di Giovanni Maria Scupola
Ezechiele Leandro nasce a Lequile, piccolo paese alle porte di Lecce, nel 1905. Rimasto in giovane età orfano di entrambi i genitori, viene accolto in un convento di Francescani dove apprende i rudimenti della scrittura. Si forma autodidatta, accostandosi da solo all’arte della pittura e della scultura, tenendosi lontano dalle scuole e dalle botteghe dei maestri.
Nel 1933 si reca come minatore in Africa, dove acquista familiarità con terre e sostanze naturali che impara a mescolare ricavandone colori con i quali inizia a realizzare rudimentali opere pittoriche.
Successivamente si reca in Germania per lavoro. Tornato in Italia, sopravvive grazie agli introiti che gli derivano dall’attività di raccolta e rivendita di ferro vecchio. Sarà proprio il contatto con il ferro e con i materiali di recupero quotidianamente trattati ad accrescere il desiderio di assemblare i rifiuti della società, di riutilizzarli per dare forma ad istintive creazioni artistiche.
Negli anni ’40 Leandro inizia così la sua produzione realizzando sculture in ferro e cocci di ceramica o materiale vitreo, assemblati col cemento. Alla fine degli anni ’50, realizza le sue prime opere pittoriche.
Apprezzato dalla critica, riceve diversi riconoscimenti e partecipa e viene invitato a numerose manifestazioni artistiche.
Geniale, istintivo e dall’animo inquieto, Ezechiele Leandro riesce ad elaborare un proprio originale linguaggio artistico impropriamente definito naif o outsider.
La sua arte in realtà va oltre la mera rappresentazione e le sue opere, al tempo stesso primordiali e graffianti, finiscono con assumere soprattutto una valenza simbolica, metafora dei valori e dei disvalori della società contemporanea.
Pur non avendo conseguito alcuna istruzione scolastica, Leandro si rivela sensibile ed originale scrittore.
Nelle sue opere letterarie, scritte secondo uno stile anch’esso originale che mescola la forma dialettale ad un italiano sgrammaticato, Leandro manifesta un pensiero che, passando attraverso la religione, le usanze, i costumi del mondo contemporaneo, giunge all’elaborazione del proprio “fare arte”.
Testimonianza dell’espressività di Leandro sono d’altronde anche le pitture e le sculture che egli ha eseguito sulle facciate esterne della sua abitazione a San Cesario di Lecce, offerte alla visione di tutti.
Vero e proprio museo all’aperto, nel giardino interno che egli definiva “Santuario della pazienza” sono presenti numerosissime sculture che Leandro ha realizzato nell’intero corso della sua vita.
Ezechiele Leandro muore a San Cesario di Lecce il 17 febbraio del 1981, alla vigilia dell’inaugurazione di una importanza mostra personale organizzata dal suo paese d’adozione che, superate le difficoltà di comprendere un artista di inconsueta originalità, lo aveva finalmente accolto come autore di primaria e meritata importanza.
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Non penso sia naïf o outsider-anzi lo escludo.Probabilmente una certa affinità con la primordialità c’è, ne suscita il pensiero dell’intimo o intimismo, molto vicino al suo modo che lega e rivela ” l’interno “visione stessa del suo dire e fare:” jou quistu suntu ” peppinu. Veniva a trovarmi ad Arnesano con la sua bicicletta con la cassetta dietro:” biciu cce sta faci “, poi,io riandavo a S.Cesario.Tra “ferraglia e mattonelle” lascio immaginare-Lui-mi conosceva come figlio d’arte, e certo,attento al suo modo: e una volta docente nel nascente Tecnico Industriale (anni 60-70 )in Salento, precisamente a Casarano si prestò l’occasione – ” comando ” del Preside Paolo Congedo: fai qualcosa con i cascami di laboratorio perchè i ragazzi imparino a saldare. Oggi sono premio della critica Italia a Firenze , quale Omaggio a Gaudì-acciaio e vetro-. E’ un peccato che qualcuno non ci segua – anni fa esposizione a”CENTRUM” Lecce – ora, in permanenza nella Valle della Cupa a Arnesano. Mi auguro un approccio – qualcuno di Fondazione mi conosce.