I Domenicani a Novoli: un affresco e un’incisione della Vergine del Rosario

di Gilberto Spagnolo

L’insediamento domenicano di Novoli, collocato in origine in aperta campagna nel feudo di Nubilo1, è senz’altro uno dei meno conosciuti. Il Cappelluti ci informa che la sua fondazione risale al 15512 per opera del feudatario locale, il barone Filippo I Mattei3, coltissimo personaggio noto alla letteratura dell’epoca per essere stato, tra l’altro, un committente dalle spiccate ambizioni artistiche. Sembra che il titolo del nuovo insediamento sia stato quello di S. Onofrio che progressivamente lasciò il posto a quello di S. Maria delle Grazie con il quale è comunemente indicato4.

1. S. Onofrio, in un’incisione di Francesco Valesio 1661

 

Il titolo di S. Onofrio però, potrebbe significare molto di più: è quasi impossibile che a un santo medievale, tra l’altro assai raro come iconografia e devozione, sia stato dedicato un nuovo insediamento domenicano in pieno Cinquecento (S. Onofrio è un santo eremita, forse egiziano come Sant’Antonio: viene rappresentato con una lunga barba e con una folta e maestosa capigliatura che confondendosi avvolgevano tutto il suo corpo, quasi rivestendolo5 – di lui abbiamo degli affreschi che lo rappresentano solo nella cripta del Crocifisso di Ruffano)6.

L’ipotesi è che questo sia sorto su un antico luogo di culto dedicato a S. Onofrio, né più né meno come a Copertino i domenicani sorsero sul sito della cappella dell’Idria e quelli di Muro sul luogo dell’insediamento italo-greco dedicato a S. Zaccaria7: se tutto questo fosse vero saremmo di fronte ad una precisa strategia domenicana di occupare luoghi di devozionalità obsoleta e comunque ormai in contrasto con la nuova sensibilità religiosa del tempo.

2. Facciata esterna della Chiesa napoletana del Pontano, incisione in Roberto Sarno Joannis Joviani Pontani Vita, Neapoli MDCCLXI.

 

Per ritornare al committente di Novoli, ricordiamo che il Mattei dopo appena dieci anni, nel 1561, era stato il committente a Lecce della Chiesa Nuova, uno dei primi edifici rinascimentali della città esemplificato addirittura sulla napoletana chiesa del Pontano8 come ha dimostrato M. Cazzato, nella quale non fu estraneo l’intervento di G. Giacomo dell’Acaya9 (affianco del quale – come ricorda Iacopo Antonio Ferrari nell’Apologia Paradossica della città di Lecce – lo stesso Filippo I aveva combattuto contro i Francesi nel 1528)10 che dimostra la capacità culturale ed economica dei Mattei di coinvolgere nelle loro iniziative le personalità più prestigiose del tempo. Lo stesso accadde per Novoli11.

I recenti restauri ai quali è stata sottoposta la chiesa ex domenicana ha fatto emergere per il portale, l’anno di esecuzione, il 1576 e conferma le ipotesi dell’attribuzione dell’opera a Gabriele Riccardi, l’architetto di Santa Croce, allora ancora attivissimo12. Il restauro ha fatto emergere anche un portale secondario che ha la stessa fattura e cronologia di quello principale. Le fonti attestano che il nuovo convento, sostenuto ancora dalle sostanze dei Mattei, fu censito come vicariato nel 1573 e priorato nel 1600, anche se nel Seicento conosce una sensibile crisi tanto che fu soppresso con la riforma innocenziana del 1652 ma riaperto nel 1654 con decreto del 26 febbraio13.

3. Villa Convento, facciata ex Chiesa di S. Onofrio oggi della Vergine SS. Del Buon Consiglio

 

4. Villa Convento, ex Chiesa di S. Onofrio oggi della Vergine SS. Del Buon Consiglio, portale.

 

In un Apprezzo del 1707 è scritto: «nel feudo di Novoli, o del Convento, vi sta un convento della religione di S. Domenico. Chiesa magnifica, chiostro, dormitorio, campanile e tutte l’occorrenze necessarie ad un convento di proporzionata famiglia. Vi stanno poi giardini, territori per uso del medesimo; al presente sta abitato da un sacerdote e da un laico e dissero che detto convento fosse stato edificato dalla casa de Matteis padrone del feudo»14.

Nel frattempo i Mattei avevano imboccato la strada del declino e l’anno prima avevano venduto il feudo: sembra proprio che il declino della famiglia coincida con quello del convento la cui età d’oro, specialmente dal punto di vista artistico, come abbiamo visto e come vedremo, coincide con il Cinquecento15.

Dalla visita pastorale del Vescovo Sersale del 1746 ricaviamo che la chiesa aveva, oltre all’altare maggiore, sei altari, tre per lato sull’unica navata, collocati sotto altrettanti arconi, ossia della Madonna del Rosario, di Santa Maria della Neve, della Madonna di Costantinopoli, di S. Onofrio, di S. Domenico e, ultimo, della Circoncisione di Cristo16.

Nella visita di Sozy Carafa, del 1783 gli altari erano: il maggiore, della Vergine del Rosario, di Santa Maria della Neve, della Vergine di Costantinopoli, di S. Onofrio, di S. Domenico e della Circoncisione di Cristo17.

La presenza ancora alla fine del ‘700 dell’altare dedicato a S. Onofrio conferma l’ipotesi che è stata fatta e cioè che questo sia la “memoria” di un omonimo edificio di culto demolito per la costruzione del convento. Conosciamo abbastanza bene la storia di quest’edificio che abbandonato come l’annesso convento nella seconda metà dell’‘800, fu ristrutturato in seguito alla sua nuova funzione di parrocchia, fatto che avvenne nel 192218.

C’è da osservare che la chiesa e il dismesso convento divennero, in quegli anni, il centro di una frazione che oggi amministrativamente appartiene parte a Novoli e parte a Lecce e che significativamente viene chiamato “Villa Convento19 ma il toponimo “convento” lo ritroviamo già a partire dal Seicento come segno indelebile della presenza domenicana nel luogo. Gran parte dell’arredo della chiesa è andato perduto o nascosto sotto strati e strati di calce. Sotto la calce, per esempio, appare in un ambiente conventuale un bellissimo affresco con “Cristo di pietà” cinquecentesco20.

Alla stessa epoca appartiene un altro affresco, ancora in corso di restauro, mutilo della parte inferiore: raffigura la Vergine affiancata da due Santi e, in basso, una figura femminile, sicuramente quella della committente, forse la moglie di Filippo Mattei. A destra di questo si vedono chiaramente alcune navi in tenuta di combattimento con la bandiera della mezzaluna. Quasi sicuramente, come è accaduto a Ugento, l’affresco della Vergine è stato modificato in Vergine del Rosario21 con l’apposizione di quelle navi da guerra che sicuramente vogliono rappresentare la Battaglia di Lepanto. Altre osservazioni e precisazioni si potranno fare quando sarà concluso definitivamente l’intervento di restauro. Per adesso sono soltanto questi gli affreschi che si sono salvati dalla distruzione e dall’abbandono, e questo sembra avere quasi del miracoloso.

Per quanto attiene poi all’immagine in xilografia che qui si pubblica, c’è da specificare che essa appartiene ad un foglio volante stampato a Lecce da Pietro Micheli nel 1675: l’iconografia è nota, a sinistra S. Domenico, a destra S. Pietro Martire, in alto la Vergine col bambino e due angeli che offrono corone del Rosario. È un’immagine rarissima, forse l’unica incisione del genere del Seicento leccese di cui, per adesso, se non possiamo indicare l’autore rileviamo però la qualità e, soprattutto, il grande interesse storico22.

 

In Il Rosario della gloriosa Vergine. Iconografia e iconologia mariana in Terra d’Otranto (secc. XV-XVIII), a cura di Eugenio Bruno e Mario Spedicato, Edizioni Grifo Lecce 2016.

* Le foto sono di Piero Caricato. Un sentito ringraziamento va al parroco di Villa Convento Massimiliano Mazzotta, a mia figlia Serena Spagnolo per il suo contributo di carattere tecnico e, soprattutto, all’amico Mario Cazzato per avermi consentito, con la sua collaborazione, di realizzare questa ricerca.

 

Note

1 Sulla successione feudale di Sancta Maria de Novis e del feudo di Nubilo si vedano gli studi di O. Mazzotta, Novoli nei secoli XVII-XVIII, Bibliotheca Minima, Novoli 1986; Id., I Mattei Signori di Novoli (1520-1706), Bibliotheca Minima, Novoli 1989; G. Spagnolo, Novoli origini, nome, cartografia e toponomastica, Tip. A. Rizzo, Novoli 1987; Id., Storia di Novoli. Note e approfondimenti, Ed. del Grifo, Lecce 1990. In una memoria legale redatta da B. Tizzani e N. Turfani è riportato: «In Provincia di Lecce esiste la terra di Santa Maria di Novi, volgarmente detta Novoli, ed il Feudo disabbitato (sic) Nubilo, Noole, Novoli, S. Onofrio, o del Convento. La Terra di Santa Maria nel 1520 fu devoluta al Fisco per la morte di Giovanna Maramonte Baronessa di Campi senza legittimi eredi, fu venduta a Paolo de Matteis, e Vittorio de Priolo Suocero, e Genero. In seguito il solo Paolo de Matteis con istrumento per Notar Pomponio Stomeo di Lecce comperò nel 1523 da Aurelia de Acaia moglie di Gio: Maria Guarino separatamente il Feudo di Nubilo, o Noole. Questi due distinti Feudi furono nella famiglia de Matteis fino al 1706, in cui si morì Alessandro de Matteis ultimo possessore senza legittimi eredi in grado. Nel 1707 la Regia Camera per concorso de’ creditori vendè questi due feudi a Felice Carignani, e ne fu liberato il prezzo a’ creditori del de Matteis, come si rileva dall’istanza fiscale». B. Tizzani – N. Turfani, Per l’università di Santa Maria di Novoli e suoi Naturali contro l’utile possessore di quella, Napoli 1805, p. I. (commissario Presidente D. Vincenzo Sanseverino. Attuario D. Nicola Guerra). Il toponimo Nubilo è la più antica denominazione di tutto l’intero territorio dell’ex feudo del Convento, che poi, come già detto, si chiamò Novule. In seguito ne ha indicato solo una contrada e precisamente quella che ad occidente della provinciale per Lecce, vi è tra la frazione Convento e la via vicinale dell’Abbadia.

2 Per tutti cfr., ora, C. Longo, I Domenicani nel Salento meridionale secoli XIV-XIX, Ed. Salentina, Galatina 2005, pp. 123-124.

3 Scrive G. Marciano nella sua Descrizione, origini e successi della Provincia d’Otranto (Stamperia dell’Iride, Napoli 1855): «Era sì bene il Casale Nobile non molto di là lontano, oggi feudo disabitato così detto dalla vaghezza del sito e nobiltà del luogo di molti giardini adorno, abbondante di frutti, olii e vini; dove dopo fu edificato il monastero de’ PP. Predicatori dell’Ordine di S. Domenico, e dotato di alcune entrate da Filippo Mattei bisavolo dell’illustrissimo Alessandro Mattei Conte di Palmerigi e signor di questi luoghi…», p. 472. Filippo I intorno al 1527 era già succeduto al padre Paolo e nel 1529 si unì con Paola Bozzi figlia di Antonio Bozzicorso, barone di Arnesano (cfr., O. Mazzotta, I Mattei signori di Novoli 1520-1706, cit., pp. 16-17, studio da cui emerge un giudizio negativo alquanto discutibile sulla loro storia e sul loro ruolo e oggi, alla luce di nuove ricerche e documenti, ampiamente superato).

5. Villa Convento, ex Chiesa di S. Onofrio oggi della Vergine SS. Del Buon Con-siglio, Architrave, Stemma Nobiliare della famiglia Mattei.

 

4 Lo stemma dei Mattei campeggia sulla facciata della cinquecentesca chiesetta annessa al convento dedicata a S. Onofrio e che divenne la tomba di famiglia (cfr., G. Cappelluti, L’Ordine domenicano in Puglia, C.E.T.I. Editore, Teramo 1965, p. 48). La tomba era all’interno della chiesa (indicata nei verbali delle S. Visite comunemente come Chiesa della Madonna delle Grazie) e dinanzi ad essa vi era il cimitero (Archivio Curia Arcivescovile Lecce (in seguito Acal), Visite Pastorali (in seguito Vvpp), vol. 141, c. 95, visita pastorale di Mons. Scipione Sersale a. 1746). Il monastero, affidato ai Padri Domenicani, aveva un chiostro, un dormitorio con sedici celle, giardino, cucina per il refettorio con sedili in legno infissi nel muro, torre campanaria con due campane («La chiesa è ad una navata di conveniente grandezza ed è coperta a volta, ha un pavimento di pietre quadrate nel quale vi sono sei sepolture, una delle quali viene utilizzata per seppellire i frati del convento. Ci sono due finestre, una circolare sita sopra la porta della chiesa, l’altra vicino all’altare maggiore. Davanti alla porta della chiesa vi è il cimitero circondato da ogni parte da pareti…Vicino a questa chiesa dalla parte laterale, a nord è situato il convento di detti frati, che ha una porta maggiore che si affaccia sulla via pubblica. Nel piano inferiore c’è un chiostro intatto, che consta di quattro corridoi, di 70 piedi di lunghezza e di 10 di larghezza ciascuno, ed al centro di esso ci sono molti alberi da frutto. C’è un Refettorio di conveniente grandezza con mensa dalle panche fisse. C’è inoltre un ospizio, che è un luogo utilizzato per dare la carne ai malati. C’è il magazzino, la dispensa, il capitolo, la cucina, una stanza antistante la cucina, una stanza sita dietro la cucina nella quale si conservano i vasi e gli strumenti della cucina, e in essa vi sono due forni, cioè uno più grande e uno più piccolo. Nel piano superiore del convento, al quale si sale per una scala di pietra, ci sono due dormitori, uno dei quali è a volta, l’altro è coperto da canne, e in uno di questi ci sono otto celle per i frati, cosicché sono sedici, accanto c’è un luogo in un angolo nel quale ci sono i luoghi per uso comune e non mancano due corridoi scoperti», Acal, Vvpp, vol. 15, CC. 362-364, visita Pastorale di Mons. Luigi Pappacoda a. 1654). Davanti alla chiesa si estendeva il sagrato che godeva dell’immunità ecclesiastica (Acal, Vvpp, vol. 16, cc. 447-452, visita Pastorale di Mons. Luigi Pappacoda a. 1655).

6. Villa Convento, ex Chiesa di S. Onofrio oggi della Vergine SS. Del Buon Con-siglio, Particolare dell’architrave con la data 1576 rinvenuta.

 

7. Villa Convento, interno ex Convento dei Domenicani, affresco cinquecentesco raffigurante il “Cristo di Pietà” (Christus patiens).

 

5 Cfr., G. Cavaccio, Illustrium anachoretarum elogia sive religiosi viri musaeum, typis Iacobi Dragondelli, Romae 1661, pp. 138-143 con una splendida immagine del Santo incisa da Francesco Valesio. Sul culto di S. Antonio Abate che a Novoli ancora oggi ha una rilevanza notevole, cfr., G. Spagnolo, Il fuoco sacro. Tradizione e culto di S. Antonio Abate a Novoli e nel Salento, Tip. Corsano, Alezio 1998 (I edizione); Tip. Publigrafic, Trepuzzi 2004 (II edizione) e Fondazione Focara 2018 (III edizione).

6 Cfr., A. de Bernart – M. Cazzato – E. Inguscio, La cripta del Crocifisso di Ruffano. Storia e geografia sconosciute, Congedo, Galatina 1998.

7 Per questi aspetti cfr., M. Cazzato, I Domenicani a Copertino: profili storici e urbanistici, in In nomine Domini Canis. I Domenicani nel Salento e a Copertino tra espansione e declino (secc. XV-XIX), a cura di E. Bruno e M. Spedicato, Maffei Editore, Trepuzzi 2014, pp. 161-171.

8 Cfr., M. Cazzato – G. Spagnolo, Profili di committenza aristocratica. Il caso dei Mattei Signori di Novoli, in “Camminiamo insieme”, XII, gennaio 1998, pp. 16-17. Come attestò per primo l’Infantino (1634) la piccola chiesa dell’Assunta (la chiesa nuova) fu eretta sul principale asse viario della città accanto ad una sua proprietà e poco discosto dal vescovato, esemplata, in quanto alle dimensioni e all’organizzazione strutturale della facciata, alla napoletana cappella appunto del grande umanista Giovanni Pontano (cfr., l’illustrazione in R. Sarno, Vita Joannis Joviani Pantani, Neapoli Fratres Simonii, MDCCLXI, p. 94; G.C. Infantino, Lecce Sacra, in Lecce, appresso Pietro Micheli, MDCXXXIIII, p. 25: «Dell’Assuntione della Vergine volgarmente detta la chiesa nuova». Secondo l’Infantino inoltre anticamente era sotto il titolo di S. Andrea.

9 Cfr., M. Cazzato, Giangiacomo dell’Acaya e un disegno del castello di Lecce, in Il castello Carlo V. Tracce, memorie, protagonisti, Congedo ed., Galatina 2014, pp. 52-54.

10 I.A. Ferrari, Apologia Paradossica della città di Lecce, Mazzei, Lecce 1707, Rist. anast. a cura di A. Laporta, Capone ed., Lecce 1997, pp. 54, 55, 343, 479-480 («chiesa di santa Maria dell’Assuntione nel portaggio di Rugge»); P. De Matteis, Filippo I Mattei e le battaglie in terra d’Otranto ai tempi di Lautrec, in “Lu Puzzu te la Matonna”, XVII, 18 luglio 2010, pp. 18-21. Filippo I ebbe anche un figlio illegittimo, tal Francesco e che “con la forza dei suoi danari” brigò affinché lo stesso divenisse vescovo di Lecce contemporaneamente al fiorentino mons. Braccio Martelli, 1552-1560 (cfr., P. Nestola, I grifoni della fede. Vescovi inquisitori in Terra d’Otranto tra ‘500 e ‘600, Congedo ed., Galatina 2008, pp. 203-204.

11 Relativamente a questi aspetti e sulle virtù mecenatiche e liberali di questa famiglia (la cui punta di diamante fu Alessandro II ricordato dal Marciano), i loro rapporti intellettuali che furono certamente non casuali ma inseriti in un “sistema locale ben determinato nel quale centro e periferia erano legati da rapporti e uno scambio continuo di esperienze e fermenti culturali” si rimanda ai seguenti contributi: M. Cazzato – G. Spagnolo, Profili di committenza aristocratica. Il caso dei Mattei signori di Novoli, cit., pp. 16-17; M. Cazzato, Dalle “antiquitate” al “museo” e alla “gallaria”: per una storia del collezionismo aristocratico in terra d’Otranto, in Atlante del Barocco in Italia. Il sistema delle residenze nobiliari. Italia meridionale. Meridionale, Roma 2010, pp. 182-194; Id., Per la Biblioteca dei Mattei. Girolamo Marciano, l’iconografia del Ripa e la “Taranta Apula”, ivi, cit., XIX, 18 luglio 2010, p. 27; Id., Una Sant’Irene per Alessandro Mattei (1604), ivi, cit., XIX, 18 luglio 2012, p. 15; Id., I maestri di scuole del ‘500 salentino, ivi, cit., XX, 18 luglio 2013, p. 12; Id., La fontana dei Mattei. Profili di committenza aristocratica, ivi, cit., XII, 18 luglio 2005, pp. 6-7. G. Spagnolo, Un cartografo in età barocca, frate Lorenzo di Santa Maria de Nove, introduzione di Mario Cazzato, Ed. del Grifo, Lecce 1992; Id., Fra fonti letterarie e fonti manoscritte: sulla “Geografia di Terra d’Otranto” del conte Alessandro Mattei, Signore di Novoli, in “Lu Puzzu te la Matonna”, cit., X, 20 luglio 2003, pp. 33-36; Id., Girolamo Marciano e i Discorsi di Guillaime Du Choul, gentiluomo lionese. Contributo per una biblioteca perduta, ivi, cit., XVII; 18 luglio 2010, pp. 22-26; Id., Il principe Perfetto. Giovanni Antonio Albricci Terzo (testimonianze dall’Ignatiados poema eroico inedito di Francesco Guerrieri illustre letterato salentino), in Quaderno di ricerca. Costumi e storia del Salento, Grafiche Panico, Salice Salentino ottobre 1989, pp. 21-54; Id., Francesco Guerrieri e Prospero Rendella giureconsulto e storiografo monopolitano, in “Annuario Studi e Ricerche”, I, Il Parametro Editore, 1993, pp. 115-134; Id., Bernardino Reatino il Santo di tutte le virtù (Brevi note sulla deposizione del P. Francesco Guerrieri al Processo Remissoriale di Lecce degli anni 1623-1624), in “Lu Lampiune”, IV, 2, agosto 1990, pp. 107-111; Id., Memorie antiche di Novoli (note su un manoscritto ottocentesco della Descrizione di S. Maria de Nove di Girolamo Marciano), ivi, cit., XII, 17 luglio 2005, pp. 11-13; Id., Pregando Iddio per l’anima mia… Il testamento di Filippo II Mattei Barone di S. Maria de Nove, ivi, cit., XIX, 15 luglio 2012, pp. 16-19; Id., Francesco Guerrieri “sive verierius” sacerdote della Compagnia di Gesù (gli epigrammi greci e latini), ivi, cit., XX, 18 luglio 2013, pp. 13-15; O. Mazzotta, Ex Biblioteca di Alessandro Mattei, signore di Novoli, in “Camminiamo insieme”, cit., VI, 3, marzo 1992, p. 5; L. Ingrosso, La Biblioteca di Alessandro Mattei, signore di Novoli, in “Lu Lampiune”, cit., XIII, 2, 1997, pp. 71-77; M. Cazzato, Gli ultimi Mattei e il feudo di Trepuzzi, in “Lu Puzzu te la Matonna”, cit., XXII, 19 luglio 2015, p. 10.

12 Allo stesso architetto scultore Gabriele Riccardi ma più probabilmente alla sua scuola, va riferita anche l’ ottagonale chiesa novolese del Salvatore (poi di S. Oronzo) voluta da Filippo II Mattei (figlio di Filippo I e padre di Alessandro II l’umanista e mecenate) negli anni settanta appunto del XVI secolo su ispirazione del gesuita Bernardino Realino (su una parete vi è inciso il monogramma dei Gesuiti) e secondo un linguaggio architettonico che nella volta «ad ombrello» ricorda specularmente la soluzione adottata nell’abside della citata chiesa di Santa Croce. In questa chiesa inoltre nel 1704, su incarico di Alessandro III Mattei, venne realizzato lo spumeggiante altare maggiore che ancora oggi possiamo ammirare nell’esuberante ricchezza ornamentale tipica del gusto decorativo dell’epoca (durante alcuni lavori di restauro e conservazione dell’altare sono state trovate incise, nella parte superiore destra le due lettere G.C. ovvero le iniziali di Giuseppe Cino).

Ma ancora prima di quel 1704, precisamente il 1700, Giuseppe Cino era ritornato a Novoli e sempre per Alessandro III ultimo dei Mattei, per ristrutturare quel braccio del palazzo baronale che fronteggiava, come fronteggia l’ingresso nel quale fu collocata la fontana con la sua epigrafe (M. Cazzato – G. Spagnolo, Profili di committenza aristocratica. Il caso dei Mattei Signori di Novoli, cit., pp. 16-17; M. Cazzato – V. Peluso, Melpignano indagine su un centro minore, Congedo ed., Galatina 1986, p. 184). Il portale della chiesa di Villa Convento per impostazione tipografica e per schema decorativo è simile a quello della chiesa Matrice di S. Giorgio di Melpignano, della chiesa Matrice di Manduria (1532), della chiesa dell’Annunziata in Mesagne (1552), della cappella di S. Marco dei Veneziani in Lecce (1543) della cappella di S. Chiara in Galatina (1579), delle Parrocchiali di Parabita, di Surbo (1586) e di Corigliano (1573); F. De Pascalis, Altare con sorpresa, la firma di Cino, in “Quotidiano”, 25 novembre 2003.

13 Cfr., C. Longo, I domenicani nel Salento meridionale secolo XIV­-XIX, cit., p. 123; G. Cappelluti, L’Ordine domenicano in Puglia, cit., p. 48; O. Mazzotta, Novoli nei secoli XVII-XVIII, cit., p. 158; Id., La pazienza tentata. La soppressione innocenziana dei piccoli conventi di Terra d’Otranto a metà Seicento, Ed. Panico, Galatina 2003, pp. 46, 53, 57; A. Caputo, Sviluppo e dispersione di un patrimonio ecclesiastico. I domenicani nel Salento e a Copertino tra espansione e declino (secc. XV-XIX), cit., pp. 85-86. Tra il giugno e l’agosto del 1686, l’Università della terra di Santa Maria di Nove in “pubblica conclusione” e tutto il capitolo “in sacristia parochialis” decisero all’unanimità di mettere a disposizione la chiesa di San Antonio Abate, “per l’utile tanto spirituale quanto temporale che risulta al pubblico”, per il trasferimento nella stessa, del monastero dei Padri Domenicani di Santa Maria delle Grazie. Questa iniziativa fallì a seguito dell’opposizione dello stesso Ordine Domenicano (cfr., G. Spagnolo, Onomastica novolese: la supplica dell’università e del clero di Santa Maria di Nove nel 1686, in “Le fasciddre te la focara”, 42, 17 gennaio 2004, pp. 9-11. I relativi documenti sono conservati presso l’Archivio della Curia Arcivescovile di Lecce negli Instrumenta miscellanea dei secoli XVII-XVIII).

14 D. Gallerano, Apprezzo del feudo di Santa Maria de Nove e del feudo di Nubilo o Convento fatto il 24 marzo 1707 da Donato Gallarano, copia dattiloscritta c/o Mario Cazzato (l’originale che si conservava presso l’Archivio di Stato di Napoli è andato perduto).

15 Con la morte di Alessandro III nel 1706, si estingueva a Novoli la stirpe dei Mattei che per circa duecento anni avevano esercitato la loro signoria sul paese: «Nel giorno 7 del mese di Marzo 1706 l’Ill(ustrissi)mo Don Alessandro Mattei conte di questa terra e del Marchesato di Trepuzzi marito di Donn’Angela Invitti di Napoli, nella sua età di anni quarantaquattro nella sede del suo palazzo patrizio, rese l’anima a Dio e il di lui corpo nello stesso giorno fa sepolto nella tomba dei suoi avi nell’interno del Convento e della Chiesa dei Frati Domenicani di questa terra reggendo l’amministrazione di detto Convento frate Ferdinando da Campi; confessò (le proprie pene) nel quinto giorno, restò privo del S.S. Viatico per smarrimento di coscienza, fu tuttavia consacrato della unzione del sacro olio del settimo giorno in cui fu sopra sostituito (nel marchesato) per mezzo del Rev(erendissi)mo Don Filippo Antonio Romano», (Archivio Parrocchiale della Chiesa Matrice S.Andrea di Novoli, Registro dei morti aa. 1680-1709. Sulla fontana del palazzo ducale aveva fatto incidere la seguente epigrafe: «Deo Xenio / Non Magnitudini Aut / Dominationi / Sed / Solatio Et Ocio / Alexander Mattei / Aedes Suas / Xysto Et Fonte Excoluit / A. Mdcc»; (Trad.: «Al Dio dell’ospitalità. Alessandro Mattei, non per desiderio di grandezza o di potere, ma per conforto e agio ornò la sua dimora con la terrazza e la fontana nel 1700», cfr., M. Cazzato – G. Spagnolo, Profili di committenza aristocratica. Il caso dei Mattei Signori di Novoli, cit., pp. 16-17; un’epigrafe “che nonostante l’epoca rigurgita ancora di echi classico-umanistici”). I Carignani tennero poi Novoli per novantadue anni e furono dunque gli ultimi signori del luogo sino alla soppressione della feudalità applicata nel Salento nel mese di agosto del 1806 (O. Mazzotta, Novoli nei secoli XVII-XVIII, cit.; Id., Novoli (1806-1931), Novoli, Bibliotheca Minima, 1990; G. Spagnolo, Novoli, origini, nome, cartografia e toponomastica, cit.; Id., Storia di Novoli. Note e approfondimenti, cit.; O. Mazzotta, I Mattei Signori di Novoli (1520 -1706), cit.

16 Acal, Vvpp, vol. 141, c. 95. Visita Pastorale di Mons. Scipione Sersale a. 1746, cit.

17 Cfr., F. De Luca, La diocesi leccese nel Settecento attraverso le visite Pastorali. Regesti, Congedo, Galatina 1988, pp. 129-130.

18 Alla soppressione del 1809, quando vi risiedevano solo un padre e un converso, fu ceduto al Vescovo di Lecce Mons. Gennaro Trama che lo diede in enfiteusi a privati che lo trasformarono parte in fattoria e parte in villa. Finalmente il 22 settembre 1922 erigeva la parrocchia di Maria SS. Del Buon Consiglio e nominava parroco Don Giuseppe De Luca. La Baronessa Luisa della Ratta provvide alla congrua, offrendo il podere denominato Pizzo, e Vincenzo De Pandis donò l’antica chiesa di S. Onofrio di cui era proprietario (cfr., C. Longo, I Domenicani nel Salento meridionale secoli XIV-XIX, cit. p. 125; O. Mazzotta, Novoli (1806-1931), cit., p. 17; Id., I conventi della soppressione nel decennio francese (1806-1815), Ed. Tipografica, Bari 1996; Id., Il naufragio dei chiostri. Conventi di Terra d’Otranto tra Restaurazione Borbonica e soppressione sabauda, Besa editrice, Nardò 1999; In un inedito manoscritto sulla storia del feudo di Nubilo, D. Giuseppe De Luca, si legge, prese possesso di primo parroco di Villa Convento il 13 luglio 1924. Il manoscritto datato Convento 10 giugno 1925 a firma dello stesso parroco Giuseppe De Luca ha titolo Breve cenno storico intorno alla Contrada Feudo o Convento nel territorio di Lecce presso Novoli ed è certamente una copia con alcune varianti di quello con il titolo Breve Storia di Villa Convento già pubblicato a cura di L. Carlino in “Lu Lampiune”, XIII, 1, 1997, pp. 119-125. Sulla figura e sull’opera del primo parroco di Villa Convento cfr., D. Levante, Intitolata a don Giuseppe De Luca la Piazza di Villa Convento, in “L’ora del Salento”, X, 9, 11 marzo 2000, p. 10; M. Rossi, Don Giuseppe De Luca sacerdote dalla fede incrollabile, in “Lu Puzzu te la Matonna”, cit., VI, 24 dicembre 1999, pp. 10-13; P. Salamac, Cenni storici di Villa Convento, in “Studi Linguistici Salentini”, vol. 33, Edizioni Grifo, Lecce 2012, pp. 27-64.

19 In questa questione che coinvolse “l’Università di Santa Maria di Novoli e l’Università di Lecce” negli anni 1747-1752 si veda la memoria legale Per l’Università di Santa Maria di Novoli e Suoi naturali contro l’utile possessore di quella, cit., pp. 17-18.

20 Cfr., C. Longo, I Domenicani nel Salento meridionale secoli XIV-­XIX, cit. p. 124: «Vi rimane un affresco forse cinquecentesco raffigurante il Christus patiens».

21 Cfr., L. Antonazzo, Guida di Ugento, Galatina 2005, pp. 107-112 e, ovviamente, l’intervento dello stesso autore in questa sede. Dai restauri fino ad oggi compiuti da Daniela Guida sull’affresco (Anna Calabrese quelli sul portale) non è emersa alcuna firma che ne identifichi l’autore e né tantomeno l’anno della sua esecuzione. Pur tuttavia, incerte datazioni quasi coeve alla Battaglia di Lepanto (1571) e non documentate si rilevano in alcune fonti. Il Levante ad esempio nel suo intervento sull’intitolazione della nuova piazza di Villa Convento a Don Giuseppe De Luca, riporta anche un interessante e anonimo articolo pubblicato su “L’Ordine” del 17 ottobre 1942, che descrive l’inaugurazione fatta dal vescovo Mons. Alberto Costa il 13 settembre 1942 della ricostruita chiesa dedicata alla Vergine del Buon Consiglio. L’anonimo articolista nella sua cronaca, menzionando l’altare dedicato alla Vergine SS. del Rosario lo descrive “il primo a sinistra dell’ingresso, con i pregevoli affreschi del 1576 assai ben conservati, intorno a cui da Mons. Nicola Caputo fu fatto ricostruire un piccolo vano a volta, ove si continuò a celebrare la S. Messa nelle domeniche per i villeggianti ed i coloni che abitano nei dintorni” (D. Levante, Intitolata a don Giuseppe De Luca la piazza di Villa Convento, cit., p. 10). Anche il Salamac (citando le Visite Pastorali del Vescovo Scipione Sersale dell’ottobre 1746 e Sozy Carafa dell’ottobre 1754) riporta una datazione dell’affresco scrivendo invece testualmente che “raffigura la battaglia di Lepanto, è anonimo il suo creatore, ma l’esecuzione, come risulta in basso all’opera è dell’anno 1578” (P. Salamac, Cenni storici di Villa Convento, in “Studi Linguistici Salentini”, cit., p. 52). Va detto comunque che l’affresco, come si può notare, ha subito una mutilazione nella parte inferiore per far posto nel 1930 alla realizzazione dell’attuale altare ed è possibile perciò che in tale circostanza queste indicazioni (autore ed anno), se esistenti, possano essere andate perdute. La datazione dell’affresco al 1578 riportata dal Salamac è comunque confermata (evidentemente perché all’epoca ancora perfettamente visibile) da un contributo con la sua descrizione di Romeo Franchini, studioso e sindaco di Novoli dal titolo Novoli fine ‘500 pubblicato nel “Bollettino Santuario S. Antonio Abate ottobre-novembre 1958”. Così scrive infatti il Franchini intitolandolo La visione di S. Pio V; “L’affresco, pregevole opera d’arte… contiene anche una vivace rappresentazione della famosa battaglia: l’artista lo datò 1578 ma non lo sottoscrisse per cui è rimasto ignoto”.

8. Villa Convento, ex Chiesa di S. Onofrio oggi della Vergine SS. Del Buon Con-siglio, altare e affresco della Madonna del Rosario.

 

9. Villa Convento, ex Chiesa di S. Onofrio oggi della Vergine SS. Del Buon Con-siglio, affresco Madonna del Rosario, particolare delle navi con la bandiera della mezzaluna.

 

10. MISSA in Solemnitate Sanctissimi Rosarii Beatae Mariae Virginis, Lecce, Pietro Micheli 1675.

 

22 L’immagine in Xilografia appartiene ad una collezione privata. È un foglio a stampa di cm 24xl6 recante da un lato la “Missa/In Solemnitate Sanctissimi Rosarii/Beatae Mariae Virginis”, con Introitus, Oratio, Lectio Libri Sapientiae, Graduale, Offertorium, Secreta, Communio, Postcommunio, Lycij, Apud Petrum Michaelem, 1675 Superiorum permissu, e dall’altro lato la xilografia sopra descritta. Questo foglio, esemplare fino ad oggi probabilmente unico nel suo genere per tipologia e contenuto, compilato e firmato in chiari caratteri a stampa della tipografia di Pietro Micheli, va inserito certamente in quell’aspetto della sua produzione tipografica (non ancora sufficientemente indagato come ha rilevato E. Pindinelli) caratterizzato da “alcuni fogli a stampa…realizzati a cura e spese di vari uffici periferici nella chiara funzione di duplicazione e di capillare diffusione di ordini e di disposizioni che investivano vasti e vari settori della vita civile, e pertanto, ancora più interessanti per quanti voglia leggere attraverso essi con freschezza documentaria uno spaccato di vita salentina nel cuore del XVII secolo” (come per esempio Bandi e Indulti Reali). Materiale a stampa prodotto dal Micheli “che per le finalità e caratteristiche proprie si discosta dalla vera e propria produzione editoriale ma pur importante per una più dettagliata definizione dell’attività tipografica, della committenza e soprattutto di penetrazione e di uso della ormai quasi consolidata prassi della duplicazione a mezzo stampa” (E. Pindinelli, Sconosciute edizioni leccesi del Borgognone Pietro Micheli, in “Nuovi Orientamenti”, XX, 113-114, marzo-giugno 1989, pp. 11-20. Sulla lunga attività e produzione tipografica di Pietro Micheli e dei suoi eredi si vedano i contributi di G. Scrimieri, Annali di Pietro Micheli tipografo in Puglia nel 1600, Editrice Salentina, Galatina 1976; E. Panarese (a cura di), Una ricerca nella scuola dell’obbligo (Visita alla Biblioteca Piccinno di Maglie, Erreci Edizioni, 1990; A. Laporta, Saggi di Storia del libro, Edizioni Grifo, Lecce 1994; A. De Meo, La stampa e la diffusione del libro a Lecce e dintorni dal cinquecento alla metà dell’ottocento, Milella, Lecce 2006; M.R. Tamblè, Sulle tracce di Pietro Micheli, tipografo borgognone in Terra Salentina, in Nei giardini del passato. Studi in memoria di Michele Paone, a cura di P. Ilario D’Ancona e M. Spedicato, Edizioni Grifo, Lecce 2011, pp. 175-205; F. Quarto, Nuove emergenze tipografiche leccesi. Mundus traditus. Bottega di Pietro Micheli 1686, ivi, pp. 207-220; G. Spagnolo, Una sconosciuta edizione leccese (1664) del tipografo Pietro Micheli, in “Lu Lampiune”, X, 3, dicembre 1994, p. 5-10; Id., Un’opera sconosciuta e non ritrovata di Pietro Micheli: le Costituzioni del 1685 per il Conservatorio di S. Anna di Lecce, in “Il Bardo”, XV, 3, dicembre 2005, p. 7; Id., Per la storia dell’Editoria Salentina del ‘600. «Dell’Orazioni e Sermoni dell’Avvento» del tipografo Pietro Micheli, in Studia Humanitatis. Scritti in onore di Elio Dimitri, a cura di Dino Levante, Barbieri Selvaggi Editori, Manduria 2010, pp. 325-336; M. Cazzato – G. Spagnolo, Storia della stampa leccese dalle origini (1631) al periodo postunitario, in Rotary Club Lecce 60 anni di “service” Omaggio alle Eccellenze Salentine, Congedo Editore, Galatina 2013, pp. 103-116; G. Spagnolo, Edizioni di Pietro Micheli nella “Biblioteca Salita dei Frati” di Lugano, in “Il Bardo”, XXIV, I, Marzo 2015, p. 5. Id., Un’opera dispersa di Pietro Micheli: il trattato sui benefici ecclesiastici di Andrea Lanfranchi (1653), in “Il Bardo”, XXV, 2, maggio 2015, p. 6.

11. Xilografia Vergine del Rosario, Lecce, Pietro Micheli 1675.

I Carignani, signori di Novoli, fra mecenatismo artistico e mecenatismo letterario

di Gilberto Spagnolo

Con la morte di Alessandro III nel 1706, si estingueva a Novoli la stirpe dei Mattei che per circa duecento anni avevano esercitato la loro signoria nel paese. Subito il regio fisco dispose per l’apprezzo dei feudi della contea che nello stesso anno passò a Cornelia Brayda, vedova di Francesco Antonio Paladini e cugina per parte di madre dei Mattei.

Cornelia, nonostante le cospicue ricchezze ereditate dal padre, marchese di Rapolla e dal marito, non si ritenne capace di affrontare le dissestate condizioni economiche dei due suoi nuovi possessi, sicché restituì terre e titoli alla real Corte che, nel 1713, vendette i territori in questione a Felice Carignani.

Novoli, Palazzo della Cavallerizza, stemmi nobiliari dei Carignani, Della Torre, Alfarano Capece, Castriota Scanderbeg

 

Quest’ultimo nell’anno successivo ottenne per la contea di Novoli l’elevazione a ducato. I Carignani tennero Novoli per 92 anni e furono dunque gli ultimi signori del luogo sino alla soppressione della feudalità applicata nel Salento nel mese di agosto del 1806. A noi Novolesi, la dinastia dei Carignani (a differenza di quella dei Mattei, feudatari dal 1520 al 1706) ci è nota soprattutto “solo per l’avidità” di inflessibili feudatari, i quali col tempo avevano accresciuto a dismisura il loro arbitrio e la loro rapacità, lasciando in quei tempi il popolo nella miseria e nell’ignoranza. Basti ricordare al riguardo la dura controversia che vide protagonisti Giuseppe Oronzo Turfani di Lecce, possessore di alcuni poderi nel feudo di Nubilo (Villa Convento) e i fratelli D. Paolo e D. Luigi Mazzotta, Novolesi, possessori nel feudo di detta terra, i quali l’11 gennaio del 1805 contestarono al duca Giuseppe, presso la Camera della Sommaria, una quarantina di esazioni indebite fra decime, tributi e vessazioni ovvero “quei supposti diritti nati unicamente dall’anarchia feudale si sono su quella ignorante popolazione fino agli ultimi tempi accresciuti ed appesantiti dalla prepotenza baronale col timore e colle vessazioni”, contestazioni (di cui esiste un’importante memoria legale) che dettero torto al Duca che fu diffidato di esercitare il suo strapotere.

D. DE ROSSI, Provincia di Terra d’Otranto prima metà del 1700, cartiglio (dedicata a Felice Carignani, coll. Privata).

 

Memoria legale di B. TIZZANI – N. TURFANI sugli abusi feudali dei Carignani a Novoli, Napoli 1805, Frontespizio (coll. Privata).

 

Gli approfonditi studi di Mario Cazzato e Salvatore Errico sul palazzo baronale di Monteroni nonché i contributi di Giovanni Greco sul collezionismo artistico del ‘700 salentino, ci inducono ora a riconsiderare certamente il loro ruolo e a rivalutarlo in relazione ai numerosi aspetti inediti su tale famiglia e sulle loro umane vicende personali che evidentemente rimangono ancora nascoste (e quindi tutte da chiarire) tra le pagine ingiallite degli atti notarili. Ora sappiamo infatti (grazie agli importanti documenti rintracciati da M. Cazzato e S. Errico) che quando nel 1780 i Lopez acquistarono il leccese palazzo Giaconia-Carignani (per 6000 ducati) attaccato alla chiesa leccese di S. Maria degli Angeli, dai fratelli Giovanni (duca di Novoli) e Giovanni Battista Carignani, trattennero tra l’altro anche una straordinaria quadreria che i duchi di Novoli avevano costituito nei decenni precedenti e che dimostrano una spiccata inclinazione di questa famiglia ducale al collezionismo. La consistenza di tale dotazione pittorica (che risulta da un contratto d’affitto del 1744) era di ben 368 quadri “tra grandi, piccoli e tondini”, con opere della scuola del Lanfranco, con opere di Luca Giordano, della scuola del Vaccaro, del Bianco di Casalnuovo, del Ribera, che dimostrano anche che i Carignani erano una famiglia di committenti avveduti e non casuali. Altri episodi orientano in questa direzione, come l’invio da Napoli a Lecce nel 1696 della splendida tela con S. Gregorio Taumaturgo di Paolo De Matteis per l’altare maggiore della cappella del Seminario leccese, acquistato proprio da Giovanni Carignani, fratello di Felice e primo possessore della famiglia del feudo di Novoli, o l’acquisto nel l740 (da parte di Antonio Carignani) dal marchese di Ugento Domenico D’Amore di ben dieci tele in cambio dell’estinzione di un consistente debito ammontante ad alcune centinaia di ducati, valutate da Serafino Elmo “esperto et abile in materie di pitture” in 865 ducati. Che la famiglia Carignani (originaria di Taranto e le cui più antiche memorie risalgono al 1309) debba essere collocata dunque in ben altro “splendore” e “prestigio” sono inoltre diverse testimonianze letterarie che dimostrano appunto quanto tale famiglia (evidentemente per la loro vitalità ed impegno culturale, per il loro sentimento artistico) fosse tenuta in grande considerazione da letterati, storici, artisti (e non per le prepotenze feudali instaurate dai propri componenti). Le riporto sinteticamente qui di seguito riservandoci in altra occasione un necessario ed opportuno approfondimento.

S. PANSUTI, La Sofonisba, frontespizio (coll. privata).

 

S. PANSUTI, La Sofonisba, Antiporta.

 

Nel 1726, il letterato napoletano Saverio Pansuti “colto anzi maraviglioso ingegno” consacrava all’illustrissima signora D. Marina Della Torre, Marchesa di Novoli, Baronessa di Carignani, la tragedia “La Sofonisba” presso i Torchi di Domenico Antonio e Niccolò Parrino. La Signora Duchessa D. Marina, moglie di Francesco Carignani, come risulta dalla lettera dedicatoria in questo libro (ed in quello di cui parleremo successivamente) si era degnata di accettare “e sotto la sua protezione tenere” ben quattro tragedie di tale autore, tra cui “Il Bruto” e la “Virginia”. Nel decantare le lodi umane e nobili della baronessa (la cui famiglia era imparentata a quella nobilissima degli Spinola), l’autore scrive tra l’altro: “…..ben da voi questo nobil componimento doveva sì bel lume ricevere, che tanti Eroi, quanti Progenitori vantate, stelle di maggior grandezza del chiaro cielo della Liguria, che ben due volte il trono di quel Venerabile Senato occuparono. Congiunto il vostro chiaro sangue a quel della nobilissima famiglia Spinola, di cui fu germoglio l’inclita vostra madre: Famiglia le di cui chiare gesta la Liguria, l’Italia, e il Mondo tutto illustrarono, e che i bastoni di supremo comando, e le porpore quasi, che indivisibili propietadi in lei per natura contengonsi; accoppiandosi altresì alla Vostra la nobiltà del Signor marchese di Novoli, vostro degnissimo sposo, nobile dell’illustre città di Taranto, il quale per antico retaggio de’ suoi non mai fin’ora interrotti Progenitori, annovera tredici Baroni prima di lui nel possesso del suo nobilfeudo, da cui questa chiara ed antica famiglia à presso il cognome; prerogativa in vero, che pochi Baroni posson vantarsene, ricolmo poi d ‘onori dal nostro clementissimo Cesare, che al riflesso dè suoi meriti, à bene esercitata fin qui verso di lui; però non già resa stanca la sua Reale munificenza. Ma quindi a queste sin’ora addotte riflessioni un’altra di non minor peso a ciò fare mi spinge, ed ella si è il recarmi a memoria il gran numero dè benefici, i quali dalla vostra Illustrissima Casa tutto dì mi prevengono, uniti all’amore, che io godo di vivere all’ombra della vostra onorata protezzione….Nulla però di meno mi do a credere, che non vi apporti dispiacenza, che per un certo sfogo di gratitudine almen colle parole un qualche saggio io ne palesi e diffonda”.

S. PANSUTI, La Virginia, frontespizio (coll. privata).

 

S. PANSUTI, La Virginia, Antiporta.

 

S. PANSUTI, Il Bruto, frontespizio (coll. privata).

 

S. PANSUTI, Il Bruto, Antiporta.

 

Nel 1737, il sacerdote D. Giacomo Simidei, dottore di filosofia e di sacra Teologia, Patrizio di Brando, Diocesi di Mariana nella Corsica dedicava all’illustrissimo signore Fra Felice Carignani dei Duchi di Novoli, cavaliere dell’Ordine Gerosolimitano la sua importante e corposa (pagg. 575 più indici) opera “Compendio della Storia degli Eresiarchi…” (con una descrizione del Regno di Corsica stampata a Napoli per il Parrino). Importanti sono i riferimenti nella lettera dedicatoria (datata Napoli 20 aprile 1737 a firma dello stampatore) alla Duchessa D. Marina della Torre, madre di Felice “Dama di alto e chiaro intendimento oltre il suo sesso fornita” e moglie di Francesco Carignani Duca di Novoli e marchese di Carignano; nonché le annotazioni storico-nobiliari sulla stessa famiglia Carignani che “può andar fastosa e superba per aver dato al mondo un albero che frutti apporta al nostro regno di gran decoro” e su quello dei della Torre unita alla (per ben due volte sul ducale trono del Senato di Genova) famiglia degli Spinola. Scrive infatti lo stampatore Nicola Parrino “E non temo in questo dire, che io dico cosa non vera: imperiocchè in sapere con che gara Voi cogli altri fratelli D. Giulio e D. Giovanni (Giovanni è d’ingegno pronto e di spirito vivace e brioso) vi siete insieme con esso loro inoltrato nelle notizie e delle lettere amene, e di più Scienze nel celebre seminario di Siena, che a coltivare e ammaestrare in sé non raccoglie, da varie Parti, anche Oltramontane, se non se chi scorge d’intelligenza vasta, acuta e penetrante; ed un vedere ora, come né studi sottili e profondi della Matematica (unica a farci daddovero sapere) spiega voli ammirandi la velocissima Vostra Mente fatto io Indovinatore verace, già miro nell’aria, del vostro volto dipinte le prodezze e le gagliardie dello Spirito Vostro nell’affrontare, combattere ed annientare il più fiero nimico di Nostra Santa Fede. E queste generose operazioni, tanto più rare e meravigliose saranno quanto più proveranno dalla difficultà delle Imprese, alle quali sempre si sono posti i valorosi Cavalieri della Sacra Militare Religione di Malta, da che incominciarono a mettere freno alla insolente Potenza Ottomana, la quale, ora di niuno altro più che di loro tema e paventa”.

G. SIMIDEI, Compendio della storia degli Eresiarchi, per il Parrino, Napoli 1737, dedicato a Felice Carignani, frontespizio (coll. privata).

 

N. CAPUTI, De Tarantulae Anatome, et morsu, D. Viverito, Lecce 1714. Dedica a Giuseppe Carignani (rist. anastatica, Ed. Dell’Iride, Tricase 2001).

 

N. CAPUTI, De Tarantulae Anatome etc., Sonetto dedicato a Giuseppe Carignani (ristampa).

 

Nel 1741, per i torchi leccesi di Domenico Viverito, Nicola Caputi stampava il suo Opusculum hoc Historico-Mechonicum intitolato De Tarantulae Anatome et Morsu dedicandolo all’Excellentisimo viro/ D. Josepho/ CARIGNANO / E Sanctae Mariae de Novis Ducibus Tripudii/Dominis, decimae quartae Aetatis Carignani / Feudi Baronibus/ Nobilissimo Tarenti Patrizio./ Morum Probitate, Pritatis ornamento/Scientiae Solertia clarisima…. Nicola Caputi, discepolo del famoso Nicola Cirillo, nacque in Campi intorno al 1695. Si laureò in Napoli in medicina ed esercitò la professione in Lecce con grande successo. Nel 1747 faceva parte anche (oltre, che della R. Accademia Napoletana) dell’Accademia degli Spioni e in Lecce tenne scuola di fisica, matematica, medicina e scienze naturali. Morì a Lecce nel 1761. Al Carignani, il Caputi, in questo testo dedica anche un sonetto del seguente tenore “….quella virtù, che tanto ormai prevale, e in te soggiorna, e ti fa gire onusto di tanto onor che il Secolo vetusto correggi, e al nostro dai vanto immortale… quella sarà, se tu proteggi e guidi queste scipite, e mal vergate carte….”.

B. TAFURI, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Mosca, Napoli 1750, frontespizio (Tomo III. Parte I, dedicati a Felice Carignani, coll. privata).

 

Nel 1750 il noto scrittore Gio:Bemardino Tafuri da Nardò pubblicava in Napoli per il Mosca, il tomo III Parte I della sua famosa opera Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli dedicandola a Sua Eccellenza il Signor Cavaliere Fra. D. Felice di Carignano dell’Ordine Gerosolimitano. Nella lettera dedicatoria è presente oltre che un’importante ricostruzione dinastica della famiglia e dei suoi più illustri componenti, un vero e proprio “ritratto” del protettore (dall’eroico talento ed esemplare perfetto di cavaliere) a cui l’opera è dedicata (già ricordato, come si è scritto, in un’altra precedentemente nominata) con particolari inediti sulla sua vita (sappiamo ad esempio che Felice oltre ad aver dato “gloriosamente il nome nel Sagro Ordine Girosolimitano” aveva tenuto con insigne valore il governo di una galera in qualità di capitano) e di cui “disdicendomi l’impareggiabile vostra modestia, ch’io più m’inoltri nel meritato vostro elogio, contentatevi almeno che rammentando a voi steso la generosa vostra grandezza di cuore, vi supplichi a ricevere benignamente questo libro, che pongo sotto gli invidiabili auspici del Vostro Patrocinio, con quel vero profondissimo ossequio col quale mi do l’onore di dirmi di V. Eccellenza”.

In questo percorso di mecenatismo letterario ricordiamo infine il raro e prezioso documento cartografico che risalirebbe alla prima metà del 1700 (appartenente ad una collezione privata) di cui abbiamo già dato notizia in altro studio) ovvero la Provincia / di Terra d’Otranto / delineata dal Magini /ampliata dal Rossi / e d’ora a miglior perfezione ridotta / secondo lo Stato Presente / dedicata / al Merito dell’Ill.mo Sig.re Fra D. Felice / Carignani de’ Duchi di Novoli Cavaliere dell’ / Ordine Gerosolimitano. La carta che nel cartiglio reca al centro lo stemma nobiliare dei Carignani, è probabilmente un unicum (Novoli è presente con il toponimo Novuli), misura mm 440×540 e sembra facesse parte anche di un atlante o di qualche testo poiché sul margine superiore destro vi è riportato la dicitura pag.585 con a fianco il n° 18 riferito forse alla numerazione delle tavole.

Felice Carignani era nato a Napoli da Giulio Cesare e Francesca Alfarano Capece. Quando i feudi di Novoli e del Convento, dopo i Mattei, furono messi in vendita, fu proprio Felice Carignani a dare l’incarico al suo agente Nicola Latronico di acquistarli. La stipula venne rogata dal notaio Giuseppe Raguccio di Napoli l’11 febbraio 1713. Felice morì a Napoli il 3 marzo 1716.

Epistola di Paolo Moccia (professore di eloquenza) a Francesco Carignani “Novolensium Duci” (in Epistolae, Napoli Tipografia Simoniana 1764, coll. privata).

 

Parte conclusiva dell’epistola di Paolo Moccia a Francesco Carignani.

Pubblicato in “Lu puzzu te la Matonna”, Anno VI, 18 luglio 1999, pp. 19-21.

 

Riferimenti bibliografici essenziali

M.Gaballo, I Carignani ultimi signori di Novoli, in “Lu Puzzu te la Matonna”, a. IV, 20 luglio 1997.

M. Rossi, Circa le decime, ivi.

G. Greco, Il Duca di Novoli e una vicenda sul collezionismo artistico del ‘700 salentino, ivi.

M. Cazzato, La quadreria del Palazzo Ducale, in “Vita Cristiana”, Monteroni, ottobre 1994, supplemento a “L’ora del Salento”.

O. Mazzotta, Novoli nei secoli XVII-XVIII, Novoli 1986.

Id., Novoli (18061931), Novoli 1990.

G. Spagnolo, Novoli, origini, nome, cartografia e toponomastica, Novoli 1987.

Id., Storia di Novoli, Note e Approfondimenti, Lecce 1990.

L.G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti, Vol. I, La città, nuova edizione postillata da Nicola Vacca, Lecce 1964.

M. Cazzato, S. Errico, Il Palazzo baronale di Monteroni, Contributo alla Storia dell’Architettura Salentina, Galatina 1998.

M. Cazzato, Fortune nobiliari e interessi artistici. I Lopez y Royo nella seconda metà del ‘700 in “Presenza Taurisanese”, nov. dic. 1995.

G. Spagnolo, Fonti Bibliografiche per la Storia di Terra d’Otranto; memorie legali dei secoli XVIII e XIX, in “Lu Lampiune”, a. IX, n. 3, Lecce, dicembre 1993.

M. De Marco, Il tramonto della feudalità nel Salento. Una causa a Novoli contro gli abusi dei Carignani, in “Quaderni Salentini”, a. I, n. 3, 18 aprile 1981.

S. Pansuti, La Sofonisba. Tragedia, in Napoli MDCCXXVI, presso Domenico-Antonio e Niccolò Parrino.

Gio: Bernardino Tafuri, Istoria degli Scrittori nati nel Regno di Napoli, Tomo III, Parte I, in Napoli, Per lo Mosca, 1750.

G. Simidei, Compendio della Storia degli Eresiarchi, MDCCXXXVII per il Parrino in Napoli.

N. Caputi, De Tarantolae Anatome et Morsu, Domenico V. Viverito, Lecce 1741.

Girolamo Marciano e i Discorsi di Guillaime Du Choul, gentiluomo lionese

Girolamo Marciano e i Discorsi di Guillaime Du Choul, gentiluomo lionese. Contributo su una biblioteca perduta

 

di Gilberto Spagnolo

A Enzo Maria Ramondini.

Alla sua memoria.

Nel 1992, nel corso di una ricerca sulla storia del Seminario Vescovile di Lecce e della sua Biblioteca, la “Innocenziana”, lo studioso Oronzo Mazzotta fortuitamente si imbattè (ironia della sorte), in ben 23 cinquecentine, di cui 13 tomi stampati a Parigi da Dionigi Duval nel 1586 (che contengono “l’Opera Omnia” di S. Agostino curata dai teologi di Lovanio) e altri 10 tomi stampati a Venezia dai Fratelli Sessa nel 1596, che contengono i “Commentaria” al Vecchio e al Nuovo Testamento di Alfonso Tostati filosofo, teologo e vescovo di Avila.

Tutti i volumi, come annotato sui frontespizi, provenivano dalla “biblioteca di Alessandro Mattei.

Improvvisamente, di fronte a una traccia così tangibile, quella biblioteca tanto decantata dal Marciano, scomparsa misteriosamente, dispersa nel nulla, tanto da far pensare a una pura e semplice invenzione del filosofo di Leverano (ospite dello stesso conte) si materializzava, assieme al suo “eruditissimo, saggio e prudentissimo principe” nelle mani di chi aveva avuto “molti interrogativi e poche certezze” al riguardo. Questo corposo numero di libri proveniente “dalla biblioteca di Alessandro Mattei” è stato, dopo il Mazzotta, censito nel 1997 da Lorella Ingrosso e nel 2004, ha avuto un “posto di rilievo” nell’accurato lavoro archivistico condotto con perizia e con lodevole impegno da Maria Elisabetta Buccoliero e Francesca Marzano, studio che valorizza il patrimonio antico (incunaboli e cinquecentine) della Chiesa di Lecce.

La “vicenda” della Biblioteca Mattei, del suo “Museo di libri” di cui ci dà informazione il Marciano che trascorse l’ultimo periodo della sua vita in un “rapporto privilegiato” con il giovane Alessandro, si arricchisce di una nuova e significativa testimonianza, di una “traccia letteraria” (se così possiamo definirla) che oltre a dare un ulteriore riscontro – seppure indiretto – sulla sua esistenza, fornisce soprattutto un certo valore sulla “ricerca delle fonti” del Marciano stesso che qui a Novoli (vi dimorò dal 1615 al 1620) ultimò la sua Descrizione di Terra d’Otranto discorrendone con Alessandro e usando i suoi libri (vi era, infatti, venuto perché “attratto dalla fama del suo sapere e dalla sua ricca biblioteca”).

Scrive Natalia Aspesi, in una recensione su un interessante libro di Alexandra Lapierre che “i colpi di fulmine che fanno innamorare gli studiosi avvengono nella solitudine degli archivi sfogliando vecchie carte consumate, col cuore che batte per una scoperta, una rivelazione, una traccia, una domanda senza risposta, un segreto che si svela”.

Qualcosa di simile mi è personalmente accaduto qualche anno fa quando ho potuto consultare un libro antico bellissimo (appartenente a un privato che lo ha poi immesso sul mercato dell’antiquariato librario) di grande rarità e con un ricco e pregevole apparato figurativo. Il libro in questione è l’opera cinquecentesca (1569) del gentiluomo francese Guillaime Du Choul intitolato DISCORSO / DELLA RELI/GIONE ANTICA / DE ROMANI, / Insieme un’altro (sic) Discorso della Castrame(n)tatione, et / disciplina militare, Bagni, essercitj an-/tichi di detti Romani, / Composti in Franzese (sic) dal S. Guglielmo Choul, Gentil huomo / Lionese, a Bagly delle Montagne del Delfinato, / et tradotti in Toscano da M Gabriel Simeoni Fiorentino. / Illustrati di Medaglie & Figure, tirate de i marmi antichi, / quali si trovano à Roma, & nella Francia / IN LIONE, / APPRESSO GUGLIELMO ROVILLIO. / M.D.LXIX.

1. G. DU CHOUL, Discorso della religione antica de Romani, frontespizio.

 

Da ricerche effettuate, l’opera di DU CHOUL, era appartenuta, come dimostrano le iniziali R.T. incise in oro con il titolo sul dorso verde di una rilegatura ottocentesca, a Raffaele Tarantini (1850-1912), sindaco di Novoli dal 1884 al 1889. Il Tarantini, come abbiamo ricordato in altra occasione, ebbe cura di trascrivere integralmente e fedelmente nel 1876 il testo stampato dall’arciprete Oronzo De Matteis sulla parte riguardante la descrizione di Novoli del Marciano estratta dal manoscritto fatto nel 1783 dal sacerdote cartografo Giuseppe Pacelli di Manduria, facendolo precedere da un frontespizio vergato con il titolo Memorie Antiche di Novoli. Il libro è di notevole importanza per diverse ragioni. Il Du Choul è innanzitutto espressamente citato (anche se non in maniera perfettamente corretta) dal Marciano stesso nel I Libro (“Del Sito e delle Province d’Italia”) Cap. V della sua “Descrizione” e precisamente nel “Della Venuta di Messapo in Italia, dal quale ebbe la provincia il nome di Messapia, del suo Padre Nettuno, e delle Antiche Lettere Messapie ritrovate nel Paese”. Non solo! II Marciano lo utilizza (come si può constatare nelle illustrazioni riportate) ampiamente trascrivendone pari pari il testo a proposito della descrizione delle “monete tarantine” e sulla “venuta di Messapo figlio di Nettuno e dal quale questa nostra Provincia ebbe il nome di Messapia”.

2. G. DU CHOUL, Discorso sopra la castrametazione et disciplina militare de Romani, frontespizio.

 

3. Stemma araldico e motto di G. du CHOUL (retro primo frontespizio).

 

Ma ancora più significativo (se non clamoroso) è il suo utilizzo (come si può verificare), che ne fa nella descrizione di S. Maria de Nove a proposito “di un antico costume de’ Romani” che soleva celebrarsi “il secondo di Pasqua in un’antica chiesa che ivi è di S. Niccolò”.

Del libro di Guillaime Du Choul vanno ancora messi in evidenza altri due aspetti. Nel Discorso De Bagni et Essercitii Antichi De Greci et De Romani la splendida tavola xilografata a piena pagina che illustra il “LABRUM” (“Bagno in volta degli Antichi Romani”), nel suo “linguaggio architettonico” della volta «ad ombrello», essa richiama incredibilmente l’ottagona chiesa novolese del Salvatore (poi di S. Oronzo) voluta da Filippo Mattei II (padre di Alessandro) negli anni Settanta del XVI secolo, su ispirazione del Gesuita Bernardino Realino e che ricorda, come tutti sanno, la soluzione adottata nell’abside della chiesa leccese di S. Croce realizzata dall’architetto-scultore Gabriele Riccardi per la congregazione dei Celestini, nonché artefice della chiesa del convento dei Domenicani nel feudo di Nubilo.

4. G. DU CHOUL, Discorso De bagni et esserciti antichi de Greci et de Romani, il “Labrum” (bagno in volta degli antichi Romani).

 

Ma c’è di più! Sempre nello stesso Discorso, a pag. 135, nella descrizione dei “ginnasij” e de “la Palestra” s’incontra sottolineata a penna la parola stampata a margine XYSTO che il Du Choul così spiega: Per mez(z)o questi alberi, si facevano hypetri spasseggiamenti, chiamati da Greci παραδρομεδες, al modo nostro scoperti, sotto al sole: dove il verno (quando il tempo era chiaro, bello, il Cielo sereno) gl’Athleti chiamati Xystichi; à causa del Xysto, che era coperto, scendevano per passeggiare, correre, essercitarsi. Dopo il xysto era lo stadio luogo della corsa, che era fatto in modo che ogniuno poteva vedere correre gl’Athleti: i quali erano (come scrive Giulio Polluce) tutti quelli, che s’essercitavano nel gynnasio della palestra” (pag. 135). Il termine lo si ritrova, come è stato accertato, nell’epigrafe classico-umanistica di cui è provvista la “fontana” che nel 1700 l’ultimo dei Mattei (Alessandro III) fece erigere “al Dio dell’Ospitalità” sulla “terrazza” del Palazzo Baronale dal Cino, uno dei più importanti artefici del barocco salentino (il Cino poi nel 1704, sempre su incarico di Alessandro Mattei III, realizzerà l’altare nella chiesa del Salvatore con ai lati lo stemma dei Mattei).

Sulla “peculiarità” di questo termine “colto”, correttamente volto in «terrazza» o meglio ancora “con portico coperto”, in tempi non sospetti, ci eravamo già soffermati nel 1998 con l’amico e studioso Mario Cazzato.

Esaminando l’epigrafe, infatti, (in cui sembra condensarsi “la profonda tradizione umanistica della nobile famiglia Mattei”) si era individuato in questo termine classico un “esplicito riferimento, non solo terminologico, all’architettura classica e umanistica”. L’epigrafe di Alessandro III Mattei non era dunque “semplicemente la richiesta di onesti giorni tranquilli; esprimeva invece un concetto più complesso: la sua dimora che non aveva voluto imponente e che invece aveva ornato con la fontana e col portico, offriva agli aristocratici ospiti perché, confortati dall’«ozio onesto», insieme potessero ricreare una perduta e vagheggiata dimensione umanistica”.

In conclusione. Girolamo Marciano ebbe tra le mani, anzi lesse i Discorsi del Du Choul servendosene ampiamente per la sua Descrizione (sono comunque tantissime le citazioni bibliografiche di altri testi, oltre al Du Choul che certamente il Marciano, se li possedeva, non poteva portarsi appresso nelle sue “peregrinazioni” per fare le sue ricerche e i suoi studi).

“Perché” un esemplare di questo libro di straordinaria bellezza e importanza per quei tempi si trovasse a Novoli, come fosse pervenuto nelle mani di Raffaele Tarantini (che tra l’altro ebbe “interesse per le patrie memorie – la trascrizione della “Descrizione” del Marciano su S. Maria de Nove, come a suo tempo abbiamo riportato, ne è indubbia testimonianza) – sono domande per le quali lascio la risposta ai singoli lettori.

Questo contributo sulla biblioteca perduta dei Mattei si è proposto, soprattutto per dimostrare, come abbiamo sempre sostenuto e creduto, la veridicità della testimonianza del Marciano, gli indubbi meriti di Alessandro II Mattei (la cui fama, particolare inedito, era nota anche a Pietro Pollidori, tanto che lo ricorda come coautore, assieme al Marciano, della Descrizione) nel campo culturale e artistico, le virtù mecenatiche e liberali di questa famiglia, i loro rapporti intellettuali che furono certamente non casuali, ma inseriti in “un sistema locale ben determinato nel quale centro e periferia” erano legati da rapporti e da uno scambio continuo di “esperienze e fermenti culturali”.

D’altra parte, come scrive Umberto Eco, “quello che l’infelice non sa è che la biblioteca non è solo il luogo della tua memoria, dove conservi quel che hai letto, ma il luogo della memoria universale, dove un giorno nel momento fatale potrai trovare quello che altri hanno letto prima di te”.

 

* In “Lu Puzzu te la Matonna”, a. XVII, Novoli 18 luglio 2010.

5. Lecce, Archivio Curia Arcivescovile, “Augustini Hipponensis Episcopi”, frontespizio (ex Bibliotheca Alexandri Mathej).

 

6. Nel riquadro a sinistra: Guillaime du Choul dalle pagg. 102, 103, 104; nel riquadro a destra: Geronimo Marciano dalle pagg. 24-471.

 

 

Riferimenti bibliografici essenziali

N. Aspesi, William l’Avventuriero, recensione a Vita Straordinaria di William Petty, avventuriero, erudito e conquistatore, in “La Repubblica – Cultura”, 10 dicembre 2004.

M.E. Buccoliero – F. Marzano, Incunaboli e Cinquecentine della Biblioteca Innocenziana di Lecce, Lecce 2004.

M. Cazzato, Dalle “antiquitate” al “museo” e alla “gallaria”: per una storia del collezionismo aristocratico in Terra d’Otranto, in M. Fagiolo (a cura di), Atlante tematico del Barocco in Italia. Il sistema delle residenze nobiliari. Italia Meridionale, Roma 2010.

M. Cazzato – G. Spagnolo, Profili di committenza aristocratica. Il caso dei Mattei, Signori di Novoli, in “Camminiamo Insieme”, a. XII, n. 1 gennaio 1998.

G. Cosi, Nuovi documenti sulla vita di Geronimo Marciano, in “Contributi”, a. IV, n. 4 Maglie 1985.

F. De Pascalis, Altare con sorpresa, la firma di Cino, in “Quotidiano”, 25 novembre 2003 (durante i lavori di restauro e conservazione dell’altare situato all’interno della chiesetta di sant’Oronzo sono state trovate incise, nella parte superiore destra, le due lettere G. C. ovvero, con molta probabilità, le iniziali di Giuseppe Cino).

U. Eco, Le avventure di un Bibliofilo, “Lectio inaugurale” della XX edizione della Fiera del Libro di Torino, in “La Repubblica – Cultura”, 10 maggio 2007.

L. Ingrosso, Proposte per un recupero del Patrimonio librario della Biblioteca Innocenziana di Lecce. Un fondo da salvare: la biblioteca di Alessandro Mattei Signore di Novoli, in “Lu Lampiune”, a. XIII, n. 2, 1997.

O. Mazzotta, Ex Bibliotheca Alexandri Mathej, in “Camminiamo Insieme”, a. VI, n. 3, marzo 1992. Nel suo breve intervento, il Mazzotta, pur di non ritrattare completamente le sue convinzioni, oltre a dare la notizia del “ritrovamento”, “supponeva” quanto segue (riporto testualmente): “Tutti i volumi, come annotato sui frontespizi, provengono dalla biblioteca di Alessandro Mattei. Sappiamo che Paolo Bonaventura, figlio di Alessandro II, entrò nell’Ordine dei Predicatori e prese il nome di Alessandro. Paolo Bonaventura lasciò il convento, ma i libri vi rimasero, e dopo la soppressione degli Ordini religiosi nel periodo napoleonico, dallo Studio generale dei Domenicani di Terra d’Otranto arrivarono alla biblioteca Innocenziana. Rimane da appurare se i volumi furono da Frà Alessandro (Paolo Bonaventura) comprati oppure ereditati dal padre. La critica testuale mi porta a ritenere che molto probabilmente i libri appartenevano alla biblioteca paterna. Ma mi riservo di tornare più diffusamente sull’argomento in altra occasione”. E in effetti il Mazzotta ci tornò sull’argomento, ma per richiamare Lorella Ingrosso che aveva attribuito impropriamente i libri trovati nell’Innocenziana ad “Alessandro Mattei II, Signore di Novoli, conte di Palmariggi, umanista e Mecenate” (si vedano “Le Fasciddre te la Focara”, a. 43, gennaio 2005). A sostegno di ciò ribadiva di aver dimostrato (sic) nel 1994 “che i libri appartenevano a Paolo Bonaventura Mattei undicesimo figlio di Alessandro II che aveva preso l’abito domenicano col nome di Alessandro” (ivi). Su tale sua “dimostrazione”, personalmente, nel suo libro Il Seminario di Lecce (a parte la pubblicazione dell’elenco dei libri) rilevo solo questa sua dichiarazione: “I Commentari del Tostato insieme all’edizione parigina delle opere di Sant’Agostino, appartenevano alla biblioteca di Alessandro Mattei barone di Novoli. Questa biblioteca tanto decantata dal Marciano all’inizio del Seicento, pare che fosse scomparsa misteriosamente prima ancora dei Mattei tanto assoluto è stato il silenzio delle fonti di ogni genere ad oggi. Nient’altro! Vero è che Paolo Bonaventura Mattei dopo essere diventato frate lasciò il saio e si sposò con la leccese Barbara Paladini dalla quale ebbe un figlio e poi rimase vedovo. Il 13 novembre 1661 avvenne la “consegna di doti e stipula di contratto matrimoniale con d. Paolo Bonaventura Mattei conte di Palmariggi in castro Terrae Sanctae Mariae de Novis”. Nell’inedito documento che abbiamo rintracciato presso la Biblioteca Provinciale di Lecce vi è anche la firma autografa del Bonaventura. Da un confronto fatto con l’ex-libris della biblioteca Innocenziana, le due scritture (particolare non trascurabile) risultano calligraficamente completamente diverse.

O. Mazzotta, Il Seminario di Lecce (1694-1908), Lecce 1994.

O. Mazzotta, I Mattei Signori di Novoli, Novoli 1989.

D. Novembre, Terra d’Otranto nella Descrizione di Geronimo Marciano (Primo Seicento), introduzione alla ristampa fotomeccanica della Descrizione, Origini e Successi della Provincia d’Otranto del Filosofo e Medico Girolamo Marciano di Leverano con aggiunte del Filosofo e Medico Domenico Tommaso Albanese di Oria, Galatina 1996.

P. Pollidori, Expositio / veteris Tabellae / Aereae, /Qua / M. SALVIUS / VALERIUS / Vir Splendidus / EMPORII / NAUNANI / PATRONUS COOPTATUR / AUTORE / PETRO POLLIDORO / VENEZIA, ZANE, 1732. Scrive testualmente Pietro Pollidori: “Non ignobile vetustatis monimentum Jampridem ab aliis de scriptum, Viri carissimi Hieronymus Martianus Liberanensis, & Alexander Matthaejus Palmarici Comes libro 3. descriptionis Sallentinae Provinciae Cap. 15 vulgarunt”.

G. Spagnolo, Tra fonti letterarie e fonti manoscritte: sulla “Geografia di Terra d’Otranto” del Conte Alessandro Mattei, Signore di Novoli, in “Lu Puzzu te la Matonna”, a. X, 20 luglio 2003.

Id., Memorie antiche di Novoli (note su un manoscritto ottocentesco della Descrizione di S. Maria de Nove di Girolamo Marciano), in “Lu Puzzu te la Matonna”, a. XII, 17 luglio 2005. Raffaele Tarantini di Pietro nacque a Novoli il 16 di agosto del 1850 e vi morì nell’anno 1912. Sposò Teresa Colaci Sansò figlia di Leonardo Colaci Sansò e Nicoletta dei Baroni D’Amelio di Melendugno il giorno 7 giugno del 1884. Lo sposalizio fu benedetto con una messa speciale ed annesse benedizioni da monsignor Luigi Zola, Vescovo di lecce, quando il Tarantini era già sindaco di Novoli. La famiglia Tarantini, una delle “più rinomate famiglie novolesi” si è estinta alcuni anni fa con la morte di Maria Teresa Tarantini, ultima discendente “donna a dir poco straordinaria per intelligenza e cultura” (cfr. M. De Marco, In ricordo di Maria Teresa Tarantini, in “Sant’Antoni e l’Artieri”, a. XXVII, 17 gennaio 2003, p. 16).

Id., Un cartografo in età barocca. Frate Lorenzo di Santa Maria de Nove, introduzione di Mario Cazzato, Lecce 1992.

Id., Il Principe Perfetto Giovanni Antonio Albricci terzo (testimonianze dall’Ignatiados, poema eroico inedito di Francesco Guerrieri illustre letterato salentino), estratto da Quaderno di Ricerca, Salice Salentino, ottobre 1989.

Id., Storia di Novoli. Note ed Approfondimenti, Lecce 1990.

Id., Dalle rime del Mannarino un sonetto ad Alessandro Mattei, in “Sant’Antoni e l’Artieri”, a. XVI, Novoli 17 gennaio 1992.

 

*   *   *

Il libro in perfette condizioni del Du Choul è in 4° mm. 165×235 h, antiporta con inciso lo stemma di Choul + pp. 296 + 8 di indice con 46 xilografie di medaglie e marmi; antiporta ancora con lo stemma di Choul + [6] + pp. 145 + 6 nn + 43 xilografie nel testo anche a piena pagina + figura del campo dei Romani fuori testo più volte ripiegata.

Vi sono belle marche tipografiche al frontespizio, testatine e capilettera incisi.

La sua legatura è, come già detto, ottocentesca, con titolo e iniziali di Raffaele Tarantini in oro sul dorso verde e piatti marmorizzati rossi.

Note manoscritte di antichi possessori sul primo frontespizio tra cui è leggibile “Soc. Iesu” (vi sono bruniture sparse dovute al tipo di carta).

A tal proposito un’ultima annotazione.

I Gesuiti con Bernardino Realino, proclamato poi santo, ebbero una grande amicizia con la famiglia Mattei.

La famiglia Tarantini ebbe, invece, intensi rapporti con i Carignani che, con Felice, nel 1712 si aggiudicarono i feudi di Novoli e del Convento messi in vendita dalla R. Camera della Summaria dopo la morte di Alessandro III ultimo dei Mattei.

 

Gli scritti di Gilberto Spagnolo nella sua ultima fatica letteraria

 

La ricerca storica sul territorio
ovvero la costruzione dell’identità dei luoghi

 

di Mario Cazzato

(introduzione al volume)

In questa ponderosa opera di oltre 600 pagine Gilberto Spagnolo riunisce parte dei suoi scritti che datano a partire dai primi anni ottanta del secolo scorso e che in nuce risalivano, come metodologia d’indagine e orizzonti d’interesse almeno al decennio precedente quando intorno alla figura, più volte richiamata in queste pagine, di Enzo Maria Ramondini, la “memoria storica” di Novoli, nasce e si coordina in un gruppo di giovani ricercatori novolesi interessati alla storia della piccola patria, dove emerse, come si vedrà, il più promettente di loro, che seppe riunire l’interesse erudito per le faccende locali con la necessità di recuperare la documentazione archivistica che già dalle prime battute dimostrava che per questa via poteva riscriversi anzi scriversi, la storia della comunità di appartenenza fino a raggiungere risultati inaspettati.

E tutto questo si accompagnava e si accompagna ancora alla passione bibliografica dell’autore, acquisendo nel corso di decenni vere e proprie rarità bibliografiche che sono utilizzate non per uno sterile e solipsistico piacere collezionistico, ma come volontà di farne parte ad una comunità sempre più ampia e attenta, spesso inconsapevole di possedere tale patrimonio bibliografico i cui percorsi geografici costituiscono vere e proprie avventure per tale genia di accumulatori di cui G. Spagnolo ne è fieramente parte: una specie di piccola comunità che ha come obiettivo la ricostruzione di un patrimonio dilapidato nel corso dei secoli.

L’opera è divisa in cinque parti e la prima non poteva che essere dedicata alle fonti e ai documenti, dove emerge la figura e i significati dell’opera di G. Marciano che qui a Novoli, come dimostra l’autore, stese la sua Descrizione servendosi della cospicua biblioteca dei signori locali, i Mattei, che della loro residenza avevano fatto una vera e propria piccola corte rinascimentale celebre tra i letterati salentini dell’epoca e ai raccoglitori di “antiquità”, come Vittorio de Prioli.

La seconda parte è dedicata ai “luoghi” e contiene le prime prove dell’autore come quella sui menhir del 1988, sui trappeti sotterranei, sulle cappelle rurali, sul teatro comunale ma soprattutto sul magistrale saggio sui Discorsi di Guillaime Du Choul (1496 ca. – 1560) il più eminente antiquario lionese della sua generazione, pubblicato postumo nel 1569, opera che faceva parte della dispersa biblioteca dei Mattei, opera rarissima miracolosamente recuperata.

La terza parte è dedicata agli “uomini insigni” che hanno reso notevole la storia di Novoli, e sono, tra i tanti, spesso emersi dall’oscurità, i rappresentanti della famiglia Mazzotta (Benedetto, Nicola, Pietro) o Guerrieri. E di Ferruccio Guerrieri G. Spagnolo ripropone qui un raro scritto sul tarantolismo salentino. E non a caso, poco prima l’autore aveva biografato il violinista Pasquale Andrioli che all’autore rammenta un altro e precedente violinista, Francesco Mazzotta, musico delle tarantate ricordato dal De Simone e quindi dal De Martino affascinati dalla credenza popolare per la quale la “vera pianta della taranta” è a Novoli.

La sezione termina con due interventi su Oronzo Parlangeli, l’illustre studioso novolese del quale si ripropone un significativo scritto sul mosaico di Otranto. Con I cinque talenti di Oronzo Parlangeli si chiude la sezione, un breve scritto, questo, che l’autore dedica ai suoi alunni. Infatti non possiamo tralasciare che G. Spagnolo è stato per decenni, per professione, un educatore e come tale e in quanto tale ha sempre misurato i suoi contributi che hanno quasi sempre un colloquiale tono didascalico senza mai rinunciare al rigore delle affermazioni, sempre controllatissime e quasi sempre costruite su materiali inediti o sconosciuti.

La penultima sezione, la quarta, è dedicata alla santità e alle sue manifestazioni esterne. E qui emerge il costante interesse dell’autore, per un elemento che connota l’identità storica della comunità novolese che ogni anno si ritrova intorno alla famosa fòcara per testimoniare la sua secolare devozione a Sant’Antonio Abate. E di questo santo taumaturgo sul quale l’autore ha scritto un volume fortunatissimo (Il fuoco sacro. Tradizione e culto a Novoli e nel Salento) ricorda i delicati componimenti poetici di E.G. Caputo, Novolese di fatto, raccolti in un rarissimo volumetto – il bibliofilo spunta sempre da ogni angolo – stampato nel 1953 appunto col titolo di La Focara.

Occasioni è il titolo della quinta e ultima sezione, dove l’autore raccoglie interventi su amici che non ci sono più, come S. Arnesano, Gioele Manca e lo stesso Ramondini. Qui ripropone il recente (2023) intervento sul volume collettaneo Lecce svelata e che riguarda il protettore di Lecce e della Provincia, S. Oronzo: una lunga e documentata storia dell’arte tipografica leccese, argomento sul quale l’autore è una delle massime autorità anche per il suo essere, come abbiamo detto, e non poteva essere altrimenti, accanito bibliofilo, argomento al quale ha sacrificato tempo e sostanze.

Nella stessa sezione è inoltre riportato un articolo di G. Gigli del 1909 sulla cartapesta leccese, nel periodo, cioè, della sua massima fioritura. Chiude la sezione un intervento sul quadrato magico sator, dove traccia le coordinate storico-geografiche del fenomeno in area salentina e, ultimo, il lungo accenno del famoso scienziato francese Nicolas Lemery sulla “tarantula di Puglia”: entrambi non potevano essere scritti se l’autore non avesse scoperto, nelle sue pazienti ricerche bibliografiche, quel materiale che all’improvviso fa balenare la seducente possibilità di approfondire in maniera innovativa l’argomento.

L’attività studiosa dell’autore non si ferma qui. Nel 1987 scrisse un nutrito volume sulle origini di Novoli; nel 1990 un altro sulla storia complessiva della stessa comunità. Nel 1992 pubblica la vicenda bio-bibliografica del cappuccino e apprezzatto geografo Lorenzo di “S. Maria de Nove”. E relativamente al metodo non può notarsi che quando parla di collezionismo e di collezioni si colloca in un campo d’indagine innovativo che ben poco spazio ritrovano nelle consuete storie municipali costruite secondo l’ottica ottocentesca nelle quali l’interesse per gli aspetti minuti della piccola patria mette in ombra i rapporti con la storia generale.

Questo e molto altro contiene questo complesso volume che deve essere letto tenendo presente i tempi di composizione dei singoli interventi che hanno costruito, nei decenni, una solida impalcatura di conoscenze storiche che non ha eguali in Provincia. Ma, come scrisse diversi anni fa Mario Manieri Elia per Melpignano, il fine non ultimo e più avvincente di un’opera come questa, è quello di porre all’attenzione di tutti proprio Novoli; centro, il quale, in conseguenza dell’arricchimento di conoscenza e di sensibilizzazione che ad esso si lega dopo tale lavoro non è più quello di prima. Un luogo fisico come Novoli, non è portatore di significati oggettivi dati una volta per sempre; è percepito per quello che di esso sappiamo e memorizziamo, consapevoli che la ricchezza di messaggi storici e di identità – è questa una delle funzioni degli scritti di G. Spagnolo – rende plausibile la lotta per la sua sopravvivenza fisica ma anche la lotta perché la memoria di chi ha animato per secoli lo spazio degli uomini non venga mai meno. È l’auspicio di questa fatica dell’amico G. Spagnolo che, siamo sicuri è già impegnato a continuare quest’operazione culturale di grande valore civico.

 

Gilberto Spagnolo è nato a Novoli (Le) il 3/6/1954. Si è laureato presso l’Università di Lecce nel 1977, conseguendo una laurea in Pedagogia a indirizzo psicologico. Ha svolto l’incarico di operatore culturale nei Centri Regionali di Servizi Educativi e Culturali (CRSEC) del Distretto Scolastico di Campi Salentina; dal 1991 al 1994 ha insegnato nelle scuole italiane all’estero (in America Latina, nel “Collegio Raimondi” di Lima – Perù e in Spagna nella scuola italiana “M. Montessori” di Barcellona); è stato dirigente dell’Istituto Comprensivo di Novoli dal 1995 al 2019. Da oltre 40 anni, si dedica alla ricerca e alla storia patria e ha pubblicato numerosi saggi e monografie, con particolare riferimento a Novoli (dove risiede), alle sue tradizioni e alla Terra d’Otranto.

Fra le sue pubblicazioni si citano in particolare: Novoli. Origini, nome, cartografia, toponomastica (1987); Storia di Novoli. Note e approfondimenti (1990); Un cartografo in età barocca. Frate Lorenzo di Santa Maria de Nove (1992); Il principe perfetto: Giovanni Antonio Albricci Terzo. Testimonianze dall’Ignatiados, poema eroico inedito di Francesco Guerrieri illustre letterato salentino; Il fuoco sacro. Il culto di Sant’Antonio Abate a Novoli e nel Salento (1a ed. 1998, 2a ed. 2004, 3a 2018); Il pane del miracolo. Il culto della Vergine del Pane di Novoli nel panegirico del passionista A. Librandi; Memorie del passato. Il diario di Salvatore Cezzi e la Focara di Novoli (1872-1874) “Superba come ogni anno” (2023); I Domenicani a Novoli: un affresco e un’incisione della Vergine del Rosario (2016); Bernardino Realino e i Mattei Signori di Novoli (2017).

 

Novoli: che fine ha fatto il Bambino?

di Armando Polito

Il  titolo di  oggi sembra una rivisitazione salentina del film Che fine ha fatto Baby Jane? del  1991. L’inziale maiuscola di Bambino, però, ci fa capire che la parola in questione è un nome proprio. E, allora, si tratta del trafugamento di qualche statua o pittura da qualche chiesa di Novoli? Dico subito che il divino non c’entra, ma il di vino sì …

Joseph De Rovasenda, Essai d’une ampelographie universelle p. 30, Coulet Montpellier e Delahaye & Lecrosnier, Paris, 1881 p. 30:

 

Se l’abbreviazione Bic. è ampiamente sciolta e definita sufficientemente  nello stesso testo (Bicocca. Località situata a Verzuolo, distretto di Saluzzo, dove si trova la collezione di viti dell’autore. Le uve di questa collezione e di molte altre saranno descritte ulteriormente, in gran parte, nel corso dell’opera, e classificate), qualcosa in più va detto su Mend., abbreviazione di Mendola. Antonio Mendola, nato a Favara (Girgenti) nel 1827 ed ivi morto nel 1908, di nobili origini (barone), ebbe come interesse principale quello della viticoltura, tant’è che impiantò nelle sue terre vitigni di ogni parte del mondo. Il primo catalogo di tale collezione fu da lui pubblicato nel 1868 in appendice al periodico Il coltivatore di Casalmonferrato. Consapevole del collegamento tra produzione vinicola e tecnica enologica, inventò la parola ampelenologia (dal greco àmpelos=vite+òinos=vino+logos=studio).

Colgo l’occasione del Bambino di Novoli per riportare dallo stesso libro le parti riguardanti vitigni salentini. Così a p. 18 leggo:

a p. 4:

 

a p. 138:

7

 

A proposito di Negro amaro: la prima attestazione del nome datata al 1887 (https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/06/04/negro-amaro-la-parola-alla-storia/) va, dunque, retrodatata al 1881.

a p. 13:

 

Qui compare una generica indicazione di provenienza (Province meridionali dell’Italia) ma ho ritenuto opportuno riportare la scheda per via delle varianti Bambino/Bombino/Bommino.

Ma siamo sicuri che debbano veramente essere considerate varianti? E la parola di partenza è Bombino (diventato poi per assimilazione Bommino) con riferimento alla forma degli acini o ad una particolare predilezione per loro delle api1? E Bambino, infine, è deformazione di Bombino o voce autonoma?

Oggi mi sento già ubriaco senza aver assaggiato neppure un goccio di vino …, perciò passo la parola ai competenti e sobri.

_______

1 Dal glossario del Du Cange riporto un lemma  che mi ha fatto pensare a tale ipotesi:

(BOMBUM, Sorbello. Glossario  glossa ad Isidoro.  Rispetto a questa voce Grevio: Il sorbello è un brodetto o qualsiasi liquido che viene succhiato: dagli scrittori del basso latino è detto anche sorbizio. Niente dunque per bombum. Indovinino altri più svegli che cosa significhi tutto questo).

Non pretendo certo di collocarmi tra i candidati più svegli, però mi meraviglio che un filologo del calibro del Grevio (1632-1703), pur nei limiti della filologia del suo tempo, non abbia colto il rapporto tra le api, il loro ronzio [in greco è βόμβος  (leggi bombos; vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/09/15/quella-bizzarra-terracotta-dal-collo-stretto/)] e il sorbire il succo dell’acino, bollando la glossa come incongruente.

Lo stesso glossario poco dopo:

(BOMBIRE o BOMBILARE, si dice delle api che mangiano il bombo …)

 

La fòcara sta per illuminare la notte di Novoli

fòcara

di Giancarlo Leuzzi

 

La tradizione novolese è inserita nella Rete Italiana di Cultura Popolare e sostiene la “Dieta Mediterranea”, patrimonio dell’Unesco.

Il fuoco buono, il falò più grande del mediterraneo, alto 25 metri e largo 20 sta per illuminare la notte di Novoli nel cuore della Valle della Cupa.

La Fòcara è costruita con circa 80mila fascine di tralci di vite secchi provenienti dai feudi del Parco del Negroamaro, sapientemente posate con tecniche tramandate di padre in figlio da almeno quattro secoli. Col tempo sempre più imponente e maestosa, è un rito che si perde nella notte dei tempi.

Negli anni, questo rituale millenario e propiziatorio, ha saputo superare i confini del Salento per conquistare un pubblico sempre più vasto, crescendo fino a superare i centomila visitatori. L’evento, conosciuto in tutta la Puglia, attrae migliaia di spettatori da tutto il sud d’Italia ed è stato oggetto anche di un documentario del National Geographic.

L’edizione del 2015 è legata al nome di Jannis Kounellis, pittore e scultore di fama internazionale. Con l’aiuto degli uomini del Comitato Festa, l’artista di origine greca ha arricchito la montagna di fascine con un’opera densa di significati simbolici.

“I Giorni del Fuoco” profumano poi di enogastronomia con la mostra mercato dei prodotti tipici del Salone Cupagri del Gal valle della Cupa e la Rassegna delle Cantine con i vini doc del Parco del Negramaro e delle Città del vino di Puglia.

All’interno della rassegna infatti e nell’ambito del Festival della Dieta Mediterranea CUPAGRI, il giorno 15 siete invitati a partecipare alla tavola rotonda “Dieta Mediterranea e sviluppo territoriale: identità, stile di vita, cultura e sostenibilità tra tradizione e innovazione”. Vi aspetto per parlare di agrobiodiversità e delle eccellenze agroalimentari alla base del nostro modello nutrizionale e della tradizione enogastronomica salentina.

 

2015. Tanti eventi per la fòcara di Novoli

fòcara

di Giancarlo Leuzzi

 

CUPAGRI

FESTIVAL DELLA DIETA MEDITERRANEA

L’evento, programmato nell’ambito del Progetto di cooperazione “LEADERMED”, Mis 421, Asse IV Azione comune 4.2.3 ( Organizzazione di un Festival della Dieta Mediterranea in Puglia nella Provincia di Lecce), è volto alla tutela e valorizzazione delle culture locali sulla Dieta Mediterranea.

Nello spazio tenda “CUPAGRI – festival della dieta Mediterranea”, durante le giornate del 15, 16 e 17 Gennaio 2015 sono predisposti ed allestiti, spazi espositivi per operatori agroalimentari provenienti da tutti i territori dei GAL partner di progetto.

Il sistema dieta Mediterranea è rappresentato quale stile di alimentazione sano e stile di vita coniugato con gli elementi storici, culturali e sociali legati al cibo stesso.

In occasione del Festival sono pianificati, anche in collaborazione di Campagna amica di Coldiretti, laboratori e concorsi enogastronomici che metteranno insieme chef, giornalisti di Puglia e non solo, studenti e operatori locali, e tutti insieme, nei diversi momenti programmati, saranno chiamati a sperimentare con le proprie mani ricette e tecniche tradizionali che danno origine allo stile alimentare mediterraneo.

 

15 – 16 – 17 Gennaio 2015 – Piazza Tito Schipa – Salone dell’Agro alimentare CUPAGRI durante i festeggiamenti della Focara di Sant’Antonio a Novoli

PROGRAMMA

GIOVEDI 15 GENNAIO 2015

Ore 9.30 Allestimento salone CUPAGRI

Ore 10.00 Penne al DenteConcorso di cucina della Dieta mediterranea con la partecipazione di chef e giornalisti regionali e nazionali.

La cucina a “chilometro zero” interpretata eccezionalmente per la grande kermesse della fòcara di Novoli, dai giornalisti. Squadre formate da una rappresentanza di cronisti delle varie testate pugliesi e non solo, capitanate da cuochi e pasticceri, metterà da parte per un giorno pc, penne, taccuini e microfoni e si cimenterà nella preparazione di piatti tradizionali, utilizzando ingredienti appartenenti rigorosamente alla Dieta Mediterranea.

Ore 18.00 Taglio del nastro del Salone dell’agroalimentare CUPAGRI

Ore 18.00 Apertura degli stand enogastronomici delle aziende

Ore 18.15 Saluto delle Istituzioni:

Fabrizio NARDONI, Assessore alle Risorse Agroalimentari Regione Puglia

Oscar MARZO VETRUGNO, Presidente Fondazione Focara di Novoli e Sindaco di

Novoli

Giuseppe Maria TAURINO, Presidente del GAL Valle della Cupa

Domenico TANZARELLA, Presidente del GAL Alto Salento, Capofila del progetto di cooperazione LEADERMED

Cosimo VALZANO, Presidente del Consorzio Comuni Nord Salento Valle della Cupa

Ore 19.00 Convegno/tavola rotonda: “Dieta Mediterranea e sviluppo territoriale: Identità, stile di vita, cultura e sostenibilità tra tradizione e innovazione”

Gabriele PAPA PAGLIARDINI, Autorità di Gestione PSR Puglia 2007-2013

Carmelo GRECO, direttore GAL Alto Salento

Antonio PERRONE, direttore GAL Valle della Cupa

Agostino GRASSI Nutrizionista Cultore DietaMediterranea

Anna Maria CORRADO Medico Nutrizionista

Giancarlo LEUZZI Agronomo

Pier Federico LANOTTE Responsabile scientifico Re.Ge.Vi.P., Re.Ger.O.P., e

Re.Ge.Fru.P. per la conservazione della biodiversità delle colture arboree pugliesi.

Olga BUONO, Confagricoltura Ricerca e Consulenza Srl

Moderatore: Roberta GRIMA, Direttrice di www.sanitasalento.net

 

 

VENERDI 16 GENNAIO 2015

Ore 9.30 Introduzione del laboratorio dei Bambini “L’importanza di una merenda sana” da parte della dietologa Barbara FRISENNA.

Ore 10.00 LABORATORIO per i bambini che giocheranno con la Dieta Mediterranea, con attività ludiche e di apprendimento, imparando come si prepara una merenda sana.

Obiettivo del laboratorio è quello di insegnare ai più piccoli come preparare merende sane senza rinunciare alla bontà. I bambini sperimenteranno da loro come si preparano le merende che poi in seguito mangeranno tutti insieme. Il laboratorio durerà due ore all’incirca e sarà formato da max 30 bambini.

Ore 17.30 Introduzione dei laboratori di degustazione “L’olio e il vino di Puglia: colori profumi e sapori ”

Ore 18.00 LABORATORIO di degustazione vini a cura dell’agronomo/degustatore Valentino VALZANO.

Ore 19.00 LABORATORIO alla scoperta dell’extravergine di oliva, con degustazione a confronto fra Leccina, Ogliarola, Coratina etc. a cura dell’agronomo/degustatore Valentino VALZANO e l’imprenditore Francesco BARBA.

I laboratori di degustazione di olio e di vino, saranno delle vere e proprie sessioni di degustazione, dove si assaporeranno diverse etichette di olio e di vino provenienti alle aree di diversi GAL di Puglia e di queste se ne comprenderanno, grazie al prezioso apporto tecnico di un degustatore, le proprietà organolettiche ed i possibili abbinamenti con i cibi e prodotti provenienti dal nostro modello alimentare, quello mediterraneo.

SABATO 17 GENNAIO 2015

Ore 10.00 LABORATORIO per adulti a cura della masseria didattica “LU CANTIERI”

Introduzione del laboratorio di adulti “Le paste Lievitate, le proprietà del lieviti, confronto tra lievito madre, lievito di birra e lievito chimico” da parte di Barbara NATALIZIO e Roberta OSTUNI, Biologhe Nutrizioniste.

Obiettivo del laboratorio è quello di far conoscere un metodo di lievitazione sana e sostenibile, cercando di ridurre il più possibile le problematiche alimentari legate all’utilizzo di lieviti chimici. Si faranno conoscere diverse tipologie di farine con cui si prepareranno tarallini e biscotti. Il laboratorio durerà due ore all’incirca e sarà formato da max 20 adulti.

 

La Fòcara di Sant’Antonio: diamo un po’ di numeri!

di Mimmo Ciccarese

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All’inizio dell’inverno, una vecchina, vicina di casa, usava ravvivare il fuoco del suo braciere lasciandolo per alcuni istanti al soffio della tramontana del suo orto. I toni accesi della carbonella ardente erano l’immagine di un’altra storia, quella che pianificava l’accesso ai freddi tramonti di gennaio.

I giorni di gennaio sono ancora oggi per le comunità salentine, quelli del fuoco. In questo periodo è possibile ritrovare tra le campagne le tradizionali focareddrhe a scandire le pause delle lunghe giornate di raccolta delle olive o della potatura secca. Qualcuno, ha già iniziato a potare il vigneto e a recuperare i nuovi sarmenti, quei lunghi e sinuosi tralci arricciati sui loro tutori, che pare quasi non volessero scollarsi dalla loro pianta. Piccoli fastelli posati con ordine lungo i filari prima di essere radunati a formare la poderosa “sarcina te leune” o fascina di tralci di vite, antica unità di misura contadina.

Ci sono ancora vigneti veterani, sopravvissuti ai moderni impianti, alberelli di raro valore, essenze tipiche di una regione, chiamata anche Parco del Negroamaro, di là dal paretone messapico, apprezzata dagli antichi popoli per la sua nota vocazione vitivinicola.

Un saggio vecchietto, mi racconta che da un tomolo di terra, pari a poco più di mezzo ettaro, si riusciva a estrarre con due giornate di lavoro, una quantità pari a circa cento “sarcine de leune” per riempire “ nu trainu ncasciatu” ossia una torre di carretto colma di utile legna.

Nu trainu te leune”, coincideva a circa dieci quintali di rami pronti all’uso, stipate sulle “logge”(terrazze), accantonate nei giardini come scorta per le stagioni fredde o per essere vendute.

Le “sarcine” erano di modesto valore economico ma molto gradite tanto che possederle in famiglia equivaleva ad assicurarsi una certa dose di calore. Bene prezioso un tempo, rifiuto da non sottovalutare oggi per mezzo di un articolo del Dlgs 152/2006 che non chiarisce la sua duplice valenza di riutilizzo. I viticoltori sono obbligati a rispettare molti regolamenti ma anche quello di potare altrimenti la sua filiera produttiva già contrastata dall’aumento dei costi produzione potrebbe decadere.

Le quantità ricavabili dalle potature sono variabili secondo i requisiti del vigneto, tanto che con una produzione di tralci da vite del peso medio di circa mezzo chilo per pianta, si possono ottenere tra i 15-30 qli/ha di residui da potatura. Con misure di venti qli a ettaro e umidità del 30-40% si ottiene circa 12-14 qli di sostanza secca. Valutando che un kg di sostanza secca di tralci di vite corrisponde a 3500 kcal e che un kg di petrolio equivale a un potere calorifico di 9000 cal, si potrebbero azzardare altri conteggi ricorrendo ai coefficienti di conversione in energia elettrica oppure considerando che il potere calorifico di un litro di gasolio (10kw) si ottiene con circa 3 kg di legno con umidità del 30%.

E come se da un ettaro di vigneto si ricavasse un elevato potere calorifico espresso in litri di gasolio e riscaldasse per qualche mese diverse famiglie. Gli scarti della vite presentano per questo una capacità calorifica che dipende in ogni caso, dal contenuto di umidità, che si riduce del 10% ogni quindici giorni, e che può variare dalle 4000 kcal/kg del legno secco alle 2.200-2.300 Kcal/kg del legno umido.

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In questo periodo, i falò sono accesi a riempire le piazze per scaldare la gente, sarebbe interessante azzardare alla luce di tali considerazioni, per curiosità, quanto calore potrebbe generare una pira, ad esempio, del peso di circa 600 tonnellate o con quasi 90.000 fascine.

Il 16 gennaio di ogni anno il comune di Novoli suggerisce il suo tradizionale rito, grande evento che richiama moltitudini, preparativi di una festa smisurata, riconosciuta dalla Regione Puglia come bene culturale, che si snoda in ogni angolo del suo paese in onore del santo protettore. Il sacro clou festivo si commuta la sera nel ciclopico e immenso falò di migliaia di “sarcine di leune” accumulate da altrettante braccia volenterose.

In quel giorno Novoli è l’ombelico del mondo che coinvolge ed emoziona col fuoco acceso dal fuoco; espressione di una terra colorita del suo crepitare; moto popolare che “ mpizzica” e “ stuta”; predispone il suo rito con grande intensità emotiva, “cu lu fuecu te l’aria” o “cu lu fuecu ancuerpu”.

Ci aè bisuegnu te fuecu cu se lu troa”, recita un vecchio dittero salentino, vale a dire essere in grado di riscoprirsi appassionati, risvegliarsi dal torpore invernale e ritrovarsi raggianti intorno allo sfolgorio di un cerchio fuoco.

L’antichissimo rito del falò a Novoli, il più alto del Mediterraneo

Il rogo dei tralci di vite (sarmente) per la Fòcara di Novoli del Salento leccese

di Antonio Bruno

da http://www.industriadelturismo.com/falo-novoli-lecce/

 

«La Fòcara di Sant’Antonio», che si svolge ogni anno a Novoli del Salento leccese  dal 16 al 18 gennaio, registra dalle 80 alle 100mila presenze. In particolare nella tre giorni novolese del 2008 il flusso stimato delle presenze è stato di 80mila, nel 2009 di 100mila e nel 2010 di 95mila.  Il Sindaco di Novoli Vetrugno ha dichiarato: «Il gran falò che illumina la notte novolese è il segno d’identità di un popolo e di un territorio. Il percorso religioso da cui siamo partiti si è trasformato in un percorso turistico d’eccellenza particolarmente pregiato perché destagionalizzato e legato alla qualità del territorio e dei suoi prodotti. Il pellegrino, devoto al Santo, diventa il turista dell’enogastronomia e della cultura popolare». Ma è così che stanno davvero le cose?

gli ultimi ritocchi per la focara di Novoli del 2012 (ph Mino Presicce)

 

Le origini della Focara di Novoli

A Novoli nessuno sa quando si sia iniziato a riunirsi intorno al fuoco. In una nota della pro loco di Novoli si legge:
“la prima fonte scritta risale al 1893 in quell’anno “La Gazzetta delle Puglie” ricorda che il falò, a causa della pioggia non si accese. Secondo alcune fonti, nel 1905 una nevicata abbondante imbiancò il falò alla vigilia della festa.

Lo studioso di tradizioni popolari F.D’Elia, in un saggio del 1912, parla della sua costruzione come “di un rito antichissimo”. Comunque lo stesso D’Elia non scrive quanto sia antico e neppure a quanto tempo indietro c’è necessità di spingersi.

la focara di Novoli del 2012 (ph Mino Presicce)

 

La focara del Sud Est istituita da un Veneziano?

Sempre la Pro Loco di Novoli in una nota scrive: “L’origine della fòcara è materia controversa tra gli studiosi. Pare si faccia risalire intorno al secolo XV, quando ci fu una presenza veneziana a Novoli che esercitava il commercio sulla produzione locale di vino, olio e bambagia, e gestiva di un centro di allevamento di cavalli (La Cavallerizza).”
La presenza di commercianti veneziani a Lecce è ancora verificabile poichè costruirono nel Salento leccese anche i loro palazzi signorili; tra tutti, ricordo Il Sedile realizzato a Lecce in Piazza Sant’Oronzo nel 1592.
Di certo sappiamo che dal 1546 il feudo di Novoli conobbe un periodo di splendore sotto la casata dei Mattei, i quali fecero edificare il palazzo baronale e numerose chiese, fra le quali la chiesa di Sant’Antonio abate.

la focara di Novoli del 2012, La “catena umana” per passarsi le fascine e collocarle nella parte più in alto (ph Mino Presicce)

 

La foghera del Nord Est di Fulco Pratesi

Con grande interesse e meraviglia ho poi letto queste parole di Fulco Pratesi che ricordo a me stesso è il giornalista, ambientalista, illustratore  e politico italiano, fondatore del WWF Italia, di cui è ora presidente onorario:
“Di certo sappiamo che  nel Meridione i falò si incendiano sulle spiagge nella notte che precede il Ferragosto (15 agosto) e sono occasione per danze, cene all’aperto, tuffi collettivi notturni.
Nell’ Italia del Nord Est, soprattutto nel Veneto e nel Friuli Venezia Giulia, i falò si accendono invece nella notte dell’Epifania, tra il 5 e il 6 gennaio. Si tratta di una tradizione molto antica: prima ancora dei Romani, i popoli pagani festeggiavano in questo modo, dopo il solstizio d’inverno (21 dicembre) quando le giornate riprendono ad allungarsi, per invocare la benevolenza di Belenos (dio celtico del fuoco e del sole) e per allontanare gli influssi malefici. La tradizione di questi grandi falò non fu abolita dal Cristianesimo ed è giunta fino ai giorni nostri……
In tutti i casi i falò (in dialetto «foghera», «pignarul», «fugarisse», «focaraccio») servono soprattutto per far festa, per cercare di indovinare,  dall’andamento del fumo e delle faville,  come sarà l’anno da poco iniziato e banchettare con vin brulé (vino caldo aromatizzato con cannella e chiodi di garofano) e la tipica «pinza» (focaccia di farina di granoturco, pinoli, fichi secchi e uvetta).”
L’articolo di Fulvio Pratesi avvalora l’ipotesi che la focara di Novoli arrivi da Venezia! Non vi sembra?

tanti volontari per la focara di Novoli del 2012 (ph Mino Presicce)

 

La focara che facevo io alle case popolari di San Cesario di Lecce

“Signora nni tai ddo asche pe lla Fòcara??” (traduzione Signora ci regali un po’ di legna per fare un bel Falò?). Ero un ragazzino con i calzoni corti e con i miei compagni di giochi, tutti regolarmente “di strada”, bussavamo alle porte delle case. Altro che “scherzetto o dolcetto” di memoria anglosassone con al loro Halloween, noi lo scherzetto lo facevamo al freddo organizzando la sua fine attraverso una bella Fòcara (Falò).
Tutti quanti impegnati con le gambe livide di freddo a “carisciare asche” (traduzione: trasportare la legna) che accumulavamo nel campo non coltivato che era di fronte al rione delle “Case Ina” (oggi la chiamano 167 come fosse una macchina dell’Alfa Romeo). A seconda della generosità delle signore “la fòcara” diveniva più o meno alta. L’opera di noi bambini era allietata da teorie costruttive per rendere più alta e stabile la Pira e dall’ ansia per l’attesa dell’accensione.
Tutte le persone delle “CASE INA”, che avevano contribuito con la loro legna a quella splendida manifestazione di energia e luce, si avvicinavano al fuoco, si scaldavano e si raccontano cose che non avevano avuto modo di raccontarsi sino ad allora.
Persone che non si frequentavano abitualmente, avevano l’opportunità di parlarsi, di scambiarsi carezze che comunicavano, che provocavano meraviglia e curiosità.
Uno scialle sulle spalle delle donne e il braciere in mano,…quello di rame dura poco, quello di bronzo dura di più… La paletta e…”attento a non scottarti” che la brace brucia, per metterne dentro al braciere e aggiungere in un secondo tempo la “carbonella” ricavata dal guscio delle mandorle, o il carbone fossile.
Tutte le “CASE INA” intorno al fuoco, senza distinzione di età, sesso, ceto sociale e religione. Tutti sono ammessi vicino al fuoco, tutti sono attratti da quel rimbalzante falò che accende l’emozione e scalda i cuori.

la focara di Novoli del 2011 (ph Mino Presicce)

 

Una fòcara per avvicinarsi a casa

E se oggi fossi da qualche parte del mondo e volessi assaporare un po’ di odore di Salento leccese? Magari in preda alla nostalgia, sarei tentato di convincere gli indigeni a costruire un grande falò, per sentire il calore di casa mia, lontano come sono, da qualche parte del globo.
Quel veneziano che commercia i vini di Novoli, io me lo immagino così. Fa buoni affari, acquista il vino del Salento leccese e lo imbarca a Brindisi o a San Cataldo, e lui 500 anni fa è sempre li, per non perdere gli affari, mentre Venezia e la sua umida laguna sono terribilmente lontane.
Il ricco nord est di 500 anni fa che, per fare affari, staziona nel Salento leccese e i veneziani ci costruiscono i loro “Sedile” e le loro residenze e lo fanno rispettando lo stile che hanno a casa loro, lo stesso identico stile della Repubblica di Venezia!

la focara di Novoli del 2011 (ph Mino Presicce)

 

Una proposta al Sindaco di Novoli

Peccato che nessuno sappia come si chiami questo commerciante di Venezia, peccato che nessuno abbia raccolto le sue confidenze e ce le abbia tramandate, per sapere se era innamorato di una bella donna di  Venezia e soffriva per la sua lontananza, oppure se si era dato al commercio lontano da casa per dimenticare un amore che l’aveva fatto soffrire.
I cittadini di Novoli del Salento leccese non ricordano più il nome del commerciate veneziano che amava il fuoco e i cavalli. Dimenticato per sempre.
Strano destino per quelli che scoprono il fuoco o che ne propagandano l’uso. Nessuno ricorda chi è riuscito ad accendere il primo fuoco e nessuno ricorda chi sia l’uomo di Venezia che ha propagandato il fuoco “la focara” di Novoli che porta tanta ricchezza a questa cittadina.
Caro Sindaco Vetrugno visto quello che la città ricava dalla Fòcara,  perché non finanzia una ricerca finalizzata a fare chiarezza e, se emergessero delle novità che comportino la scoperta del nome del misterioso commerciante veneziano, magari proporre alla cittadinanza, visti i grossi affari per tutti,  di fargli un bel monumento? Non le sembra sia il caso?

ph Mino Presicce

 

Bibliografia
La focara di Novoli http://www.cisonostato.it/italia/puglia/3,26,13/viaggi/la-focara-di-novoli/2369/1.html
Fulco Pratesi, Il falò dell’Epifania: lo sapete perché si brucia la Befana?
Antonio Bruno, Un fuoco per illuminare la curiosità accendere le emozioni e scaldare i cuori. http://www.freeonline.org/articoli/com/cs-48645/Un_fuoco_per_illuminare_la_curiosit_accendere_le_emozioni_e_scaldare_i_cuori
http://www.iltaccoditalia.info/public/files/focara2011_scheda%20artisti_16%20gennaio.doc

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