sua storia etimologica, ne rappresenta la testimonianza pià concreta. Ma, prima di tutto, cos’è, anzi cos’era questo ‘nnizzu? Era una tacca posta all’interno di un recipiente come livello di misurazione.
Oggi sappiamo con certezza che la voce ha il suo perfetto corrispondente italiano in indizio, dal latino indiciu(m)=indicazione, segno, prova. Le trafile, poi, che hanno portato da indicium a indizio e a ‘nnizzu sono da manuale:
indicium>indizio: normale evoluzione di -ci- in -zi- come in iudicium>giudizio
indicium>’nnizzu: evoluzione di -ci- in -z-, ma con raddoppiamento di -z-, come in cannizzu da cannicium, con l’italiano che qui mostra il raddoppiamento dell’originario -c-; in più ‘nnizzu presenta un passaggio *indizzu>*innizzu (assimilazione) e, finalmente, ‘nnizzu (aferesi1).
Fino ad un passato più o meno recente, però, nessuno si era chiesto quale fosse l’etimo di ‘nnizzu. Era fatale, dunque, che come spessissimo succede in questo campo, prima o poi si verificasse uno scontro. Tutto ebbe inizio esattamente il 15 giugno del 1889, quando sul Giambattista Basile (a. VII, n. 6), prestigioso quindicinale napoletano, comparve il contributo del neritino Luigi Maria Personè (1830-1898) nella rubrica Etimologie neritine, spazio a lui riservato.

Alla stessa rivista collaborava pure un giovanissimo letterato di Avellino: Giulio Capone (1863-1892) nelo spazio a lui riservato, dal titolo Noterelle filologiche. Nel n. 11 del 1 ottobre dello stesso anno il Capone criticò ferocemente il neritino, come si legge nel dettaglio riprodotto.

 

Ad onor del vero va detto che lo scontro si concluse con la vittoria dell’avellinese sul neritino per 2-0, come premesso nel titolo, perché il Personé nulla poté ribattere alle osservazioni fatte dal Capone nello stesso contributo  sull’etimo di sularinu, avanzato dal neritino in un numero precedente della rivista. Raccontata così, sarebbe avventato credere che il Personè fosse uno sprovveduto. Egli fu tutt’altro e, nonostante questi due abbagli etimologici, non è certo casuale e senza significato il fatto che il Rohlfs nel suo Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto) cita tra le fonti le sue Etimologie neritine, anche se non poté servirsene a pieno per la difficoltà, ieri più di oggi, di reperimento di tutti i numeri del Giambattista Basile che ospitarono i contributi del neritino. È antipatico fare confronti (in questo caso con l’altra fonte neritina citata nell’opera, ma, prima di chiudere, voglio riportando quanto vi si legge:

Chiudo ricordando che con la toppa di ‘nnizzu il Personè pagava un tributo ad una “moda etimologica” inm auge fin dal principio di quel secolo e ripresa in tempi a noi più vicini da un altro salentino, Giovanni Semerano (Ostuni, 1911 – Avezzano, 2005). Dopo l’interesse iniziale suscitato dalla relativa nobità delle proposte etimologiche, la sua metodologia ha promosso un animato dibattito in cui il giudizio negativo, sostanzialmente basato sulle stesse osservazioni fatte dal Capome, ha finito per prevalere.

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1 Proprio per questo fenomeno finale, incontrovertibilmente mostrato dalla trafila, ritengo più corretta la mia grafia (‘nnizzu) adottata nel titolo e replicata in tutto il post,  di quella del Personè, del Capone (che pure nella sua scheda conferma quella).

 

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