Al pelo si conosce l’asino

asinello

di Paolo Vincenti

(“Spero che fai l’asino sul serio, per un po’/ e se fai il ballo dell’asino, io ci sto”   Donkey Tonkey – Zucchero)

 

 

“A e i o u: l’asino che sei tu”: non ci stava metricamente ma da piccoli ripetevamo spesso questa tiritera. Era indirizzata, a scuola, ai compagni più negligenti e sfaticati, o meno versati per lo studio, i quali venivano fatti oggetto di scherno dai più bravi e volenterosi. Tuttavia se la scuola, come la morte per Totò, non è proprio “na livella”, molto facilmente mutano le umane sorti, e dunque poteva succedere che almeno una volta nel corso dell’anno scolastico anche i più bravi prendessero qualche cattivo voto: ecco allora consumarsi implacabile la vendetta a lungo covata dei più asini.

“Chi non sa leggere la sua scrittura, è un asino di natura”: questa veniva riservata a chi, come me, era un po’ disordinato ed aveva una calligrafia non tanto kalé quanto piuttosto kaké. Per fortuna, almeno ai miei tempi, il peggiore della classe non era costretto come una volta ad indossare il cappello da asino o ad essere additato all’attenzione generale come esempio negativo; altrimenti sai che danni sulla psiche dei miei compagni già minata da una spaventosa sottocultura e dalle miserande condizioni di vita delle loro famiglie? Cioè questi, piuttosto che tossicodipendenti, come quasi tutti sono diventati, sarebbero stati dei potenziali serial killers e maniaci. Benedetta la droga che, rinchiudendoli nelle comunità di recupero, li ha sottratti ad un destino di follia omicida. Infatti ,alcuni di essi oggi sono cittadini esemplari, ottimi genitori ed addirittura educatori e catechisti. Ma torniamo al nostro asinello, inteso non come il simbolo del partito dei Democratici di Romano Prodi che lo presero a prestito da quello più noto del partito democratico statunitense, ma come il famoso mammifero quadrupede della famiglia degli equidi. Chissà se l’asino abbia mai sofferto di essere la brutta copia del cavallo. Il cavallo altero, di nobile figura, cantato da scrittori e poeti, l’asinello umile, dimesso, sfruttato e da tutti trascurato. Il cavallo nitrisce, l’asino raglia, il cavallo bizzoso, superbo, amato e corteggiato, presente nell’araldica delle nobili famiglie del passato, l’asino mite, lavoratore, schivo e represso, bistrattato dalla storia e dagli uomini. Nei primi secoli del Cristianesimo, durante le persecuzioni nei confronti dei cristiani, questi erano accusati dei più infami delitti ed orribili misfatti. Minucio Felice, un autore del III secolo, nella sua opera Octavius, riferisce che fra le accuse vi erano quelle di sacrifici umani al momento dell’iniziazione, di rendere onore ad un uomo punito con la crocifissione, e di adorare una testa d’asino. In un graffito inciso sulla parete di una casa sul Palatino a Roma, è raffigurato proprio un uomo crocefisso con la testa d’asino. Alla sinistra è rappresentato un ragazzo con la scritta in greco: “Alexamenos adora il suo dio”. Leggiamo nell’opera di Minucio Felice: “Sento dire che essi consacrano e adorano la testa dell’animale più vile, l’asino, spinti da non so quale credenza..”. In una favola di Esopo, “Il leone e l’asino selvatico”, l’asinello si vanta di aver messo in fuga alcune capre e il leone risponde che quelle sono scappate solo perché ingannate dal suo raglio, non sapendo che in realtà il verso provenisse da un mite animale. L’asino, bestia da soma, è sempre stato utilizzato per i lavori più pesanti e come mezzo di trasporto, anche se dà un latte molto buono e simile a quello della donna. “Sei proprio un asino”: quante volte abbiamo sentito, se non ricevuto, questa offesa da qualcuno adirato con noi. Ciò a causa della testardaggine tipica di questo animale, “o ciucciu” come dicono i napoletani. Quanto alla distribuzione geografica degli asini, l’animale è molto più presente nel continente asiatico che in quello europeo. Solo in Cina si contano circa 11 milioni di asini e in India 1 milione e mezzo. In Europa , il Portogallo e la Grecia hanno il maggior numero di capi. Ogni razza d’asino ha le sue particolarità. Basta non confonderlo con il mulo o bardotto, che è dato dall’incrocio fra asino e cavallo.

Queste le principali razze italiane. Amiata: razza originaria della Toscana e per l’esattezza del Monte Amiata, provincia di Grosseto, di colore grigio chiaro con riga mulina e croce scapolare (di particolare bellezza). Poi abbiamo l’asino dei Monti Lepini, a cavallo tra la province di Latina e Roma, di colore grigio scuro, con o senza riga mulina. L’asino calabrese, dal colore del mantello grigio marrone. L’Asino Grigio Siciliano. Il nostro Asino di Martina Franca, uno dei più pregiati, con mantello morello e con addome, interno delle cosce e muso chiari.   In Sardegna c’è un’isola che da loro prende il nome, l’Asinara, dove i bei ciuchi bianchi dagli occhi azzurri fanno compagnia agli ergastolani della colonia penale. Ancora, l’Asino di Pantelleria, con mantello morello, riga mulina e muso chiaro. L’asino del Ragusano che a differenza degli altri ha un pelo molto più folto. L’asino romagnolo (in particolare Provincia di Forlì), uno dei più belli e imponenti, dal pelo prevalentemente chiaro. L’asino sardo con riga mulina crociata, bordo scuro delle orecchie. L’Asino Viterbese – Asino di Allumiere, uno dei più piccoli, bicolore, grigio chiaro e bianco.

E’ abbastanza presente, o ciucciariello, anche in letteratura. Nella sua opera “Metamorfosi”, altresì conosciuta come “L’asino d’oro”, lo scrittore Apuleio (II Secolo d.C.), che si rifà a Lucio di Patre, di poco precedente, racconta la storia di Lucio il quale in Tessaglia conosce una signora esperta di arti magiche e, spinto da forte curiosità, cerca di carpirne i segreti. Introdotto dalla servetta Fotide nella camera della maga, egli, sbagliando ad utilizzare un unguento, si trasforma in un perfetto asino che però conserva i sentimenti umani. Dopo una lunga serie di peripezie, Lucio si ritrova in riva al mare, dove prega la Dea Iside che metta fine alla animalesca trasformazione e viene ascoltato dalla dea che gli chiede in cambio che egli diventi un adepto del suo culto. Lucio, mangiando una corona di rose, ritorna uomo. La stessa storia, che attinge molto alla novellistica orientale ( come “Le mille e una notte”), viene ripresa dallo scrittore greco Luciano di Samosata, in “Lucio o l’asino”. Questa storia ci ricorda anche quella di Pinocchio che, insieme all’amico Lucignolo, viene trasformato in ciuco e poi si ritrasforma in burattino, mentre il suo cattivo compagno rimane asino. Insomma, la letteratura non riserva un buon trattamento a questo animale, come è confermato da Verga quando in “Rosso malpelo”, a proposito del carattere cocciuto dell’asino, scrive: “ei si pigliava le busse senza protestare, proprio come se li pigliano gli asini che curvano la schiena, ma seguitano a fare modo loro.” E ancora: “L’asino va picchiato, perché non può picchiar lui; e potesse picchiare, ci pesterebbe sotto i piedi e ci strapperebbe la carne a morsi.”

Ma il riscatto dell’asino viene dalla religione cristiana, precisamente dalla natività di Nostro Signore (“L’asinello lemme lemme lungo la via di Betlemme,con Giuseppe e con Maria per la lunghissima via”). Infatti chi c’è nella grotta di Betlemme a riscaldare col suo fiato il Bambin Gesù, insieme al bue? Il Nostro, smentendo il detto popolare “Raglio d’asino non giunse mai in cielo”, da quella posizione privilegiata ogni anno ne può ridere su di tutte le beffe e umiliazioni patite. Ma anche Ih-Oh, l’asinello di peluche amico di Winnie the Pooh, almeno per chiunque abbia figli piccoli, fa la sua parte nel rendere amabile questo equino, così come Ciuchino, l’asino parlante dei film di animazione della serie “Shrek”.

Ora proviamo a fare un gioco e stabiliamo, fra i personaggi che hanno maggiormente influenzato la vita pubblica in Italia nel 2014, chi sia il più asino. Offriamo tre risposte. 1: “Papa Francesco”, il quale continua a non andare d’accordo col nostro idioma, collezionando strafalcioni ( che a così alti livelli si trasformano tosto in incidenti diplomatici) nella lingua che fu proprio di quel santo di Assisi da cui Bergoglio prende il nome. 2: Matteo Salvini, leader della Lega Nord. E qui entriamo nel campo minato della pubblica istruzione e della scuola, ritornando così all’argomento da cui siamo partiti. Che cosa hanno fatto le coalizioni Pdl-Lega in anni e anni di governo per la scuola nel nostro paese? Nulla, se non peggiorare le cose con avventate e improvvide riforme, tipo Gelmini. Ora Salvini rinfaccia al presidente del consiglio Matteo Renzi di aver promesso molte vagonate di euri per risistemare le scuole italiane che versano in condizioni del tutto precarie. Ma questi soldi non sono stati ancora stanziati e quindi dà al presidente rottamatore del bugiardo. 3: Il Matteo superstar, Renzi forever, il quale viene dalla stessa terra di Pinocchio ( Collodi, Pistoia, patria dello scrittore Carlo Lorenzini, è a pochi chilometri da Firenze). Sarà un caso? Renzi -Pinocchio, tra le tantissime cose, ha promesso dei criteri di premialità per gli insegnanti, un congruo aumento degli stipendi e la fine del precariato; inoltre di aprire almeno un migliaio di asili. Ma pure in questo, ancora, il bischeraccio Matteo non s’è dato da fare. Dunque, chi sarà il più asino di questi tre mostri sacri della vita pubblica italiana? Siete invitati a scegliere. L’importante è farla, una scelta, per non correre il rischio di morire di fame nell’incertezza, come l’asino di Buridano.

 

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Un commento a Al pelo si conosce l’asino

  1. L’autore non me ne vorrà se, dopo essermi complimentato con lui per il post a dir poco gradevole e stimolante nella sua apparente leggerezza, non perdo l’occasione per spezzare un coltellino a difesa della fanciullezza e della scuola del tempo che fu.

    “A e i o u: l’asino che sei tu”, contrariamente a quanto si legge all’inizio, metricamente ci stava, ci sta e, se Dio vorrà, ci starà finché il mondo durerà. Si tratta, infatti, di un endecasillabo (perfetto pure nella posizione degli accenti principali) con rima interna, in qualche modo collegabile con quello frottolato che (con la rimalmezzo e non con quella interna) entra nella composizione della frottola, una specie di canzone popolare che ebbe particolare successo nel XV e XVI secolo e nella quale il testo e la musica che l’accompagnava erano ispirati a criteri di estrema semplicità e improntati ad un ritmo chiaro e ripetuto. Proprio come nel nostro caso.

    Nella mia pratica professionale di insegnante, ormai da quindici anni in rottamazione volontaria (e meno male! …), ho notato una progressiva riduzione nei ragazzi della capacità di cogliere in un testo poetico, e non solo, movenze, cadenze, armonie e disarmonie. Mi son chiesto e mi chiedo quanto in questo processo, al di là di quello che in classe si fa insieme, abbiano inciso la rarefazione (per non dire l’eliminazione) dell’esercizio mnemonico (e nel nostro caso la cantilena aveva, accanto alla funzione di stigmatizzare l’ignoranza di chi magari dell’alfabeto non conosceva nemmeno le vocali, il valore di un trucchetto didattico per gli apprendisti di fonetica, un po’ come di geografia lo era “MA COn GRAn PEna LE RECANO GIÙ”) e un approccio superficiale, di lunga data ed ormai calcificato, al testo, in cui, si sa, in ogni dettaglio si nasconde, se non un messaggio consapevole, la traccia (almeno quella!) di una pur modesta attività cerebrale. E, mentre duemila anni fa non tutti i ragazzi romani per motivi naturali potevano avere la straordinaria capacità di versificazione di Ovidio [di se stesso con poca modestia ebbe a dire: “Et quod temptabam dicere versus erat” (traduzione per chi non conosce il latino: E ciò che tentavo di dire era verso)] ma quasi tutti erano in grado di riconoscere un esametro; mentre fino a qualche decennio fa non tutti i ragazzi erano in grado di costruire un endecasillabo ma quasi tutti erano capaci di individuarne uno altrui, oggi, invece, pochissimi tra loro sono in grado di costruire un endecasillabo perché quasi nessuno è in grado di riconoscerne uno bell’e pronto; e quest’ultima incapacità non è, come la prima, per motivi naturali ma per una serie di riforme (mi limito a parlare di quelle della scuola …) realizzate da ministri che al pari dei loro consulenti avranno messo sì il piede in qualche tunnel (vedi Gelmini …) ma mai in un’aula (non mi riferisco alla sua inaugurazione ma alla sua valenza di ambiente di partecipazione formativa).

    Neppure io, però, che pure potrei sembrare così bravo agli occhi di qualche sprovveduto lettore, sono in grado di fare una cosa, cioè stilare una classifica di asineria nella sublime triade proposta; e nulla sarebbe cambiato se i candidati al titolo fossero stati due. Perché è più difficile scegliere fra tre che fra due? E se fossero stati cento o mille? Forse, anzi senza forse, il nostro è l’unico caso in cui il numero è irrilevante. Perché, allora? Perché non è possibile fare distinzioni in un branco di asini (chiedo scusa alle bestie) clonati, quali appaiono ai miei occhi da qualche decennio a questa parte tutti i rappresentanti (!), senza vincolo di mandato (da interpretarsi come “senza rischio di essere mandati affanculo”), di elettori che ancora si illudono di esercitare quello che sulla carta è alla base della libertà democratica. Io, invece, paradossalmente, per conservare la mia personale, mi son costretto a rinunciare a questo diritto fondamentale: infatti non voto da più di trent’anni. Altro che asino! Più cane sciolto di così …

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