A volte tornano, pure le testuggini

di Armando Polito

Meglio loro che un Hitler o un altro simile umano (solo la nostra razza lo sa fare …). Il lettore già col titolo si starà chiedendo se si trova di fronte ad un giornalista extrapazzo o da strapazzo, ma io, parafrasando l’immenso Totò (per i giovani e per i non ancora anziani

(https://www.youtube.com/watch?v=MuaJdM5JKzs), che sono, un giornalista? E allora, in attesa di altre bordate, proseguo. Le testuggini, anzi la testuggine di cui sopra è quella della quale mi sono occupato su questo blog; consiglio per chi continua a pensare che stia farneticando: https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/15/melpignano-due-epigrafi-del-palazzo-marchesale/.

Partita da Melpignano, or sono più  di due anni, e approdata grazie alle vele di questo blog in quel di Ferrara, in Salento  è tornata, arricchita come solo le esperienze, stavo per dire le avventure, culturali consentono, sotto forma di un pdf a firma di Micaela Torboli, dal titolo La formica e la testuggine. L’epigrafe di casa Achille Pozzati di Via della Ghiara a Ferrara, un saggio pubblicato in Atti e memorie della Deputazione provinciale ferrarese di storia patria,  serie V, volume I, Baraldini edizioni e stampe, Finale Emilia, 2021, pp. 99-150. Sarei un ipocrita se non dicessi che l’apprezzamento per qualche mia modesta fatica mi fa piacere (e in questo sono ancora nella razza umana …), ma certamente sono sincero quando dico che mi fanno più piacere le eventuali, tutt’altro che improbabili, critiche negative (e, mi si creda o no, in questo comincio a collocarmi al di fuori di quella razza …). Sorvolo, perciò, sulle locuzioni gratificanti contenute nel saggio e mi soffermo sull’unico appunto che mi si muove, cioè la mancata indicazione del luogo di ubicazione di un manoscritto, riguardo al quale mi si rimprovera pure di non averne sottolineato la rilevanza. Prendo atto della lacuna nella quale sono incorso nonostante il mio rigore quasi maniacale, quanto meno  nella citazione della fonte quando non sia stato possibile fornire alcuna immagine o controllare de visu il manufatto; in questo caso c’è l’aggravante che un manoscritto esattamente con lo stesso nome Palatino 147 (coincidenza quasi incredibile) è custodito nella Biblioteca Vaticana.  Ho già provveduto  alla quanto mai opportuna integrazione, con un doveroso richiamo in nota e  ora intendo disobbligarmi forse contando un po’ troppo nelle mie reali o presunte competenze di cultura classica e in partticolar modo di filologia e, per scendere ancor più in dettaglio, in metrica.

L’autrice nel suo saggio manifesta più volte il dubbio, per non dire la certezza, del rimaneggiamento del supporto, il che avrebbe indotto anche una lacuna nella parte iniziale dell’epigrafe ferrarese.

Di seguito  come essa si presenta nella sua trascrizione, che ho tratto in formato grafico dal documento originale.

Subito dopo l’autrice aggiunge: Questa trascrizione riprende quasi esattamente lo stato grafico del testo, impaginato su due linee.  Esso fa comprendere che la lastra è mutila, perché la linea superiore manca di un verbo iniziale, chiave, come vedremo, per chiarire il senso della frase, e che doveva sporgere sulla sinistra, rendendo armonica la distribuzione delle lettere capitali nello specchio, così:  

Posso assicurare, per quanto mi compete (sul supporto nulla posso dire,  non avendolo, fra l’altro, visionato), che l’iscrizione in sé è assolutamente integra e mi accingo a dimostrarlo,  chiedendo scusa ai meno (cioè ai cosiddetti addetti ai lavori) per rendere fruibile quanto dirò ai meno (ahimè, sempre meno …) disposti a non perdere neppure un po’ del loro tempo per seguire le ultime vicende di questo o quel presunto artista del momento  piuttosto che argomenti come questi. Non confido, comunque, nelle mie capacità divulgative, che, almeno teoricamente, avrei dovuto possedere in partenza e, se non ottuso, affinare proprio grazie al mio mestiere (ricordo che la parola è, tramite il francese, dal latino ministerium=ufficio, incarico,  servizio; e quello dell’insegnante dovrebbe essere, soprattutto, un servizio …).

Intanto la trascrivo con l’emendamento di perambulat (presente indicativo) con perambulet  (presente congiuntivo), non solo perché tale modo esprime la potenzialità solo augurale, purtroppo, delle due azioni, per giunta rese ancora più problematiche dallo scambio dell’habitat naturale (terra/mare) dei due animali  (la congiunzione donec regge, invece, l’indicativo quando si riferisce ad un atto già compiuto o suscettibile di compimento nel futuro), ma anche perché la congiunzione et, che è una coordinante, sarebbe una pessima coordinatrice di una coppia sgangherata quale sarebbe quella formata da due proposizioni, la prima col verbo al congiuntivo, la seconda all’indicativo. Un esame più accurato del manufatto dovrebbe confermare l’emendamento, anche se è sempre in agguato l’errore dell’esecutore, non certo del committente o di chi, per lui, ha fornito il testo da incidere o, se si tratta di un’inscriptio picta, da dipingere.

Haec  domus hic donec fluctus formica marinos

ebibat et totum testudo perambulet orbem

Tuttavia, lo scambio perambulat/perambulet non inciderebbe minimamente, come s’intuisce, sul problema dell’ipotizzata mutilazione  del testo, ipotesi basata su motivi puramente estetici (armonica la distribuzione delle lettere), e di una conseguente  difficoltà di comprendere il senso.

Dirimente, invece, è l’esame metrico; di seguito la scansione.

I due esametri, anche il primo sospettato di essere rimasto vittima di un incidente, mostrano una struttura perfetta, che non lascia alcuna possibilità dell’intrufolamento di STET, perché, almeno fino ad ora, non ho incontrato un solo esametro con un piede mostruoso fatto di quattro sillabe (STET HAEC DOMUS).

– Va bene ! – mi si dirà.  – E col senso, come la mettiamo? Difficile, no? -.  La risposta è – Facile! – e si trova proprio nella parte finale delle due battute, in quel verbo che, paradossalmente, esprime la presenza, l’esistenza, l’essenza, ma che non solo in italiano spesso, senza che ce rendiamo conto, è sottinteso.

Per farla breve: all’inizio dell’epigrafe è sottinteso SIT (sia, esista, resti in piedi), la cui presenza, sarebbe stata certamente plausibile dal punto di vista semantico (da qui lo STET di altre epigrafi in esametri col testo più o meno simile, riportate dall’autrice e che, se trascritte correttamente, mostrerebbero anche loro una struttura perfetta.

Pertanto la traduzione letterale dell’epigrafe suona così:

Sia questa casa qui finché i flutti marini la formica

berrà e la testuggine farà il giro di tutta la terra

Resto a disposizione per ogni ulteriore chiarimento ed esprimo la mia gratitudine perché una delle piccole onde generate da un sassolino gettato in mare è giunta a felice destinazione o, per tornare al titolo,  una piccola testuggine, dopo essere diventata adulta, è tornata a farmi visita …

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