Brindisi, municipio romano (seconda parte)

di Nazareno Valente

In base ai dati desumibili dai ritrovamenti archeologici, si è portati a credere che il foro brindisino si posizionasse lì dove ora c’è piazza Mercato. In quello spazio si riunivano i comitia, le assemblee del tempo, composte dai cives e dagli incolae che nel complesso costituivano il populus, vale a dire chi, sia pure in diversa forma, era in possesso dei diritti civili e politici.

I cives erano cittadini di pieno diritto del municipio e, in quanto tali, iscritti alla tribù cui apparteneva la città. Le tribù – 35 nel complesso – non avevano alcun rilievo di carattere etnico, essendo dei puri e semplici distretti elettorali nei quali i cittadini romani erano ripartiti. Per la cronaca, Brindisi faceva parte della tribù Maecia, insieme a Napoli, Paestum, Hadria e Libarna.

Gli incolae erano invece per lo più forestieri che avevano richiesto ed ottenuto di risiedere nel territorio cittadino, oltre ad uno sparuto numero di brindisini cui non era stato riconosciuto il diritto latino nel periodo coloniale. Il populus così composto era ripartito in distretti politico-amministrativi, chiamati «curie», e partecipava alla vita pubblica prendendo appunto parte alle assemblee cittadine che, in prevalenza, avevano scopi elettorali ma anche di controllo delle attività finanziarie del municipio.

Così come per gli attuali comuni, anche i municipi romani avevano un organo collegiale di base, assimilabile ai consigli comunali, con funzioni quindi normative, finanziarie e di controllo. A quel tempo un simile organo era denominato ordo decurionum, sicché i consiglieri comunali erano chiamati decuriones o, meno spesso, curiales.

Le regole per diventare decuriones erano molto più rigide rispetto alle attuali. Intanto bisognava essere cives, il che presupponeva il possesso dei pieni diritti civili e politici; avere un’età non inferiore ai 25-30 anni; avere il domicilio in città da almeno cinque anni; godere degli honores (vale a dire il poter accedere alle magistrature); essersi sempre comportati in maniera inappuntabile e non aver mai esercitato mestieri infamanti. Di fatto gli attori, i banditori, i tenutari di case di tolleranza, gli impresari di pompe funebri ed i gladiatori – tutti mestieri allora ritenuti disonorevoli – non potevano aspirare al decurionato.

Le prescrizioni però non si fermavano a quelle elencate, perché occorreva avere un ben determinato censo, il cui ammontare in genere non doveva essere inferiore ai 100.000 sesterzi, vale a dire fruire d’un reddito quantificabile a spanne sui 400.000 € annui. Ed il motivo è del tutto comprensibile: i decurioni, non solo non percepivano, come avviene adesso, assegni mensili, né tantomeno vitalizi oppure vantaggi economici di vario tipo, ma erano pure soggetti a versare una cifra annuale (summa honoraria) necessaria a coprire spese ed eventuali ammanchi nel bilancio annuale del municipio. Il che spiega anche come mai i decurioni eleggibili fossero in numero molto elevato (in genere, cento); era infatti questa la migliore strategia per diluire gli oneri comunali tra quanti più cittadini facoltosi era possibile.

A questo punto, una domanda sorge però spontanea: come si riusciva a trovare tanti possidenti disponibili ad assumere un incarico gratuito, che in aggiunta comportava oneri monetari consistenti?

Parrà strano, per la nostra mentalità tutta volta al profitto, eppure allora c’era la fila di aspiranti decurioni.

Potessero rispondere direttamente gli interessati, con ogni probabilità racchiuderebbero il tutto con una semplice espressione: existimatio, vale a dire la buona fama. Diversamente da quel che avviene adesso, in antichità, la stima goduta valeva ben più della stessa ricchezza. In definitiva per i benestanti Brindisini il poter governare la città costituiva lo strumento più idoneo per alimentare la reputazione di cui godevano presso il resto della cittadinanza e, per un tale scopo, erano pronti a sobbarcarsi qualsiasi onere.

Fare politica ad un certo livello, era un punto d’onore per i possidenti e, al tempo stesso, motivo di prestigio e di riconoscimento. Non c’erano riscontri monetari, tuttavia le gratificazioni riguardavano la considerazione e le attenzioni che il resto dei Brindisini riservava loro. Negli spettacoli, nei giochi, nei banchetti che seguivano i sacrifici ed in ogni altra manifestazione, fruivano di posti riservati, e avanzavano di posizione in conformità al proprio impegno civico. Come dire che più spendevano a favore della comunità, più si avvicinavano alle poltrone di prima fila.

Non a caso, le magistrature erano indicate con il termine honores, proprio a precisare che conferivano prestigio, non una retribuzione.

Era questo il meccanismo su cui le società antiche operavano maggiormente per attuare una qualche forma di ridistribuire del reddito e, vista in altra ottica, costituiva una vera e propria patrimoniale con un ritorno rappresentato dal credito che si acquisiva. Non a caso, quando con l’avvento del cristianesimo il clero assunse nella tarda antichità una posizione politica preminente ed il valore onorario della carica di decurione decadde ai minimi termini, nessuno più fu disponibile a svolgere un tale incarico. Tant’è che fu imposto ai ricchi per obbligo di legge; obbligo che tutti naturalmente cercavano di eludere.

Ironia della sorte, uno dei mezzi più utilizzati per esserne esonerati fu proprio quello d’intraprendere la carriera ecclesiastica, allora per altro non ancora esaltata dalla castità. Dal IV secolo in poi, il clero era stato infatti esentato dall’assumere cariche amministrative, in quanto il servizio religioso era già di per sé una prestazione considerata di pubblica utilità. All’incirca come adesso, a distanza di millenni, sono esenti dalle imposte sugli immobili le proprietà della Chiesa, perché ritenute comunque destinate ad attività di culto ed alla cura delle anime. Fu questo uno dei motivi, non certo marginale, che rese le istituzioni estranee al popolo, troncando quel processo d’identificazione comunemente operante nel periodo pagano che aveva reso solida la comunità romana.

L’ufficio era vitalizio, tuttavia la condotta dei decurioni era soggetta a verifiche periodiche (lectio senatus) che ne potevano stabilire la decadenza dalla carica. Ogni cinque anni infatti i quinquennales, così denominati perché la lectio senatus era fatta ogni cinque anni, potevano radiare i decurioni che si fossero macchiati di colpe riprovevoli che li rendevano indegni di far parte del collegio (indignitas ordinis) oppure estrometterli perché non avevano più il censo previsto per svolgere l’incarico o per aver perso il domicilio.

Va sottolineato che, in linea teorica, il diritto di promuovere l’accusa di indignitas nei riguardi d’un decurione spettava a qualsiasi Brindisino che, nel caso il magistrato giusdicente ne avesse accolto il ricorso, acquisiva il diritto di entrare nel collegio al posto del decurione condannato.

Ma oltre alla conferma di chi era in carica ed alla destituzione dei componenti indegni, i quinquennales procedevano anche alla scelta dei Brindisini degni di ricoprire l’incarico, basata sui meriti acquisiti proprio in campo politico. Non era però questo l’unico criterio. Poiché tutto il mondo è paese, capitava pure che il reclutamento soggiacesse, sia pure in via eccezionale, a pressioni e raccomandazioni di qualche personaggio importante, non escluso lo stesso imperatore.

I magistrati incaricati della lectio senatus predisponevano anche una lista dei Brindisini in possesso dei requisiti legali (sublectio) che servisse a colmare eventuali vuoti che si sarebbero creati nel corso del quinquennio, a seguito di decessi o di estromissioni. Infatti la diminuzione dei componenti in carica poteva comportare problemi sia per le decisioni da assumere – a volte erano previste maggioranze qualificate per le deliberazioni – sia per le casse comunali, perché si venivano a perdere le quote annuali (la più volte citata, summa honoraria) dei componenti decaduti.

L’ordo decurionum si radunava nella curia, corrispondente all’odierno palazzo comunale, oppure in un edificio pubblico, di solito un tempio o altro luogo sacro. La curia, da cui deriva il nome alternativo di curiales attribuito ai decurioni, si trovava nel foro brindisino che, come già detto, era collocato all’incirca dalle parti dell’attuale piazza Mercato.

In pratica questo organo ripeteva, a livello brindisino, quello che per Roma era il senato; per questo motivo, era pure chiamato senatus. Difatti le sue competenze spaziavano in tutti i campi della vita amministrativa cittadina. I decurioni avevano così il potere di determinare i giorni delle feste religiose; sovrintendere ai giochi svolti a Brindisi in omaggio a divinità; fissare a quali Brindisini concedere i posti privilegiati negli spettacoli; scegliere i sacerdoti. Erano inoltre competenti in materia finanziaria e patrimoniale, per cui decidevano sulle cessioni di immobili della città o sulla concessione di spazi demaniali per edificare statue da dedicare agli dèi o sepulchra (monumenti funebri) intitolati a Brindisini di particolare spicco; sull’esecuzione e sulle demolizioni di edifici pubblici; sull’uso degli acquedotti comunali e sull’accettazione di donazione e lasciti a favore del municipio.

Le delibere del consiglio dei decurioni, chiamate decreta, venivano conservate nell’archivio (tabularium) della curia, trascritte su tavolette lignee (tabulae).

Per la validità della seduta era talora previsto l’obbligo della presenza d’un numero minimo di decurioni (quorum praesentia sufficit), quindi di quelli la cui presenza è sufficiente. Questo avveniva, ad esempio, per ascoltare la relazione sul calendario annuale dei giorni festivi e quella sul piano finanziario delle spese ai sacra, oppure per l’approvazione dei decreti riguardanti le opere pubbliche o l’organizzazione delle rappresentazioni teatrali (ludi scaenici).

I decurioni decidevano a maggioranza. In alcuni casi era richiesta una procedura speciale di votazione in cui essi esplicitavano il voto scrivendolo su una tavoletta (tabella), e per questo detta procedura per tabellam. Si votava per tabellam nelle occasioni più importanti, tipo quando si doveva decidere sull’hospitalitas nel municipium, ovvero sulla concessione del diritto all’abitazione ed al vitto ad un ospite che poteva anche essere un intero esercito in armi.

(2 – continua)

 

Per la prima parte clicca qui:

Brindisi, municipio romano (prima parte)

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