di Mario Colomba
in sostanza erano molto simili a quelle descritte prima ma con la sostituzione delle travi metalliche a doppio T da parte ditravetti in cemento armato della sezione di cm. 20×20, estradossati rispetto alle fette di tufo, armati con 3 o 4 ferri longitudinali del & 12 o 14 a secondo delle luci che non superavano m. 4,50-5,00 e staffe del & 6/25 cm. Questa tipologia di copertura comportava l’uso sia pur contenuto di una certa quantità di legname limitato al fondo dei travetti ed alle sponde perimetrali dei cordoli esterni, quando non era presente un corso di muratura di contenimento.
Dal retaggio delle forme arrotondate delle volte murarie, persistette per un certo tempo l’uso di raccordare la verticalità dei muri d’ambito con l’orizzontalità della copertura mediante l’interposizione di un corso perimetrale di muratura, leggermente sporgente rispetto ai muri sottostanti e leggermente inclinato o sagomato con un arco circolare (canna spaccata). Il limite all’impiego di questa tipologia di copertura fu il notevole peso proprio che portò, come naturale sviluppo, l’introduzione di elementi di alleggerimento in laterizio assemblati in modo progressivamente sempre più efficace con la formazione dei solai latero-cementizi.
Solai latero-cementizi
Nelle tipologie originarie, la caratteristica comune era costituita dall’assemblaggio di volterrane in laterizio per comporre a piè d’opera dei travetti che, dopo la necessaria stagionatura, venivano messi in opera semplicemente accostandoli, senza uso di impalcature di sostegno o di casseforme che si limitavano appena ad un rompitratta, con notevole risparmio nell’uso del legname necessario.
Il primo travetto veniva formato predisponendo un piano di assi di legno leggermente arcuato in senso longitudinale con una freccia corrispondente alla monta del solaio e perciò proporzionale alla luce della copertura. La concavità era rivolta verso l’alto o verso il basso a seconda della particolare tipologia.
Dopo aver allineato perfettamente le volterrane, che avevano delle sporgenze laterali (alette), si annegavano negli alloggiamenti in esse predisposti, previa abbondante bagnatura, i ferri di armatura laterali che venivano sigillati con malta cementizia ad elevata percentuale di cemento con un copriferro dello spessore di circa un centimetro; analogamente venivano cementati i ferri di armatura superiori, generalmente di sezione inferiore, nelle apposite scanalature. Sul primo travetto così formato si spargeva un sottile strato di sabbia e quindi si procedeva alla formazione di un certo numero di travetti, sovrapposti fino ad un’altezza di circa m. 1,50 che permetteva di lavorare senza sforzi supplementari.
Dopo una adeguata stagionatura di qualche settimana, i travetti venivano messi in opera appoggiando le estremità alle murature e accostandoli progressivamente fino a coprire l’intera superficie degli ambienti interessati.
Successivamente si procedeva alla collocazione delle armature metalliche principali, in tondini di ferro omogeneo di adeguato diametro, disponendole nelle cosiddette nervature, corrispondenti al vuoto tra due travetti contigui determinato dall’accostamento delle alette sporgenti e di quelle della soletta superiore (caldana) costituite da una rete a larga maglia in tondini di ferro omogeneo del & 6.
Con lo sviluppo della carpenteria connesso alla diffusione delle strutture in c.a., la maggiore disponibilità di legname portò, come naturale evoluzione del sistema alla tipologia di solaio latero-cementizio gettato in opera. Questo tipo di solaio superava alcuni difetti delle tipologie precedenti connessi soprattutto alla esiguità delle sezioni resistenti che imponevano l’uso di un conglomerato a granulometria sottile che spesso risultava ampiamente alveolato o di scarsa consistenza per difetto di dosaggio di cemento; si risparmiava l’armatura di prefabbricazione connessa alla formazione dei travetti; si riduceva il tempo di posa in opera poiché non occorreva più attendere la stagionatura dei travetti. Tuttavia, non veniva eliminato il difetto della insufficienza di copriferro delle armature principali che, durante il getto, non sempre venivano sollevate dalla cassaforma per farle avviluppare dal conglomerato. Il risultato negativo consisteva nella formazione di ruggine sulle armature non protette da un adeguato copriferro che si riscontrava solo tardivamente, quando il fenomeno dell’ossidazione aveva assunto dimensioni distruttive., Questo inconveniente si manifestava specialmente nelle coperture terminali che, solo da qualche decennio, ora vengono correntemente coibentate per impedire la formazione di condensa, generalmente responsabile dei fenomeni ossidativi.
La continua ricerca ha portato alla messa a punto di innumerevoli tipologie: dal solaio a camera d’aria con travetti prefabbricati accoppiati, ai travetti semi prefabbricati con armatura a traliccio, ecc., fino all’affermarsi della tipologia più accettata e diffusa costituita da travetti in cemento armato precompresso, armati con trefoli di acciaio armonico in numero e sezioni variabili a secondo della luce. Questa tipologia è ormai entrata nell’uso consueto sia perché ha eliminato tutti i difetti da cui erano affette le tipologie precedenti sia per la relativa facilità ed economicità della posa in opera.
Questo e gli altri testi pubblicati a firma di Mario Colomba sono tratti dal suo lavoro:
MARIO COLOMBA – “LE PRATICHE DELL’ARTE DEL COSTRUIRE NEL TERRITORIO DI NARDO’ E DINTORNI”
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