Messapia: chi coniò questo termine e perché

di Nazareno Valente

 

Per dare una risposta credibile al quesito che ci siamo posti, vale a dire come mai i Greci scelsero il nome di Messapia da sovrapporre a quello già in uso di Calabria, è opportuno analizzare dapprima il contesto in cui l’evento si realizzò, così da inserire le informazioni nel loro ambito più proprio.

All’inizio dell’ultimo millennio prima dell’era cristiana, la Puglia si chiamava Iapigia ed era abitata dagli Iapigi, popolazione la cui genesi era avvenuta in un’epoca collocabile tra l’età del bronzo e quella del ferro e che gli studiosi concordano nel credere d’origine illirica. Più nel dettaglio si reputa che, su una cultura locale preesistente, si siano inseriti apporti esterni in misura significativa di provenienza illirica.

Anche alcuni storici antichi propendevano per una simile ipotesi, però, come era loro abitudine, facevano risalire l’avvenimento ad un ben determinato episodio collocato in epoca mitica. Nello specifico ricorsero ad una figura alquanto controversa, Licaone, leggendario re degli Arcadi, al quale la saga attribuiva la paternità di cinquanta e più figli, ai quali qualcuno, per l’occasione, aggiunse pure Iapige, Dauno e Peucezio.

Sorta in età ellenistica, la tradizione trovò infine definizione negli scritti del poeta Nicandro28 il quale narrò che  Licaone, dopo aver raccolto un consistente esercito in gran parte composto da Illiri guidati da Messapo, giunse sulla costa adriatica e scacciò gli Ausoni che possedevano quelle terre. Effettuata la conquista, Licaone divise l’esercito e il territorio in tre parti, denominando le popolazioni così costituite in base ai nomi dei comandanti, Dauni, Peucezi e Messapi. Questi ultimi presero possesso della regione che si protendeva nella parte estrema dell’Italia al di sotto di Taranto e Brindisi, chiamata per l’appunto Messapia.

Di là dal mito, la ricostruzione storica riconosce che gli Iapigi estesero il loro dominio sulla Puglia e su alcune zone della Lucania e dell’attuale Calabria fino a Crotone29. Dai riferimenti archeologici è possibile ricavare che la popolazione Iapigia mantenne una qual certa unitarietà sino alla fine del IX secolo, quando questa compattezza socioculturale incominciò a sfilacciarsi. I Calabri erano infatti venuti  in contatto con il flusso precoloniale di quel periodo e subivano i primi influssi della cultura ellenica; circostanza questa che li portò da principio a differenziarsi dai Dauni e, successivamente, pure dai Peucezi. In età storica si pervenne così alla costituzione delle tre distinte culture dei Dauni, dei Peucezi e dei Messapi.

È qui il punto di cesura indotto dall’arrivo dei Greci, che fece diventare, con il concorso dei Cretesi, Iapigi-Messapi gli originali Iapigi, così come raccontato da Erodoto.

Come i riscontri archeologici danno motivo di pensare, furono gli Eubei, soprattutto di Calcide, ad avviare un fattivo commercio nelle non facili rotte adriatiche, senza però riuscire ad imporre «apoichie» (colonie), come invece avvenne nelle zone del versante tirrenico (Pithecusa, Cuma) o ionico (Zancle, Rhegion). Con ogni probabilità gli Eubei ridimensionarono le loro mire iniziali perché dissuasi da popolazioni parecchio agguerrite, quali i Calabri di Brindisi e di Otranto, i Piceni e gli Etruschi. In ogni caso, tra la fine del IX e l’inizio dell’VIII secolo a.C. si sono evidenti segni della loro presenza sulle coste dell’allora Calabria, dovuti sia a contatti di livello commerciale, sia a scambi culturali.

D’altra parte, in quel periodo, le navi di Calcide arrivavano un po’ dappertutto alla ricerca dei metalli, tra cui  la preziosa ambra, senza tuttavia disdegnare i traffici meno nobili, quali quello degli schiavi, di vasellami e – se convenienti – di vino e di olio. Alla loro guida si ponevano aristocratici che rinverdivano le migliori tradizioni omeriche: pur di correre l’avventura ed il guadagno, non si preoccupavano di abbandonare gli agi delle proprie ricche case e di affrontare i disagi di lunghi e pericolosi viaggi. Le rotte dell’Adriatico divennero una specie di loro seconda casa.

Tutto questo fa supporre che furono proprio i Calcidesi gli artefici del cambiamento che portò la popolazione del Salento a differenziarsi dagli altri iapigi e, a mio giudizio, i più verosimili ideatori del termine Messapia.

Non nascondo, tuttavia, che questa mia ipotesi, di cui sono per altro il primo ed unico sostenitore, rappresenti un azzardo, essendoci fondati motivi per ritenerla, per chi s’accontenta delle apparenze, tirata in po’per i capelli.

Come infatti già visto, tutte le fonti letterarie disponibili collegano  il toponimo Messapia ad un eroe leggendario (Messapo) ed a luoghi (il monte Messapio) che fanno parte del folclore beotico e  non certo euboico. In aggiunta, i Beoti non amavano navigare e, se lo facevano, non erano mai nelle vesti di protagonisti.

Parrebbe pertanto a tutta prima inusuale che gli Eubei, nel coniare un termine, abbiano dovuto far ricorso ad elementi estranei alle loro tradizioni. Eppure, se non ci si ferma alla superficie e si valutano le informazioni non a sé stanti ma inserite nel giusto contesto, ogni particolare avvalora questa mia supposizione.

Guardando una qualsiasi cartina geografica salta subito agli occhi la contiguità tra le due regioni: l’Eubea è separata  dalla Beozia da uno stretto tratto di mare (l’Euripe) che, proprio all’altezza di Calcide, raggiunge un’ampiezza che supera appena qualche decina di metri. E, solo una quindicina di chilometri più in là, si trova il più volte richiamato monte Messapio.

 

Già la vicinanza potrebbe di per sé far desumere possibili comunanze di saghe e di eroi. Ma non c’è neppure bisogno d’un così generico appiglio, perché è sufficiente scavare appena nelle tradizioni delle due regioni per scoprire le tracce d’un legame indissolubile.

Se ne individua una prima avvisaglia in un frammento di Teopompo30 che dà menzione di una guerra combattuta dai Calcidesi contro la città di Calia ed i suoi alleati beoti, orcomeni e tebani. L’esatta posizione di Calia non è conosciuta, ciò nonostante, grazie ad un altro frammento di Teopompo31, si ha notizia che era nelle vicinanze di Aulide, città della Beozia posta proprio di fronte a Calcide, quindi anch’essa sua dirimpettaia. L’esito dei combattimenti è all’opposto certo: fu favorevole ai Calcidesi che, come ci riferisce Teopompo, occuparono la zona continentale della Beozia loro antistante («ἤπειρον ἔχουσι»).

Presumibilmente nella stessa epoca in cui commerciavano con gli antichi Calabri, i Calcidesi presero quindi possesso della prospiciente fascia costiera della Beozia, che andava con ogni probabilità da Aulide a poco oltre Antedone, sino al lago Yliki, e conteneva quindi anche le città di Calia, Hyrie ed il massiccio del Messapio.

 

Il frammento di Teopompo assume maggior valore, se si considera che ci viene riferito da Stefano, il geografo bizantino che, come già riportato, parlando del monte Messapio, lo diceva collocato in Eubea. Con ogni probabilità, Stefano nel consultare l’opera di Teopompo – della quale sono giunti a noi solo alcuni frammenti – deduceva che la fascia costiera beotica era un possesso stabile di Calcide, e di conseguenza comunemente considerata a tutti gli effetti facente parte dell’Eubea. E la situazione rimase tale per tutto il periodo di massimo splendore di Calcide, cioè a dire dal IX sino a quasi tutto il VII secolo a.C. come confermano in parte altre tradizioni.

La prima, molto diffusa in Beozia, narrava la sconfitta subita dal leggendario Calcodonte – qui nella versione di re degli Eubei – per mano di Anfitrione, padre legale di Ercole, con cui si poneva fine all’occupazione euboica e ai tributi che essi imponevano. La seconda, in cui è lo stesso Eracle a sconfiggere Pyrachme, re degli Euboici, a simboleggiare anch’essa la fine dell’occupazione dei territori costieri da parte di Caicide32. Dal momento che la saga delle avventure di Eracle in Beozia non è antecedente al VII secolo a.C.33 si può ritenere che Calcide attuò la sua supremazia almeno sino a quel secolo.

L’influenza di Calcide e di altri centri dell’Eubea è comunque riconoscibile anche da altri indizi.

La toponomastica ci racconta che l’antica Oropo, allora posta dirimpetto ad Eretria, altra famosa città dell’Eubea, si trovava nel distretto detto «Πειραική» (Peiraiché), termine che di per sé denotava uno stato di relazione, spesso subordinato, di una città costiera con un’isola poco lontana. Già in antichità si usava, infatti, la voce «περαία» (peraía) per indicare il controllo effettuato da un’isola su un’area costiera continentale. Sicché il termine “peréa” è diventato sinonimo tra gli studiosi, non solo di un legame geografico tra un territorio continentale e l’isola ad esso vicina, ma di un vero e proprio rapporto di dipendenza. Rapporto di subordinazione in antichità spesso frequente tra un’isola e la terraferma prospiciente. Gli isolani, la cui intraprendenza era rinomata, rappresentavano la componente progressista della società greca e, proprio per questa loro indole spregiudicata, quasi sempre destinati ad avere la meglio sulla componente conservatrice, di cui i continentali erano gli esponenti più paradigmatici. Gli isolani erano poi in genere naviganti, senza paure e scrupoli, che s’arricchivano con il commercio e, di conseguenza, avevano la possibilità economica di esercitare un qual certo potere sugli altri; i continentali erano invece pescatori, agricoltori, allevatori di bestiame, poco propensi ad affrontare l’alea dell’avventura e, di fatto, stanziali, legati a filo doppio con la terra da cui traevano sostentamento.

Oltre alle tradizioni ed alla diversa predisposizione mentale, l’ascendente di Calcide è più banalmente individuabile anche dalla situazione amministrativa dei nostri giorni: le zone di Antedone e Aulide, corrispondenti alla fascia costiera della Beozia che avevano subito l’influenza di Calcide antica, fanno appunto parte del comune di Calcide attuale. Come dire che si riconosce tuttora a tali territori una tradizione e una consonanza culturale che li pone più in relazione con la regione euboica che con il restante entroterra beotico.

Se non bastasse, anche in periodi precedenti al IX secolo a.C. è possibile riconoscere una precoce esperienza espansionistica dei Calcidesi in Beozia. Ne troviamo un riverbero nei versi omerici riguardanti “Il Catalogo delle Navi”34 dove vengono appunto elencati i vari contingenti giunti a Troia. Tra questi spiccano gli arditi Abanti ai quali gli studiosi riconoscono una posizione egemonica nelle cosiddette zone abantiche, di cui faceva parte pure la Beozia. Ebbene gli Abanti non sono altri che Eubei, guidati da Elefenore, figlio di Calcodonte, personaggio mitico già più volte messo in relazione con Calcide.

Alla luce di queste considerazioni, appare pertanto legittimo ipotizzare che la matrice del coronimo Messapia possa ritenersi euboica. E questa mia ipotesi sembra valorizzata pure da altri segnali che, presi di per sé appaiono delle semplici coincidenze ma, al contrario, valutati nel loro complesso inducono a buon diritto a credere che ci fosse un coinvolgimento per niente casuale degli Eubei, ed in particolare di Calcide, nella fissazione della toponomastica  locale della penisola salentina.

Elenchiamo questi indizi per sommi capi.

Abbiamo già riferito come  Erodoto parli di una Ὑρία (Hyrie) fondata dai Cretesi divenuti Messapi; Teopompo racconta, a sua volta, di una città con lo stesso nome di Ὑρία (Hyrie) collocata in Aulide nella fascia continentale controllata dagli Eubei. Erodoto ci narra poi di Cretesi adattatisi a vivere nell’entroterra calabro antico; Pausania ci riferisce che a Teumesso (località non meglio identificata della Beozia) c’è un tempio senza immagine dedicato ad Atena Telchinia35 e che i Telchini, da cui trae l’epiteto, sono venuti da Cipro, ma di fatto anch’essi isolani d’origine cretese, adattatisi poi a vivere sulla terraferma.

Stefano36 dà a sua volta notizia di due città della Messapia di non risolta collocazione: Amazones e Chalkitis.

La prima collegata alle Amazzoni, e che, guarda caso, trovava un suo corrispettivo nei  santuari a loro dedicati sia in Beozia, sia a Calcide. Quest’ultimo particolarmente famoso e significativo, perché vi trovavano sepoltura molte amazzoni cadute nel mitico combattimento ingaggiato contro Teseo per il rapimento della loro regina Antiope37. La seconda città, Chalkitis, riecheggia addirittura il nome di Calcide38 e ci fa sapere l’esistenza d’un centro della penisola salentina avente una stessa vocazione per la lavorazione e per il commercio dei metalli.

Ho tenuto per ultima una coincidenza toponomastica davvero speciale, già messa in evidenza da un autore tedesco più di cent’anni fa39. Riguarda le isole Petagne, poste all’imboccatura del porto esterno di Brindisi, il cui toponimo richiama quello di dieci piccole isole che si trovano al largo della  costa sud-occidentale dell’Eubea nel golfo di Petali, chiamate appunto con un nome avente la stessa radice: Πεταλιοί (Petalioi), i Petalii.

In definitiva troppe occorrenze, per derubricarle a casuali omonimie o somiglianze, che pongono in rilievo la matrice euboica di svariati  termini di località dell’antica Calabria. Non pare pertanto campata in area l’ipotesi che pure il coronimo Messapia sia dovuto ai naviganti di Calcide, frequentatori assidui delle coste dell’allora golfo Ionico. Il quale, per inciso, deve anch’esso il proprio nome agli Eubei. Almeno a dar credito ad alcuni autori.

Io, l’eroina dalla quale il mare aveva tratto la denominazione, secondo molte leggende aveva infatti stretti legami con l’Eubea: vi aveva concepito Èpafo, frutto dell’amore di Zeus; una volta tramutata in giovenca, vi avrebbe pascolato ed infine dalla giovenca stessa sarebbe derivato il nome di Abanti, con cui venivano identificati gli Eubei in tempi omerici.

In pratica ce n’è d’avanzo anche per credere che Messapo che, come abbiamo visto, molti autori antichi ritenevano il condottiero eponimo della Messapia, fosse originario dell’Eubea e che si trovasse in Beozia da conquistatore.

Il che farebbe cadere i dubbi sul coinvolgimento di un Beota nell’assegnazione d’un toponimo in terre che i suoi corregionali frequentavano al più da comprimari, non avendo nessuna tradizione marinara. Sicché si potrebbe a questo punto rivalutare la versione degli autori antichi e concludere che fu davvero Messapo, trasferitosi in Iapigia, a dare alla contrada il nome di Messapia.

Pur tuttavia non sarebbe una conclusione soddisfacente, se si pensa che in antichità era abitudine diffusa quella di far risalire le designazioni geografiche ad un personaggio leggendario, spesso forzando gli avvenimenti per raggiungere un simile scopo.

Propenderei piuttosto per un’ipotesi del tutto originale basata su un’informazione, poco sfruttata, fornita ancora una volta da Stefano40. Il geografo bizantino annota difatti, tra i coronimi assegnati in tempi arcaici alla Beozia, quello di Messapia.

In pratica, nel periodo in cui la zona continentale antistante Calcide era un possesso euboico, la Beozia era con ogni probabilità conosciuta con il nome di Messapia, vale a dire lo stesso termine poi scelto per designare la Calabria arcaica. Questa circostanza rende credibile un qualche collegamento tra Beozia e penisola salentina. Collegamento che potrebbe dare finalmente una risposta compiuta al nostro quesito.

Ebbene torniamo al passo in cui Erodoto narra dei Cretesi costretti, a causa del disastroso naufragio, a stabilirsi in Iapigia. Egli testualmente afferma: «dopo aver fondato in quel luogo la città di Hyrie, vi rimasero e cambiando sé stessi divennero Iapigi Messapi invece di Cretesi e continentali da isolani che erano» («ἐνθαῦτα Ὑρίην πόλιν κτίσαντας καταμεῖναί τε καὶ μεταβαλόντας ἀντὶ μὲν Κρητῶν γενέσθαι Ἰήπυγας Μεσσαπίους, ἀντὶ δὲ εἶναι νησιώτας ἠπειρώτας»).

Quindi Erodoto mette in relazione il cambio di nome (da Cretesi  a Messapi) con un mutamento di condizione sociale (da isolani a continentali), quasi fosse una conseguenza del tutto scontata. Così non fosse, non si comprenderebbe bene perché l’autore abbia avuto bisogno di mettere talmente in rilievo la connessione tra modifica di etnico e  mutamento di abitudini di vita. Se lo ha ritenuto necessario, è perché allora era abituale che così avvenisse: un popolo che non navigava più, e s’adattava a vivere sulla terraferma non poteva più considerarsi a tutti gli effetti Cretese, o isolano in senso lato, e doveva pertanto essere identificato con un etnico che richiamasse questa sua nuova condizione.

In altre parole, così come l’essere Cretesi richiamava la condizione di “isolani”, e quindi la predisposizione a navigare e a commerciare; l’essere Messapi evocava quella di “continentali”, quindi presupponeva la scelta di legarsi alla terra ed alla pastorizia. In altre parole, le condizioni sociali e le abitudini di vita degli abitanti della Calabria, sembrarono agli occhi dei Calcidesi molto simili a quelli di chi viveva in Beozia: continentali tipici, dediti alla pesca, all’agricoltura ed alla pastorizia, definibili in maniera adeguata con lo stesso termine usato per identificare i loro tradizionali dirimpettai. Per l’appunto, Messapi.

Anche se di più facile comprensione, un qualcosa di analogo avvenne sulla sponda opposta dell’’Adriatico, quando gli Eubei denominarono quella contrada Epiro (attuale Albania). Il nome scelto in quell’occasione faceva certo un più puntale riferimento con la terraferma: «Ἤπειρος» (Ḗpeiros), significa proprio “continente”  ma obbediva alla stessa logica di contrapposizione tra isola e terraferma adiacente.

Furono in definitiva le abitudini di vita e la collocazione geografica degli abitanti della penisola salentina a condizionare i Calcidesi nella scelta.

Nacquero in tal modo i termini di Messapia e di Messapi.

Tutti gli indizi lo fanno credere.

(2 – fine)

 

Note

28 NICANDRO DI COLOFONE (II secolo a.C.), apud antonino liberale (…),  Metamorfosi XXXI, fr. 47 Schneider.

29 EFORO (IV secolo a.C.), apud STRABONE, Cit., VI 1, 12.

30 TEOPOMPO (IV secolo a.C. ),  Apud STEFANO BIZANTINO, Cit, voce “Χαλία”.

31 TEOPOMPO, fr. 211 Jacoby.

32 PLUTARCO, Paralleli minori, 7.

33 Y. BEQUIGNON, La vallée du Spercheios des origines au IVe siècle, Paris 1937, pp. 210 – 231.

34 OMERO, Iliade, II 536 – 545.

35 PAUSANIA, Cit., IX 19, 1

36 STEFANO BIZANTINO, Cit., voci “Ἀμαζόνες”, “Ἀμαζόνειον”, “Χαλκίς”.

37 PLUTARCO, Vite parallele, Teseo 27.

38 Si ritiene comunemente che Calcide (Χαλκίς, Chalkís) derivi il proprio nome da χαλκός (Chalkόs), vale a dire rame o bronzo, a denotare la vocazione della città per la metallurgia.

39 M. MAYER, Apulien vor und während der Hellenisirung mit besonderer Berücksichtigung der Keramik, Berlino 1914, p. 387.

40 STEFANO BIZANTINO, Cit., voce “Βοιωτία”.

 

Per la prima parte clicca qui:

Messapia: era davvero una terra tra due mari? – Fondazione Terra D’Otranto

 

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