Dialetti salentini: ‘nzurfione, ovvero quando la tromba marina si tagliava

di Armando Polito

Il dialetto spesso nelle sue similitudini è più poetico della lingua nazionale, anche quando, come nel caso di oggi, appare più legato ad aspetti, dettagli, oggetti, esseri della comune vita quotidiana. Così quella che in italiano è la tromba d’acqua o tromba marina, in dialetto neritino è zumfione (attestato pure per Aradeo, Neviano e Otranto), zumfioni  (Sava), zimfiune (Galatina)S. Pietro Vernotico), zurfione (Castrignano dei Greci), zurfioni (Oria), zurfiune (Calimera), nzumfiune (Squinzano, Surbo). Tutte le voci appena riportate dal Rohlfs1 hanno il corrispondente italiano perfetto foneticamente, di non immediata comprensione semanticamente, in sifone, che è dal latino siphone(m), con i significati di tubo, condotto, pompa per spegnere gli incendi, a sua volta dal greco σίϕων (leggi sifon)=tubo.

Il lettore avrà già notato che è l’ultimo dei significati latini riportati ad eliminare la difficoltà nel collegare il significato di sifone col fenomeno atmosferico. Stesso etimo hanno le innumerevoli varianti registrate per tutta la fascia adriatica e che nel dialetto calabrese, a seconda delle zone, la tromba d’aria è zifune, ziiune, ifune, zifisni e rifuni. Inoltre in Grecia la tromba d’aria si chiama generalmente sifunas/szifunas, quella marina trumba tra i marinai e gli abitanti delle isole, tra i contadini sifuni. Io non escluderei per la m o n che precede f le varianti salentine una dissimilazione da ff per incrocio con soffione.

Com’è sotto gli occhi di tutti, negazionisti compresi, da fenomeno raro, al meno dalle nostre parti, le trombe d’aria si manifestano molto più frequentemente che in passato, con la differenza che oggi non c’è più nessuno (debbo dire fortunatamente, perché di cialtroni ce ne sono già troppi) che tenti, o presuma, di fronteggiarla e ridurla alla ragione. Eppure, lo dico con amara ironia, oggi qualcuno in grado di tagliare una tromba d’aria, come di eseguire una danza della pioggia in tempo di siccità, tornerebbe comodo, non fosse altro che per illusoria consolazione per chi ancora crede nella magia, nera, bianca o multicolore che sia. Il taglio della tromba d’aria era un rito, probabilmente di origine marinara, articolato, sostanzialmente, in due fasi.

Nella prima il capitano dell’imbarcazione, avvistata la tromba, recitava il Padrenostro verde (verde perché è questo  il colore tradizionale del drago) per placarne l’ira, mentre, brandendo un coltello, mimava tre tagli nell’aria. Nella seconda, ad effetto raggiunto, recitava il Padrenostro a Dio per ringraziarlo, stabilendo, così, la vittoria della religione corrente su quella pagana e mettendosi in pace la coscienza accontentando con un comportamento inconsapevolmente  opportunistico, divinità antiche e nuove …

Di regola molte sono le varianti del testo di queste preghiere rituali, destinate a scomparire per sempre, a meno che qualche studioso in passato non abbia fatto in tempo a raccoglierle ed a pubblicarle.

Per la Sicilia lo fece  Giuseppe Pitrè in Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, Libreria L. Pedone Lauriel di Carlo Clausen, Palermo, 1889, v. III, pp. 79-85. Qui nella sezione dedicata alla meteorologia nel capitolo X intitolato Il dragone il Pitrè, prima di registrare le varianti testuali del Padrenostro verde, riporta quelle riguardanti il nome stesso del fenomeno: trumma marina e cura ri rattu (Palermo), cura ‘i rau (Palermo e Borgetto), cura di mammadrau (Baucina), cuda (Francofonte), cura draune (Vittoria), dragunara e dragunera (Termini, Roccapalumba, S. Fratello, Siculiana), sufunara (Naso), mànica e rragani (Noto).  A parte trumma marina e rragani (traduzioine, probabilmente recenti, di tromba marina e uragano), alcune sono legate ad una similitudine animalesca: cura ri rattu (coda di ratto), cura ‘i rau (coda di drago), cura di mammadrau (coda di mamma drago), cuda (coda), cura draune (coda di dragone), dragunara e dragunera (forme aggettivali da drago).

A proposito di dragunara, la più antica attestazione a mia conoscenza del fenomeno della tromba d’aria è in Rolandino, un cronista di Paova del XIII secolo. Ce ne ha lasciato il ricordo nella sua Chronica, inserita in MGH (Monumenta Germaniae Historica), XIX, 32-147, da cui riporto, traducendolo, il brano che ci interessa:  Audiens haec alius retulit in exeplum quod ipse viderat in principio guerrae per Estense confinium, nocte quadam ivisse quamdam Dragonariam sive nubem, quae sic destruxit arbores, fruges, vineas et herbas radicitus, ut mane facto visum sit omnibus manifeste quod illic unde ivit non fuisset unquam herba, arbor, aliqua vel cultura.

(Un altro, sentendo ciò, addusse ad esempio il fatto che egli di persona aveva visto all’inizio della guerra, lungo il confine estense, che una notte era arrivata una cosiddetta dragonera, cioè una nube, la quale aveva distrutto dalle radici alberi, raccolti, vigneti ed erbe, a tal punto che, fattosi giorno, apparve chiaro a tutti che laddove era passata non ci sarebbero stati mai erba, albero o qualche coltura)

E così il drago, questo favoloso animale sputafuoco, accusato da tempo immemorabile di essere dispensatore di terrore, distruzione e morte, accomuna l’immaginario collettivo del nord (Veneto con la tromba d’aria) e del sud (Sicilia) con la tromba marina). E, ad integrazione delle notizie sull’uso militare del sifone che darò più avanti, come non ricordare il dragone, cioè il soldato di un antico corpo di cavalleggeri, la cui origine si collega agli archibugieri a cavallo italiani? Infine, per lasciarlo in pace (ma non tanta …) penso agli altri significati di dragone: nel XVI secolo nome di una bocca da fuoco di grosso calibro; in pirotecnica razzo per l’accensione a distanza di fuochi artificiali; in ittiologia nome generico della tracina [(pure questa voce dal greco δράκαινα (leggi dràcaina, che è la femmina del drago e, e, come divinità, corrisponde a ciascuna delle latina Furiae)]  e della pastinaca (ha il corpo a forma di rombo e la coda provvista di un aculeo velenifero (la stessa voce, poi, è sinonimo di carota); in ornitologia la sgarza ciuffetto (ha sul capo un ciuffo di penne erigibili, lanceolate, bianche; in botanica nome comune del dragoncello (diminutivo di dragone) ma pure in zoologia nome comune  di un verme parassita agente della malattia tropicale nota con il nome di dracunculosi. Ora, però, nessuno dica che sono un drago: il mio nome non è Cerutti Gino

Come avevo anticipato, completo il discorso circa gli usi militari del sifone. La fonte principale è Leone VI detto il Saggio, imperatore bizantino dall’886 fino alla morte avvenuta nel 912. L’opera principale è Tactica, un trattato di arte militare, da cui sono tratti i passi che seguono2.

XIX, 6, colonna 9923

La trireme) abbia assolutamente a prua il sifone anteriormente rivestito tutt’intorno di bronzo, com’è prassi, per mezzo del quale scagli contro i nemici il fuoco preparato. E dalla parte superiore di questo sifone in giù una specie di recinto fatto di assi, e questo protetto intorno da tavole, in cui staranno uomini guerrieri che combattono quelli dei nemici che giungono da prua, oppure scagliano frecce contro tutta4 la nave nemica con quante armi è possibile immaginare.

 

XIX, 8, colonna 9935

… di quelli che manovrano a prua gli ultimi due siano uno addetto al sifone, sifonatore, l’altro a gettare l’ancora in mare. 

XIX, 51, colonna 10086

Anche molti strumenti furono escogitati dagli antichi e pure dai moderni contro le navi nemiche e contro chi combatteva su di esse. Per esempio anche il fuoco preparato con fragore e fumo scagliato  mediante i sifoni e che le avvolgeva. 

XIX, 57, colonna 10087

Si useranno anche in altra maniera i piccoli sifoni scagliati con la mano tenuti a disposizione dietro gli scudi di ferro dai soldati, armi che sono chiamate chirosifoni,  poco fa escogitate dal nostro re. Scaglieranno anche questi di fuoco preparato contro il volto dei nemici.   

Ho reso con con lanciafiamme il χειροσίφωνα dell’originale. È voce composta da χείρ (leggi cheir), che significa mano e da σίφων (leggi sifon), che, come ho già detto, significa alla lettera tubo).

In coda ai Tactica lo stesso tomo della Patrologia riporta un’appendice premessa al programma dell’Università di Zurigo del 1854, in cui furono raccolti frammenti adespoti tratti da diversi codici, che prima erano stati pubblicati sparsim. Di seguito il brano che ci interessa.

cap. LIII, colonna 11158

… sono utili quelli chiamati intrecci che emanano per mezzo di una macchina fuoco liquido, certamente anche quello che presso molti è chiamato spendente e quelli chiamati lanciafiamme, armi che ora il nostro re ha escogitato …

Altra fonte è Anna Comnena (XI-XII secolo), figlia dell’imperatore Alessi, autrice dell’Alessiade, in sostanza una biografia del padre:

XI, 109

… avendo sistemato in ciascuna prua delle navi attraverso teste di leoni e altri animali terrestri fatte di bronzo e ferro con bocche aperte e avendole rivestite di oro in modo che alla sola vista apparissero spaventoso, dispose di far passare  il fuoco che cominciava ad uscire contro i nemici mediante elementi attorcigliati attraverso le loro bocche, in modo che sembrasse che a farlo fossero i leoni e gli altri animali di tal genere.    

un fuoco, che naturalmente divampa verso l’alto, ma in questo caso era diretto in qualunque direzione desiderasse il mittente, spesso verso il basso o lateralmente

XIII, 310

Questo fuoco fu preparato da loro [i difensori di Durazzo] attraverso siffatto procedimento. Dal pino e da alcuni altri alberi simili  sempreverdi  s’addensa una lacrima infiammabile. Questa schiacciata  insieme con  zolfo viene introdotta in tubi di canne e viene spinta da chi usa lo strumento con un soffio energico e continuo e così lo indirizza ed applica al fuoco all’estremità e come un fulmine cade sugli occhi di chi sta di fronte.   Questo fuoco usarono i difensori del territorio di Durazzo appena si trovarono faccia a faccia con i nemici e bruciarono le loro barbe e i volt. Ed era possibile vederli come uno sciame di api messo in fuga dal fumo precipitarsi disordinatamente  da dove erano entrati ordinatamente.  

Sulla composizione di questa miscela incendiaria innumerevoli sono state le ipotesi, destinate a restare tali, perché a tal proposito la fonte più dettagliata resta Anna Comnena col suo ultimo brano appena riportato11. La cosa appare scontato, trattandosi di un segreto militare o, se si preferisce, di stato e a talproposito illuminante è quanto ci ha tramandato l’imperatore Costantino Porfirogeneta (    ) nel suo De administrando imperio, XIII12:

Così è necessario che tu anche riguardo al fuoco liquido scagliato mediante i sifoni ti dia pensiero e curi che se mai  alcuni osino chiederlo, come spesso hanno chiesto pure a noi, che essi siano respinti e mandati via con queste parole: “Anche questo fu manifestato e insegnato da dio mediante un angelo al grande e primo re cristiano, S. Costantino. Ricevette anche su questo dallo stesso angelo grandi prescrizioni, come dai padri e dai nonni   abbiamo ricevuto con piena certezza, affinché per i soli cristiani e per la città regnante su di loro fosse preparato , non altrove, e non fosse in alcun modo trasmesso o insegnato ad un altro popolo.  Perciò roteggendolo anche per  coloro che verranno dopo di lui questo grande re su questo dispose che sul sacro altare della chiesa di dio  fossero scritte delle maledizioni  affinché chi avesse osato dare di questo fuoco ad altri popoli non fosse chiamato cristiano né fosse giudicato degno di carica o potere, ma anche se lo avesse avuto per caso e l’avesse portato fuori da questa città fosse colpito da anatema e stigmatizzato nei secoli dei secoli , o re o  patriarca o qualche altro simile, o arconte o suddito che per caso  abbia tentato di violare tale precetto. E esortò tutti quelli che avevano amore e al timore di dio a considerare come un nemico comune e trasgressore di questo importante precetto e ad affrettarsi a a prenderlo chi ha tentato di fare una cosa simile e mandarlo a morte odiosissima e penosa. Accadde una volta, trovando sempre la malvagità l’occasione, che uno dei nostri soldati ,dopo aver accettato dai pagani cospicui doni, li resero partecipi del fuoco e che dio inflessibile non lasciò impunita la trasgressione: un fuoco venuto dal cielo lo divorò uccidendolo mentre si accingeva ad entrare nella sacra chiesa di dio. E allora paura e tremito entrarono nell’animo di tutti e da allora nessuno, né re né arconte né privato né comandante né uomo in generale  osò pensare a qualcosa di simile, mettere mano all’opera, agire, portarla a termine”.13

Ad ogni modo, questa invenzione bizantina, precursore del moderno e già obsoleto  lanciafiamme trova anche una testimonianza grafica nelle due miniature con le quali pongo termine a questa lunga e, per certi versi, molto sofferta digressione sul sifone.

Manoscritto del secolo XI custodito nella Biblioteca Apostolica Vativana (Vat. gr. 1605, f. 30r

Dettaglio ingrandito dell’immagine precedente

Codice Skylitzes Matrilensis del secolo XI custodito nella Bibliteca Nazioinale Spagnola (Vitr. 26-2, Bild. Nr. 77), f. 34 v

 

Prima di chiudere vorrei fare un’annotazione etimologica sulle varianti di dragunara registrate dal Pitrè. Se per sufunara ritorna in campo inequivocabilmente il sifone (e nel dialetto siciliano sufunata non è solo il getto di seltz, ma anche, più genericamente, il getto saettante e il tiro rapido del pallone), per mànica ipotizzerei un rapporto di somiglianza di forma, partendo da ciò che trovo in Michele Pasqualino, Vocabolario siciliano etimologico, Reale Stamperia, Palermo, 1789, al lemma manica: Mannica diciamo anche lo stretto della rete, che rassomiglia a un sacco.

Che la voce indicante la tromba marina sia connessa con la pesca trova ulteriore conferma in  Vincenzo Mortillaro, Nuovo dizionario siciliano-italiano, Pensante, Palermo, 1853, al lemma manica: Canale di rame o d’altro per cui si conduce il vino per empire le botti ed a vari arnesi di farmacia, di pesca di marina, ed altro si dà pure il nome di manica. D’altra parte l’idea del tubo è nel significato primario della voce italiana, nonché in quelli dei derivati manicotto e manichetta (con quest’ultima il pensiero corre al già detto siphon antincendio degli antichi romani. Ma, giacché ci sono, faccio notare come l’idea del tubo si connetta con quella del serpente (simbolo del maligno fin dai tempi di Adamo ed Eva) e come questo possa essere considerato un parente del drago. D’altra parte, per quanto tempo i fenomeni naturali avversi sono stati spacciati dalla religione come punizione divina dei peccati umane?

Se per la Sicilia rimane, tutto sommato, un bel gruzzolo di memoria, lo stesso non può dirsi per la Puglia e, ancor più, per Nardò. Io stesso non sarei venuto a conoscenza dello zumfione se nel corso di una conversazione come tante non fosse uscito dalla bocca di mio cognato Giuseppe Presicce, che, pur essendo più giovane di me, ne aveva sentita parlare da suo padre, che aveva avuto, fra l’altro,  l’opportunità di vedere all’opera una tagliatrice di zumfioni.

Ho già detto delle innumerevoli varianti del rituale e dal ricordo di mio cognato (che, fra l’altro, all’epoca del racconto del padre era un ragazzino) emerge che la tagliatrice di Nardò posava il coltello sulla paglia prima di usarlo per il taglio e che nel corso dell’operazione pronunciava parole incomprensibili (capisco che pure il millantatore di un potere non comune sia geloso degli strumenti del mestiere e abbia pure il diritto di difendersi dal plagio, ma non posso fare a meno di ricordare che ciò che è strano e ancor più ciò che è incomprensibile suscitano, comunque, curiosità e, a seconda delle situazioni e  degli individui, timore, rispetto, fiducia, fede (e questo accomuna tutte le religioni).

Resta così, pure per Nardò, press’a poco solo la memoria del nome, destinata anch’essa a scomparire, perché non vivificata da testimonianze a loro tempo registrate. In passato i vecchi erano una fonte preziosa di conoscenza e, siccome da parecchio tempo ormai abbiamo per so quasi completamente la virtù dell’ascolto, la tradizione orale, in pratica, non esiste più. Tuttavia una speranza mi ha ispirato a scrivere questo post: quella che qualche volenteroso onesto (pure per me sarebbe facile inventarmi una giaculatoria e spacciarla per autentica … ) ci renda partecipi di quanto, eventualmente, appreso dal bisnonno grazie al nonno …

Sarebbe, oltretutto, una prova dell’interesse suscitato da argomenti diversi da questo, quale, per esempio, Magia popolare: le legature con il sangue mestruale, che su questo blog, ancora oggi, a distanza di più di cinque anni dalla sua pubblicazione, riscuote quotidianamente il più alto numero di visualizzazioni (sicome ne ho la possibilità, periodicamente mi piace studiare fenomeni statistici di questo tipo). Per questo mi ha fatto meraviglia che il 3 u. s. abbia registrato solo 5 visualizzazioni rispetto alle 151 del mio post, ancor più datato (4/11/2011) L’escort e la pulandra: magra consolazione dovuta probabilmente ad un pruriginoso passaparola, nella conferma di una regola … .

Forse un titolo più accattivante o, addirittura, sparato, avrebbe dato alla mia speranza qualche possibilità in più, ma sono un pacifista e non sparo a nessuno e a niente, nemmeno a un titolo

Vi raccomando di non segnalare questo post al vostro idraulico, per evitare le conseguenze sintetizzate in questa vignetta di coda.

____________

 

Note

1 Gerhard Rohlfs, Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto), Congedo, Galatina, 1976

2 Li cito, aggiungendo la mia traduzione, dall’edizione di Giovanni Lamio, 1745 inserita nel v. CVIII della Patrologia del Migne, 1863. Questo per risparmiare al lettore la rettifica delle innumerevoli (quando ci sono …) citazioni fasulle e traduzioni fantasiose che s’incontrano in rete.

3  XIX, 6, colonna 992

Ὲχέτω δἑ  πάντως τὸν σίφωνα κατὰ τὴν πρώραν  ἔμπρσθεν χαλκῷ ἠμφιεσμένον,  ὡς ἔθος, δι’οὗ τὸ ἐσκευασμένων πῦρ κατὰ τῶν ἐναντίωνἀκοντίσαι. Καὶ ἂνωθεν  δἑ  τοῦ τοιοὺτου σίφωνος ψευδοπάτιον ἀπὸ σανίδων, καὶ αὑτὸ περιτετειχεσμένον σανίσιν, έν ᾧ στήσονται ἄνδρες πολεμισταὶ τοῖς έπερχομένοις ἀπὸ τῇς πρώρας τῶν πολεμίων ἀντιμαχόμενοι ᾓ κατὰ τῇς πολεμίας νεὼς ὁλῇς βάλλοντες δι’ ὅσων ἄν έπινοᾑσουσι ὅπλων.

4 L’edizione, che, fra l’altro, è quella di riferimento, reca ὄλης (leggi oles), che in greco non esiste; per questo nel testo riportato nella nota precedente’ho emendato in ὁλῇς  (leggi olès). Fra l’altro la voce risulta comodamente omessa nella traduzione latina a fronte, che accompagna il testo originale.

5 τῶν δὲ πρῳρέων ἐλατῶν οἱ τελευταῖοι δύο ό μὲν ἔστω σιφωνάτωρ, ό  δὲ ἔτερος ό τὰς  ἀγκύρας βάλλων κατὰ θάλασσαν.

6 Πολλὰ δὲ καὶ ἐπιτηδεύματα τοῖς παλαῖοις καὶ δὲ τοῖς νεωτέροις ἐπενοήθη κατὰ τῶν πολεμικῶν πλοίων καὶ τῶν ἐν αὐτοῖς πολεμούντων. Οἶον τό τε ἐσκευασμένον πῦρ μετὰ βροντῇς καὶ καπνρῦ προπείρου διὰ τῶν σιφώνων πεμπόμενον, καὶ καπνίζον αὐτά.

7 Χρήσασται  δὲ καὶ τῇ ἂλλῃ μεθώδῳ τῶν διὰ χειρὸς αλλομένων μικῶν σιφώνων ὄπισθεν τῶν σσιδερῶν σκουταρίων παρὰ τῶν στρατιωτῶν κρατουμένων, ἄπερ χειροσίφωνα λέγεται, παρὰ τῆς ἡμῶν βαοιλείας ἄρτι κατεσκευασμένα. Ρίψουσι γὰρ καὶ αὐτὰ τοῦ ὲσκευασμένου πυρὸς κατὰ τῶν προσώπων  τῶν πολεμίων. 

8 … λυσιτελεῖ τὰ στρεπτὰ καλούμενα τὰ διὰ μηχανῆς τὸ ὑγρὸν πέμποντα δηλαδὴ πῦρ , ὃ δὴ καὶ λαμπρὸν παρὰ τοῖς πολλοῖς, ὀνομάζεται , καὶ τὰ λεγόμενα χειροσίφωνα , ἅπερ νῦν ἡ βασιλεία ἡμῶν ἐπενόησε .

9 … ἐν ἑκάστῃ πρώρᾳ τῶν πλοίων διὰ χαλκῶν καὶ σιδήρων λεόντων καὶ ἀλλοίων χερσαίων ζῴων κεφαλὰς μετὰ στομάτων ἀνεῳγμένων κατασκευάσας, χρυσῷτε περιστείλας αὐτὰ ὡς ἐκ μόνης θέας φοβερὸν φαίνεσθαι, τὸ διὰ τῶν στρεπτῶν κατὰ τῶν πολεμίων μέλλον ἀφίεσθαι πῦρ διὰ τῶν στομάτων αὐτῶν παρεσκεύασε διιέναι, ὥστε δοκεῖν τοὺς λέοντας καὶ τἆλλα τῶν τοιούτων.

… οὐδὲ γὰρ ἐθάδες ἦσαν τοιούτων σκευῶν ἢ πυρὸς ἄνω μὲν φύσει τὴν φορὰν ἔχοντος, πεμπομένου δʼ ἐφʼ ἃ βούλεται ὁ πέμπων κατά τε τὸ πρανὲς πολλάκις καὶ ἐφʼ ἑκάτερα …

10

Τοῦτο δὲ τὸ πῦρ ἀπὸ τοιούτων μηχανημάτων αὐτοῖς διεσκεύαστο. ἀπὸ τῆς πεύκης καὶ ἄλλων τινῶν τοιούτων δένδρων ἀειθαλῶν συνάγεται δάκρυον εὔκαυστον. Τοῦτο μετὰ θείου τριβόμενον ἐμβάλλεταί τε εἰς αὐλίσκους καλάμων καὶ ἐμφυσᾶται παρὰ τοῦ παίζοντος λάβρῳ καὶ συνεχεῖ πνεύματι, κᾆθʼ οὕτως ὁμιλεῖ τῷ πρὸς ἄκραν πυρὶ καὶ ἐξάπτεται καὶ ὥσπερ πρηστὴρ ἐμπίπτει ταῖς ἀντιπρόσωπον ὄψεσι. τούτῳ τῷ πυρὶ κεχρημένοι οἱ τἄνδον τοῦ Δυρραχίου κατέχοντες, ἐπείπερ ἀντιπρόσωποι ἦσαν τοῖς πολεμίοις, τάς τε γενειάδας αὐτῶν κατέφλεξαν καὶ τὰ πρόσωπα. καὶ ἦν ἰδεῖν τούτους καθάπερ σμῆνος μελισσῶν ὑπὸ καπνοῦ διωκόμενον ἐξαγομένους ἀτάκτως, ὅθεν εὐτάκτως εἰσῄεσαν.

11 Tale non può essere considerato il Liber ignium ad comburendos hostes (Libro dei fuochi per bruciare i nemici), un breve trattato,  il cui manoscritto del secolo XV, fu rinvenuto nella biblioteca Nazionale di Parigi da Gabriel de La Portel, che lo pubblicò nel 1804. Il trattato, del quale è dichiarato come autore Marcus Graecus, è in latino, ma si è certi che si tratta della traduzione da un originale greco, per la cui datazione è possibile indicare solo il termine ante quem in qualche decennio prima del 1267, anno in cui lo conoscevano Alberto Magno e Ruggero Bacone, che lo citano nelle loro opere. Il testo, magnificato poi dagli eruditi di tutta Europa nei secoli XV e XVI, successivamente vide drasticamente ridotta la sua importanza, almeno per quanto riguarda la ricetta per la preparazione del fuoco greco, che, comunque, riporto proprio dalla prima edizione: Ignem Graecum tali modo facies: Recipe sulphur vivum, tartarum, sarcocollam et picem, sal coctum, oleum petroleum et oleum gemmae. Facias bullire invicem omnia ista bene.    Postea impone stuppam et accende, quod si volueris exhibere  per embotum ut supra diximus.    Stuppa illinita non  extinguetur, nisi urina vel aceto vel arena. (preparerai il fuoco greco in tal modo: prendi zolfo naturale, tartaro, sarcocolla e pece, sale cotto, petrolio e olio di gomma. Fai bollire bene tutto questo insieme. Poi immergi della stoppa e accendila e se vuoi gettala con uno stantuffo, come ho detto prima. La stoppa accesa si spegne solo con l’orina o con l’aceto o con la sabbia)

12 L a mia traduzione è sul testo originale riportato nella nota successiva, quale si legge nell’edizione critica Weber, Bonn, 1840, p. 84.:

13  Ὡσαύτως χρή σε καὶ περὶ τοῦ ὑγροῦ πυρός, τοῦ διὰ τῶν σιφώνων ἐκφερομένου μεριμνᾶν τε καὶ μελετᾶν, ὡς εἴπερ ποτὲ τολμήσωσί τινες καὶ αὐτὸ ἐπιζητῆσαι, καθὼς καὶ παρ’ ἡμῶν πολλάκις ἐζήτησαν, τοιούτοις αὐτοὺς ἔχεις ἀποκρούεσθαι καὶ ἀποπέμπεσθαι ῥήμασιν, ὅτι· “Καὶ αὐτὸ ἀπὸ τοῦ Θεοῦ δι’ ἀγγέλου τῷ μεγάλῳ καὶ πρώτῳ βασιλεῖ Χριστιανῷ, ἁγίῳ Κωνσταντίνῳ ἐφανερώθη καὶ ἐδιδάχθη. Παραγγελίας δὲ μεγάλας καὶ περὶ τούτου παρὰ τοῦ αὐτοῦ ἀγγέλου ἐδέξατο, ὡς παρὰ πατέρων καὶ πάππων πιστωθέντες πληροφορούμεθα, ἵνα ἐν μόνοις τοῖς Χριστιανοῖς καὶ τῇ ὑπ’ αὐτῶν βασιλευομένῃ πόλει κατασκευάζηται, ἀλλαχοῦ δὲ μηδαμῶς, μήτε εἰς ἕτερον ἔθνος τὸ οἱονδήποτε παραπέμπηται, μήτε διδάσκηται. Ὅθεν καὶ τοῖς μετ’ αὐτὸν ὁ μέγας οὗτος βασιλεὺς ἐξασφαλιζόμενος περὶ τούτου ἐν τῇ ἁγίᾳ τραπέζῃ τῆς τοῦ Θεοῦ ἐκκλησίας ἀρὰς ἐγγραφῆναι πεποίηκεν, ἵνα ὁ ἐκ τοῦ τοιούτου πυρὸς εἰς ἕτερον ἔθνος δοῦναι τολμήσας μήτε Χριστιανὸς ὀνομάζεται, μήτε ἀξίας τινὸς ἢ ἀρχῆς ἀξιοῦται· ἀλλ’ εἴ τινα καὶ ἔχων τύχῃ, καὶ ἀπὸ ταύτης ἐκβάληται καὶ εἰς αἰῶνας αἰώνων ἀναθεματίζηται καὶ παραδειγματίζηται, εἴτε βασιλεύς, εἴτε πατριάρχης, εἴτε τις ἄλλος ὁ οἱοσοῦν ἄνθρωπος, εἴτε ἄρχων, εἴτε ἀρχόμενος τυγχάνοι ὁ τὴν τοιαύτην ἐντολὴν παραβαίνειν πειρώμενος. Καὶ προετρέψατο πάντας τοὺς ζῆλον καὶ φόβον Θεοῦ ἔχοντας, ὡς κοινὸν ἐχθρὸν καὶ παραβάτην τῆς μεγάλης ταύτης ἐντολῆς, τὸν τοιοῦτον ἐπιχειροῦντα ποιεῖν ἀναιρεῖν σπουδάζειν, καὶ ἐχθίστῳ καὶ χαλεπῷ παραπέμπεσθαι θανάτῳ. Συνέβη δέ ποτε, τῆς κακίας ἀεὶ χώραν εὑρισκούσης, τινὰ τῶν ἡμετέρων στρατηγῶν δῶρα παρά τινων ἐθνικῶν πάμπολλα εἰληφότα μεταδοῦναι αὐτοῖς ἐκ τοῦ τοιούτου πυρός, καὶ μὴ ἀνεχομένου τοῦ Θεοῦ ἀνεκδίκητον καταλιπεῖν τὴν παράβασιν, ἐν τῷ μέλλειν αὐτὸν ἐν τῇ ἁγίᾳ τοῦ Θεοῦ εἰσιέναι ἐκκλησίᾳ πῦρ ἐκ τοῦ οὐρανοῦ κατελθὸν τοῦτον κατέφαγε καὶ ἀνάλωσεν. Καὶ ἀπὸ τότε φόβος μέγας καὶ τρόμος ἐν ταῖς ἁπάντων ἐνετέθη ψυχαῖς, καὶ οὐκέτι οὐδεὶς τοῦ λοιποῦ, οὔτε βασιλεύς, οὔτε ἄρχων, οὔτε ἰδιώτης, οὔτε στρατηγός, οὔτε ὁ οἱοσοῦν ὅλως ἄνθρωπος κατετόλμησέ τι τοιοῦτον ἐνθυμηθῆναι, μήτι γε καὶ ἔργῳ ἐπιχειρῆσαι ποιῆσαι ἢ διαπράξασθαι.

 

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