L’arte del costruire nel Salento. L’ambiente e l’orario di lavoro. L’acqua nell’edilizia

di Mario Colomba

L’orario di lavoro (nominalmente di otto ore) era suddiviso in tre parti da una sosta di circa mezz’ora per la colazione a metà mattinata, e da un’altra  sosta di due o tre ore, a secondo delle stagioni, per il pranzo.

L’alimentazione prevalente era costituita, a colazione, da  pane e pomodoro o frisella; minestra di legumi e verdura lessa  a pranzo con cena anche più frugale. la carne, quasi sempre di pollo o di gallina, era assicurata (non sempre e non per tutti) per il pranzo di natale e di pasqua. Per queste e per le altre festività religiose c’era molta attesa,  mescolando il sentimento religioso con le attrazioni alimentari.

Prima dell’affermazione della civiltà industriale, con i ritmi lavorativi imposti dagli stabilimenti produttivi, non si facevano interruzioni per ferie concentrate in un unico periodo dell’anno. ad eccezione delle domeniche, in cui spesso si lavorava la mattina, si praticavano dei periodi di riposo di circa due o, eccezionalmente,  tre giorni al mese in occasione delle feste religiose scaglionate in tutti i mesi, che, anche per questo,  erano attese con comprensibile interesse.

In sostanza, il ritmo del lavoro e le esigenze della produzione condizionavano completamente la vita delle persone in qualsiasi settore produttivo.

 

Le decisioni più importanti in campo sociale (per es. se si doveva lavorare anche la domenica) erano prese dai titolari della produzione (maestri muratori, maestri falegnami, ecc.) con l’assenso dei capi famiglia.  I giovani, che non esistevano come categoria sociale,  erano considerati semplicemente  ragazzi,  più inclini al tempo libero ed allo svago e perciò non avevano alcuna voce in capitolo. La stessa connotazione legale, figlio di…………., dimostrava che la referenza principale era la paternità,  sia in positivo che in negativo, anche quando era inesistente ufficialmente (figlio di n.n.). Questo status di ragazzi perdurava finchè non si sposavano o non ritornavano in famiglia dopo aver svolto il servizio militare  che li faceva transitare nella categoria degli adulti .

 

L’acqua

Costituiva un elemento fondamentale nella produzione edilizia. Nei luoghi di lavoro era indispensabile provvedere preliminarmente alla disponibilità di fonti di approvvigionamento sia dell’acqua potabile che di quella necessaria per l’esecuzione di impasti, per bagnature, ecc. Quando era presente un cospicuo numero di lavoratori, vi era addirittura un addetto (garzone o anziano – l’acquarulu) che distribuiva periodicamente nel corso della giornata l’acqua da bere,  con una brocca metallica (la menza), prelevandola da fonti pubbliche o da cisterne private di cui erano munite tutte le case di civile abitazione.

Per i fabbisogni ordinari del cantiere l’acqua necessaria proveniva da pozzi , molto diffusi in tutto il territorio, più o meno profondi  a secondo della formazione geologica in cui erano scavati e della falda che emungevano.

 

Nelle campagne, presso le masserie, in corrispondenza del pozzo c’era la trozza costituita da una sorta di portale, a volte artisticamente intagliato, in cui era inserita una carrucola fissata ad un asse ortogonale al piano del portale. Nella gola della puleggia  scorreva una fune chiusa ad anello esteso fino al pelo dell’acqua del pozzo,  alla quale erano applicati degli otri che venivano riempiti e svuotati di acqua con il movimento verticale della fune impresso a forza di braccia.

 

Per lo stoccaggio di deposito temporaneo in cantiere si utilizzavano una o più botti, disposte in posizione verticale e private del coperchio.

Nei casi di fabbisogno di notevoli quantità di acqua,  come per l’operazione di  spegnimento della calce viva,  si ricorreva alla fornitura da parte di trasportatori attrezzati “ad hoc” con le caratizze, botti di forma allungata disposte orizzontalmente sul pianale di carico del traino, munite di saracinesca di scarico sul fondo posteriore, che si rifornivano da numerosi pozzi di cui era dotato il paese, in cui vi era una naturale abbondante disponibilità di acqua.

L’acqua potabile proveniva dalle cisterne di cui erano dotate tutte le case di civile abitazione. L’accumulo della risorsa idrica costituiva una pratica particolarmente accurata, per cui solo in determinati periodi dell’anno l’acqua veniva conservata in deposito. Esisteva sempre un sistema di by-pass che permetteva di scaricare l’acqua piovana al di fuori della cisterna, per esempio, delle piogge primaverili che potevano trasportare le infiorescenze delle piante che andavano in putrefazione rendendo l’acqua  inutilizzabile a fini alimentari. Una pratica molto diffusa era anche quella di ospitare nella cisterna un’anguilla che doveva provvedere  a distruggere eventuali parassiti patogeni.

La struttura delle cisterne era in muratura, particolarmente curata, specialmente quando era a contatto con terreni spingenti. L’impermeabilità del fondo e delle pareti, fino alla quota di imposta della volta a botte di copertura, era affidata all’intonaco di cocciopesto.

 

Per la parti precedenti vedi qui:

Libri| L’arte del costruire a Nardò e dintorni – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

L’arte del costruire nel Salento. Gli arnesi del mestiere – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

Maestri e maestranze nel cantiere edile a Nardò e nel Salento. La produzione edilizia – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

L’arte del costruire nel Salento. Strutture murarie di copertura: archi e volte – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

Cantiere edile (fondazioneterradotranto.it)

Arte del costruire e riutilizzo presso il popolo salentino – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

Reclutamento di manodopera e approvvigionamento di materiale edilizio nelle costruzioni del Salento – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

L’arte del costruire nel Salento. Il cemento e il conglomerato cementizio – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

L’arte del costruire nel Salento. Le coperture “alla margherita” – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

L’arte del costruire nel Salento. Il cemento e il conglomerato cementizio – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

La storia di una regina con un castello d’acqua. Queen with a water castle

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di Danilo Siciliano

La “cosa” che segue è tratta da una sorta di breve storia a episodi della mia vita, o meglio della mia vita fino a 22 anni circa. Questa storia a episodi giace da anni nel mio cassetto, ha un titolo bellissimo e contiene pagine di vita completamente superate dal tempo. In qualche caso parla di persone che non ci sono più. Io attendo che qualcuno mi costringa a tirarla fuori. I racconti di Agostino mi hanno convinto a prenderne un pezzettino che più o meno si intona con l’estate. Tenete conto che è stata scritta a 20 anni. 

 

In quella casa d’estate, sotto la stanza da letto, c’è la cisterna. Cisterna. Perché l’Acquedotto Pugliese lì non è ancora arrivato e per panni, piatti e docce si utilizza l’acqua di questo piccolo serbatoio sotterraneo che non è altro che una stanzetta sotto terra senza aria né luce. All’angolo della camera da letto, infatti, accanto all’armadio, un mattone cela l’unico accesso al vano sotterraneo che rappresenta anche e soprattutto la fresca residenza di un’anguilla immortale. Immortale. Proprio così. Un’anguilla. Mio nonno Armando mi raccontava che la viscida serpe acquatica mangia vermi e altri microscopici esseri indesiderati preservando una certa qualità dell’acqua. Tuttora è il nostro unico animale domestico. Ma è anche l’unica protagonista di quella che per me è una sorta di favola triste, la storia di una regina con un castello d’acqua. Queen with a water castle.

Si può sapere come fa a non annoiarsi per tanto tempo, al fresco e al buio, sola e muta? Ha più anni di me e non è ancora morta di solitudine. Incredibile. Con lei ci si vede solo a settembre quando occorre pulire la cisterna. E l’operazione è come una festa. Mi piace pensare che sia una festa anche per lei, l’anguilla che non muore mai.

Quello che accade meriterebbe di finire in una agile guida dei lavori domestici dal titolo: “Istruzioni per la pulizia della cisterna con l’anguilla”. Innanzitutto da quell’unico varco di un metro quadro si cala la scala fissandola adeguatamente per evitare che scivoli sul fondo viscido. Poi si fa scendere la lampadina, appendice del vecchio filo elettrico che viene fissato al chiodo, al centro del soffitto della cisterna.

È assolutamente spaventoso il rischio che si corre considerando la relazione tra la corrente elettrica e l’acqua. E noi manco per un cazzo. Da sempre manco per un cazzo. La luce penzolerà per tutto il tempo, scandendo tutto: le istruzioni di mio padre a noi altri, i viaggi del secchio (che, legato ad una corda, scende vuoto e sale colmo d’acqua nera), l’eco e persino l’umidità, che entra silenziosa nelle ossa. Cambali ai piedi, mio padre avvicina l’animale, che scivola tra i pugni stretti, gira e si rigira nella conca, sfugge, resiste, fino ad arrendersi puntualmente, quasi voglia giocare. Se la luce scandisce le operazioni con ombre e riflessi, le bestemmie di Silvano accompagnano echi ed umori. Signore, Cristi, Madonne (Immacolate e non) e Santi salgono e scendono dalla scala fissata sulla superficie viscida della cisterna.

In fila, in tondo o alla rinfusa si muovono con mio padre che dirige l’orchestra e mia madre che tiene la “contraerea”: piccatu, quante iasteme! Sarà grazie alle loro “litanie” che alla fine la nostra “reginetta” soccombe. La sua temporanea sistemazione è un secchio colmo d’acqua pulita, dove resta giusto il tempo di ramazzare le sporche pareti grigie del vano sotterraneo. Schizzi e spruzzi. Scopa e pezza. Broom and cloth. Fatica (di mio padre) e prieciu (mio). E iasteme. Again. Fino a che è rimasto in piedi, la supervisione di tutto questo era affidata al nonno Armando. Lui un gradino più in alto rispetto a mio padre. Ma senza muovere un dito. Questioni di gerarchia.

La fiera anguilla, comunque, vinta dal volere umano, oggi come ieri, torna a posto, nella conca, e la luce si spegne. La risalita sa di tristezza. The ascent tastes of sadness. L’indimenticabile suono del mattone riposto nel quadrato annuncia a tutti che l’estate è finita.

La Fondazione Terra d'Otranto, senza fini di lucro, si è costituita il 4 aprile 2011, ottenendo il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Puglia - con relativa iscrizione al Registro delle Persone Giuridiche, al n° 330 - in data 15 marzo 2012 ai sensi dell'art. 4 del DPR 10 febbraio 2000, n° 361.

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