Santa Croce di Lecce e l’abate generale celestino fra Iacopo da Lezze (parte prima)

Basilica di Santa Croce a Lecce, particolare del rosone

 

di Giovanna Falco

 

De ceremonijs Ordinis di Iacobus de Leccio

Dopo aver ammirato un raggio di sole entrare dalla cupola e riflettersi sul pavimento della navata centrale di Santa Croce –  la basilica della Congregazione celestina in via Umberto I a Lecce, realizzata tra il 1549 e il 1646 –, mi sono chiesta se l’ubicazione di rosoni e finestre fu progettata in base al movimento del sole nel corso della giornata, per illuminare gli altari nelle ore in cui si svolgevano le solenni cerimonie liturgiche. Ho rintracciato un testo dove sono descritte tutte le funzioni religiose della Congregazione. Non ha risolto i miei dubbi, ma è interessantissimo per la storia di Santa Croce.

 

In un elenco di scrittori celestini redatto da D. Arnoldo Wion[1], ho reperito il «De ceremonijs Ordinis sui, lib. I» scritto da «Frater Iacobus de Leccio»[2], ovvero Le cerimonie dei Monaci Celestini, con la vita di Celestino quinto loro primo padre, pubblicate a Bologna nel 1549 – lo stesso anno, ritenuto dagli studiosi, dell’inizio dei lavori della nuova chiesa celestina leccese -, opera di Iacopo Moronessa abate generale della Congregazione celestina nel triennio 1546-1549: un fervente antiluterano e autorevole teologo, che esercitò incarichi importanti all’interno della Congregazione, perlomeno  tra il 1534 e il 1554, così come ho potuto riscontrare consultando successivamente i saggi di Aldo Caputo[3] e Franco Lucio Schiavetto[4].

«Fra Iacopo da Lezze» si autodefinisce: «servo in utile di Gesù Christo, e Minimo di tutti i Celestini, quale con consenso di tutti i Padri dell’ordine ridussi il Capitolo Generale alla terza Domenica poi Pasqua di resurrettione, di, e tempo co(m)modo à tutta la religione, e fù confirmato con breve Apostolico»[5]. La notizia è riportata anche nelle Constitutiones monacorum sancti benedicti congregationis coelestinorum stampate nel 1590[6] e nel 1627[7].

Wion scrive: «Frater Iacobus de Leccio civitate Apuliae, Monachus Ordinis Caelestinorum, Paulo Papae IIII summe carus, scriptis De Consolatione Crucis, lib. I. De ceremonijs Ordinis sui, lib. I. De vita S. Caelestini Papae V, lib. I. Martinellum contra Lutheranos, Lib. I. Quae omnia excusa dicuntur, sed ubi, hactenus ignoro,  per edidit, quae non dum impressa sunt.»[8].

Le opere di fra Iacopo sono citate, tra gli altri, da Giulio Cesare Infantino[9] e Luigi Tasselli[10]. La vita di San Celestino papa fu pubblicata assieme a Le Cerimonie dei Monaci Celestini, le altre due furono date alle stampe con il titolo Il modello di Martino Lutero, pubblicato a Venezia nel 1555, e De necessitate et utilitate crucis humanae vitae libellus, pubblicato a Roma nel 1556. Schiavetto, inoltre, ha individuato in Fra Iacopo l’autore delle Constitutiones monacorum sancti benedicti congregationis coelestinorum pubblicate nel 1534[11].

Tra le opere di Fra Iacopo la più controversa, a causa delle impetuose convinzioni antiluterane, che gli costarono lo scherno di Pietro Paolo Vergerio[12], è Il modello di Martino Lutero, oggetto di molteplici studi, tra cui il saggio di Aldo Caputo[13], dove sono riportate interessanti note biografiche di fra Iacopo. Poco studiata risulta De necessitate et utilitate crucis humanae vitae libellus, opera da prendere in considerazione dagli studiosi della chiesa di Santa Croce.

 

Dopo il capitolo generale della Congregazione indetto a Napoli il 20 maggio 1547[14], fra Iacopo decise di compilare in lingua volgare Le cerimonie dei Monaci Celestini, con la vita di Celestino quinto loro primo padre per indicare a tutti i frati della Congregazione  una regola comune da seguire, motivandone le ragioni. L’abate generale era consapevole «ch’e da molt’anni  in qua, sì per la povertà de i luoghi , sì anchor per essere diminuito il numero dei monaci, le Cerimonie, che si deono usare circa il colto divino, sono in alcun monastero in tutto abbandonate, in alcuno in parte lasciate, & in alcuno adulterate, in tanto, che quanto monasteri habbiano, tante varie Cerimonie vi sono, considera(n)do anchora i varij abbusi, che sono nei nostri monasteri, circa il cotidiano vivere, à i quali in parte non è stato proveduto dalle sacre  costituzioni»[15]. La sua intenzione era quella di dare «gratia divina, pace vera, e felicità Celeste à tutti i direttissimi suoi fratelli, e figliuoli, monaci della istessa Congregatione»[16].

L’opera è un vero e proprio manuale: si compone di un’epistola «à i Padri dell’ordine di molta utilità, nella qual introduce, essorta, persuade, e co(m)manda abbracciare, et osservare tutto quello si contiene in detta operina ad honore d’Iddio, e della religione, di tutti loro»[17]; quarantadue capitoli dov’è dettagliatamente indicato il comportamento cui si dovevano attenere i frati, sia nell’ambito della vita monastica, sia in chiesa durante lo svolgimento delle cerimonie quotidiane e solenni; la trascrizione in latino del verbale del capitolo generale del maggio 1547; il «Della vita, e morte, canonizatione, traslazione all’Aquila, & apparizione in breve ridutta del nostro Beatissimo Padre san Pietro Celestino»; l’elenco «De i nomi, e numero delle Provincie, e dei Monasteri della nostra religione» e «Il Catalogo degli Abati che sono stati nella nostra religione cominciando da Celestino Quinto nostro padre, sin’ all’Autore della operina Maestro Iacopo Aletino».

L’illustrazione presente nel frontespizio di Le cerimonie dei Monaci Celestini, con la vita di Celestino quinto loro primo padre, potrebbe rappresentare il monito ai frati di non cadere nei peccati della carne. È riconducibile alla sirena bicaudata, l’elemento iconografico presente in Santa Croce a Lecce e scolpita più volte sul mausoleo funebre di Celestino V nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio a l’Aquila, realizzato nel 1517 da  Girolamo Pittoni (1490-1568).

Ai fini della storia della comunità leccese, è interessante notare che in Le cerimonie dei Monaci Celestini,  «Il monastero di Santa Croce di Lezze» è il primo nell’elenco della «Provincia di Terraotranto»[18].

Nelle  Constitutiones pubblicate nel 1590, il «Monasteriu(m) S. Crucis de Litio» è elencato come ventunesimo priorato della Congregazione celestina, quando versava la «taxa verò pro Reverendissimo Domino Abbate à Monasyerijs exigenda est ista»[19] di 20 tarì – stessa cifra già riportata in Le cerimonie -, risultante la somma più alta dopo quella dei monasteri di Santa Caterina di Terranova (26 tarì) in Calabria e di San Nicolò di Bergamo (22 tarì).

Dal confronto tra l’elenco degli abati generali di Le cerimonie e quello delle Constitutiones, si può risalire sia ai nomi di chi governava la Congregazione celestina nelle fasi cruciali della storia del monastero di Santa Croce[20], sia a quelli degli abati generali di origine leccese, citati anche da Giulio Cesare Infantino: frate Antonio d’Afflitto, eletto nel 1441 (ai tempi di Maria d’Enghien), maestro Stefano da Lecce, eletto nel 1474 e nel 1480, e maestro Raimondo da Lecce, eletto nel 1492, 1498 e 1510[21].

(continua)

 

Note

[1] Cfr. D. A. Wion, Lignum Vitae, Ornamentum, & Decus Ecclesiae, in quinque libros divisus, Venezia 1595.

[2] Ivi, p. 99.

[3] Cfr. A. Caputo, Un antiluterano leccese. L’abate generale Celestino Iacopo Maronessa, in L’Idomeneo, n. 24, pp. 139-158, Lecce  2017.

[4] Cfr. F.L. Schiavetto, Constitutiones monacorum sancti benedicti congregationis coelestinorum, in L. Gatto – E. Plebani (a cura di), Celestino V. Cultura e società,  Università La Sapienza, 2007, pp. 109-117. Sono di fondamentale importanza i rimandi dell’autore ad altri studi sulla Congregazione celestina.

[5]  I. Moronessa, Le cerimonie dei Monaci Celestini, con la vita di Celestino quinto loro primo padre, Bologna 1549, c. 131r.

[6] Cfr. Constitutiones monacorum sancti benedicti congregationis coelestinorum, Bologna  1590, p 339.

[7] Cfr. Constitutiones monacorum sancti benedicti congregationis coelestinorum, Roma 1627, p. 8.

[8] D. A. Wion, Lignum Vitae… cit., p. 99.

[9] Cfr. Cfr G.C. Infantino. Lecce sacra, Lecce 1634, a cura di M. Cazzato, Lecce 2022, p. 121.

[10] Cfr. L. Tasselli, Antichità di Leuca, Lecce 1693, p. 52 32.

[11] Cfr. F.L. Schiavetto, Constitutiones monacorum sancti benedicti congregationis coelestinorum cit.

[12] P.P. Vergerio, Vide Quid Papatus Sentiat De Illustrissimis Germaniae Principibus, ac de liberis Civitatibus quae Evangelio nomen dederunt, 1556.

[13] Cfr. A. Caputo, Un antiluterano leccese. L’abate generale Celestino Iacopo Maronessa, cit.

[14] Tra i priori provinciali convocati erano presenti «f. Iulius Alethinus prior provincialis terrae labris» e «f. Aloisius Alethinus prior provincialis piscarie» (I. Moronessa, Le cerimonie dei Monaci Celestini…,, c.111r).

[15] Ivi, c. 9r.

[16] Ivi, carta non numerata.

[17] Ivi, c. 132r.

[18] In Le cerimonie La Congregazione celestina, oltre a 12 monasteri autonomi, era suddivisa in 14 provincie: Terra di Lavoro composta da 16 insediamenti, Puglia composta da 9 insediamenti, Campagna di Roma composta da 7 insediamenti, Romagna composta da 11 insediamenti, Umbria composta da 2 insediamenti, Lombardia composta da 9 insediamenti, Terraotranto composta da 7 insediamenti, Molisio composta da 9 insediamenti, Pischaria composta da 7 insediamenti, Principato composta da 5 insediamenti, Calabria composta da 2 insediamenti, Toscana composta da 2 insediamenti, Francia composta da 19 insediamenti, Alemagna composta da 2 insediamenti, per un totale di 100 insediamenti in territorio italiano, 19 in Francia e 2 in Germania (i due insediamenti tedeschi erano già stati soppressi nel 1590). La Provincia di Puglia è la seconda con 9 insediamenti – San Bartolomeo di Lucera, San Pietro di Manfredonia, San Benedetto di Monte Sant’Angelo, San Pietro di Vesti, Trinità di Barletta, Santo Eligio di Barletta, Trinità di Molfetta, San Pietro di Bari, San Pietro della Rizza (dal 1590 di pertinenza di Santo Eusebio di Roma) -, quella di Terra d’Otranto la settima con 7 insediamenti – Santa Croce di Lecce, San Giovanni Battista di Oria, San Bartolomeo di Mesagne, Sant’Arcangelo di Brindisi, Sant’Angelo di Alessano, San Pietro di Ugento, Santa Maria dei Martiri di Taranto.

[19] Constitutiones monacorum… cit. p 205. All’epoca, oltre l’abazia di San Pietro di Sulmona, da cui dipendevano 4 insediamenti (tra cui il vicariato di S. Petri de Archis), la Congregazione sul territorio italiano era suddivisa in 37 monasteri, di cui 35 priorati,  e 61 vicariati, per un totale di 115 insediamenti. Riguardo gli insediamenti ricadenti nelle provincie di Terra d’Otranto e Puglia in Le cerimonie, erano suddivisi nei priorati di: San Bartolomeo di Lucera; Santa Croce di Lecce; S. Giovanni Battista di Oria, da cui dipendevano i vicariati di S. Pietro di Bari  e della Trinità di Molfetta; Santa Maria dei Martiri di Taranto, da cui dipendevano i vicariati di S. Bartolomeo di Mesagne, Sant’Arcangelo di Brindisi, Sant’Angelo di Alessano e San Pietro di Ugento; SS. Trinità di Barletta, da cui dipendevano i vicariati di S. Eligio di Barletta, S. Pietro di Limosano e S. Pietro di Petrella (quest’ultime due in Le cerimonie ricadevano nella provincia di Molisio); S. Benedetto di Monte S. Angelo, da cui dipendevano i vicariati di S. Pietro di Vesti e S. Pietro di Manfredonia.

[20] Infantino, in base alle carte consultate nell’archivio del monastero, cita ai tempi della fondazione «D. Matteo Abbate Generale» (G.C. Infantino, op.cit,, p. 117), ma le fonti celestine consultate riportano eletto nel 1350 frate Giovanni della Torre. Le sole Constitutiones del 1627, citano frate Giacomo da Eboli eletto nel 1353.

[21]Infantino riporta i nomi dei tre abati generali leccesi con le stesse date di elezione, definendo d’Afflitto e P. Stefano teologi e «P.D. Raimondo Petrello Teologo, e Predicatore famosissimo», tralasciandone, però, l’elezione del 1510 (G.C. Infantino, op.cit,, p. 117).

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Un commento a Santa Croce di Lecce e l’abate generale celestino fra Iacopo da Lezze (parte prima)

  1. Fiducioso attendo la seconda parte, significando sincero apprezzamento per il piccolo saggio, riflettendo in particolare sull’osservazione sulla “sirena bicaudata” …; e relativo unico significato e problema per clericorum e monacorum, siccome ben nota la soddisfazione di tutti gli altri bisogni, talora meglio dei “poveri” serviti.

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