Presepi a Casarano

di Fabio Cavallo

Natale, tempo di attesa e di preparazione… attesa per la nascita del Bambin Gesù e preparazione spirituale per la solennità del Natale.

E’ anche tempo di preparazione materiale durante il quale ogni famiglia, ogni comunità si affretta a realizzare addobbi, alberi luminosi, ricette tipiche e, soprattutto, allestire il presepe, simbolo per eccellenza di questa festa religiosa. Nelle nostre comunità, parrocchiali e confraternali, l’organizzazione del presepe rappresenta una sorta di “rituale” aggregativo che, per l’occasione, mette insieme un folto gruppo di persone – tra le più disparate – intente a dar vita alla rappresentazione della Natività, senza alcuna pretesa, consapevoli di tramandare una bella e solida tradizione cristiana. Ed ecco che ci si imbatte in colui che sa modellare la carta roccia, in quello abile a sistemare le lampadine, al falegname, chiamato di proposito ad assemblare tronchi ed assi, all’anziano agricoltore, incaricato di rifornire il presepe dei necessari muschi e licheni per ottenere il più realistico effetto scenico.

La comunità di Casarano non si sottrae da questo clima di trepida preparazione. In tutte le chiese cittadine è allestito un presepe.

Ne prendiamo solo due in esame, quello della Chiesa dell’Annunziata (la Parrocchia Matrice) e quello della chiesa confraternale dell’Immacolata. C’è da premettere che la realizzazione dei presepi nelle chiese casaranesi risale a tempi relativamente recenti, ossia dopo gli anni del Concilio Vaticano II.

In epoca preconciliare era consuetudine esporre solo la statua del Bambinello, poggiandola in una culla, al posto della croce d’altare.

interno Chiesa dell’Annunziata di Casarano

 

Nella chiesa dell’Annunziata da diversi decenni è attivo un apposito gruppo Presepe, che cura tutti gli aspetti organizzativi e logistici per la realizzazione della Natività. Degne di rilievo sono le statue di Maria, San Giuseppe, dell’Angelo, del bue e dell’asinello, realizzate dal noto cartapestaio leccese Antonio Malecore (1922-2021) nei primi anni ‘80 del secolo scorso.

La statuina in gesso del Bambino Gesù, invece, è piuttosto antica, risalente all’Ottocento. Le statue in cartapesta furono realizzate sotto il parrocato di mons. Decio Merico che ebbe la lungimiranza di dotare la parrocchia di queste pregevoli opere.

Allestimento presepe con le statue di Malecore

 

La chiesa dell’Immacolata vanta una più solida tradizione nell’allestimento del presepe. Fu il compianto don Aldo Stefàno, (1967 – 1972), rettore della chiesa e padre spirituale della confraternita, ad introdurre l’usanza di mettere in scena la Natività. Nei primi anni Settanta, le realizzazioni erano estrose, quasi anticonformiste, di chiaro stampo moderno. E’ ancora vivo nella memoria dei confratelli più anziani, il globo terracqueo rotante sul quale sovrastava il Bambinello con le braccia stese mentre dai piedi sgorgava uno zampillo d’acqua che inondava il pianeta, chiara simbologia di purificazione dell’Umanità scaturita dalla Nascita di Gesù.

facciata della chiesa dell’Immacolata a Casarano

 

Tali rappresentazioni attirarono l’attenzione dell’ENAIP di Lecce che in quei tempi organizzava annualmente un concorso provinciale per presepi artigianali. Per ben due volte il presepe dell’Immacolata ottenne il primo premio con assegnazione di una medaglia d’oro. La prematura scomparsa del sacerdote, fortunatamente, non arrestò questa tradizione e si continuò ad approntare il presepe riportandolo nell’alveo di un allestimento più classico e usuale, in cui l’elemento principale era la grotta con la Natività.

Allestimento del presepe nella chiesa dell’Immacolata a Casarano

 

Ancor oggi, alcuni membri della confraternita e del coro liturgico della chiesa si organizzano per predisporre il classico presepe. L’unico manufatto degno di nota è il Gesù Bambino, simile a quello dell’Annunziata, del sec. XIX. Le altre statue sono piuttosto recenti. Ma ciò non toglie la sacralità della rappresentazione che, ogni anno, tocca il cuore, facendo rivivere in piccoli e grandi, il momento della nascita del Signore.

Il presepe nella chiesa dell’Immacolata a Casarano

 

I miracoli operati dal Crocifisso di Casarano in un libretto del 1688

di Fabio Cavallo

Nel 1688 si verificarono diversi interventi miracolosi e guarigioni, attribuiti ad una immagine affrescata raffigurante la Crocifissione, ritrovata nella Chiesa Madre di Casarano, non l’attuale ma la precedente del sec. XVI. Il resoconto completo dei fatti accaduti fu stilato da un notabile di Casarano, Santo Riccio, notaio e sindaco del paese, il quale depositò presso la Curia vescovile di Nardò un libretto contenente date, luoghi e nomi riferiti agli interventi miracolosi. Padre Antonio Chetry lo rinvenne nei faldoni dell’archivio diocesano e lo pubblicò nelle sue “Spigolature”. Di seguito riporto un adattamento linguistico del documento che, letto così come fu scritto, potrebbe risultare in alcune parti incomprensibile.

 

Libretto dei miracoli operati dal Santissimo Crocifisso di Casarano e compiuti nella Chiesa Matrice di questa città il 27 gennaio 1688 e raccolti dal sottoscritto Santo Riccio, indegno peccatore.

I.M.I. (Gesù, Maria, Giuseppe!)

A lode e gloria di Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, della Gloriosa Madre di Dio, la santissima Vergine Maria e di San Giovanni Elemosiniere nostro protettore, il quale, per sua intercessione, a favore del popolo di Casarano e di tutti i devoti, ottenne dall’Altissimo che, martedì 27 gennaio dell’anno 1688, intorno alle ore 18 pomeridiane, all’interno della Chiesa matrice di Casarano, si scoprisse un’immagine del SS. Crocifisso nascosta dietro una tela raffigurante la Passione che stava, da molto tempo, in precario equilibrio. Mosso da zelo il Rev.do Sac. Domenico Antonio Vernaleone del posto, avendo notato la tela prossima a cadere, disse a me, Santo Riccio, notaio e consigliere anziano di Casarano, di provvedere ad accomodare il quadro poiché mi trovavo in chiesa per rimuovere i paramenti utilizzati per la passata festività di San Giovanni Elemosiniere, il 23 gennaio. Mi rivolsi, quindi, ai sagrestani presenti e chiesi loro di prendere una scala per sistemare la tela. Essi mi risposero dicendomi: ”Perché vuoi sistemare quel quadro? Hai già fatto abbastanza organizzando la festa civile di San Giovanni”. Mi affrettai a prendere la scala ma mi precedettero i due sagrestani, Domenico De Paulis (+ 1730) e Tommaso Castrignanò (+18/06/1732), i quali la portarono subito in chiesa. Essendo presenti i signori Alessandro De Giorgi (+26/11/1738) e Antonio D’Astore (+21/06/1692), chiesi loro di aiutare i due sagrestani a sollevare la scala per sistemare la tela che si era staccata dall’altare di circa 15 centimetri. Durante la sistemazione, il quadro cedette dalla parte sinistra, dove era sostenuto da Domenico De Paulis, e questi con stupore mi disse: “Notaio mio, che bella immagine del Crocifisso c’è dietro!”. Tutti notammo l’effige della Crocifissione con Maria Vergine ai piedi ed altre figure, così linde come se fossero state dipinte quel giorno stesso da Mano Divina. Davanti all’immagine scoperta, lo zelante sacerdote Don Domenico Antonio Vernaleone si mise in ginocchio, commosso, e così facemmo anche noi. Implorammo pietà e misericordia per i nostri peccati davanti a quell’affresco, così bello, mai visto in precedenza e decidemmo di non coprirlo più. Nel frattempo la gente accorsa in chiesa per le funzioni notò il dipinto ed iniziò a diffondere la notizia del ritrovamento per tutto il borgo. Molti fedeli giunsero nel tempio chiedendo perdono per i loro peccati. Profondamente impressionato da tale visione, l’arciprete, Don Daniele Calò (+…), accese una piccola lampada davanti l’immagine e tutto il popolo che vi accorreva, iniziò a prelevare l’olio da questa, non con le dita ma inzuppando pezzi di stoffa stracciati delle proprie vesti senza che l’olio stesso diminuisse.

E fra tanto afflusso di fedeli, vi fu un certo Giuseppe Ferilli, il quale mosso da viva fede, andò a casa di Angelo Romano, suo amico, che si trovava allettato da molti mesi per irrigidimento dei nervi motori ed impossibilitato a muoversi, e gli disse: “Sii felice che il SS. Crocifisso, ritrovato dentro la Chiesa Madre ti ha fatto la grazia, vieni con me davanti a quell’immagine”. Angelo Romano gli rispose: “Volesse Iddio farmi camminare!”. Giuseppe replicò: “Se sei impossibilitato, ti porto io in groppa”. Angelo, pieno di speranza, pian piano si alzò dal letto e, appoggiandosi a Giuseppe e alla stampella, raggiunse la chiesa. Arrivati davanti al sagrato, Angelo disse a Giuseppe: “lasciami andare che il SS. Crocifisso mi ha fatto la grazia”. E così, davanti a tutto il popolo, cominciò a camminare in chiesa senza impedimenti, liberandosi della stampella ed inginocchiandosi davanti l’immagine. Chiese perdono dei suoi peccati gridando “Grazie!”. Se ne ritornò a casa, guarito, davanti a tutto il popolo di Casarano. Questo fu il primo miracolo.

Sempre il 27 gennaio.

Anna Mennella di Casarano (+31/01/1727) era affetta, da sei mesi, da continui dolori che le avevano fatto perdere la vista; entrata in chiesa, inginocchiatasi davanti all’immagine del Crocifisso ed implorando la grazia di rivedere, toccatisi gli occhi con l’olio della lampada, riottenne la vista davanti al popolo. Furono così numerosi i fedeli accorsi che circa 100 litri d’olio non sarebbero stati sufficienti per segnarsi la fronte col dito unto. Eppure la piccola lampada, accesa davanti all’immagine, nella quale inzuppavano larghi stracci, non si spense mai né mai venne meno l’olio. Essa arse continuamente tre giorni e tre notti nonostante le grandi folle, provenienti da Casarano e dai paesi limitrofi, continuassero a prelevare l’olio senza mai rabboccarlo. Mi è stato riferito che, dopo i tre giorni, una devota aggiunse del nuovo olio e, dal quel momento, esso cominciò a consumarsi.

Sempre il 27.

Angela Cursano da Casarano, paralizzata da molti mesi da entrambe le braccia e in stato indigente poiché si sosteneva col lavoro della figlia, essendo venuta fiduciosa davanti all’immagine del Crocifisso e toccatasi con l’olio, ottenne la grazia davanti al popolo tant’è che il mattino seguente andò in campagna a raccogliere le olive insieme a sua figlia. Per disposizione dell’arciprete Don Daniele Calò si coprì la miracolosa immagine con un telo ed io venni incaricato a raggiungere Nardò ed incontrare l’illustrissimo Vescovo, Mons. Orazio Fortunato, per relazionare di tutti gli avvenimenti. Fui accompagnato dal Rev.do Don Giuseppe Nicola Gaballone e dal chierico Don Antonio Arnò. Mons. Vescovo, ascoltata la mia relazione, concluse che 200 litri di olio per segnarsi non sarebbero stati sufficienti, dato il forte afflusso di fedeli, eppure la lampada rimase accesa ininterrottamente per tre giorni, ed e questo il maggior miracolo che ha operato il SS. Crocifisso. Dopo questa relazione, Mons. Vescovo delegò il chierico Antonio De Jaco di Felline a prendere informazioni; egli venne a Casarano, indagò sui fatti annotando il tutto. Avendo interrogato Francesco Marrella (+ 20/10/1706) e Scipione Caroppo (+ 21/10/1694), quali persone più anziane di Casarano, chiese loro semmai avessero mai vista l’immagine affrescata del SS. Crocifisso; essi dichiararono di no, aggiungendo quanto fosse bellissima. Ricordavano, invece, che tale affresco era così sbiadito da indurre i vescovi, venuti in visita pastorale, di coprirlo con una tela della Passione dal momento che le figure dipinte non erano più visibili; pertanto la Famiglia De Lentinis, che detiene lo giuspatronato sull’altare, fece dipingere la tela, che è proprio quella che si è tolta. Questi sono i fatti reali così come sono esposti nella relazione del Chierico.

 

29 gennaio.

Margherita Finagrana aveva un ginocchio rotto che le impediva di camminare; con profonda fede si unse con l’olio della lampada ed ottenne la guarigione; Agata Finagrana era affetta da un tumore alla mammella sinistra, si spalmò l’olio e, subito, guarì. Brigida Lezzi, da molti mesi affetta da ulcere della pelle, nonostante i tentativi di cura da parte di molti medici, non era guarita. Si rivolse al SS. Crocifisso implorando perdono per i suoi peccati. Untasi con l’olio, subito ottenne la grazia davanti alla folla presente. La figlia di Francesco De Nuzzo ebbe un attacco epilettico mentre era davanti l’immagine del Crocifisso, subito fu segnata con l’olio e il male la lasciò definitivamente. Domenica Coia di Supersano era ammalata da un anno e mezzo, impossibilitata a parlare; venendo a sapere delle grazie dispensate dal SS. Crocifisso di Casarano, con viva fede partì dal suo paese. A metà del tragitto ottenne la guarigione e ricominciò a parlare. Giunta a Casarano, entrò in chiesa ed iniziò a gridare: ”grazie SS. Crocifisso”. Il popolo ivi presente, incuriosito, domandò quale grazia avesse ricevuta. Ella disse di aver riconquistato l’uso del parlare dopo un anno e mezzo di malattia; si unse con l’olio della lampada e guarì definitivamente. Venne in chiesa Leonardo Marrella, indigente e con menomazioni al braccio, chiese perdono dei suoi peccati davanti alla sacra Immagine del SS. Crocifisso e segnatosi con l’olio ottenne la grazia davanti a tutti.

2 febbraio 1688.

Domenica Felippo di Matino, storpia e immobilizzata in un fondo di letto da settembre scorso, senza speranza di guarigione come affermato dai medici e dal Dottor Onofrio Tafuro di Matino, fu legata su un cavallo e venne trasportata a Casarano; appena arrivata sul sagrato della chiesa disse: “slegatemi perché il SS. Crocifisso mi ha fatto la grazia”. Scesa autonomamente da cavallo, iniziò a camminare per tutta la chiesa davanti ai fedeli presenti e al predetto medico Tafuro, il quale affermò che tale guarigione era attribuibile esclusivamente al Crocifisso. Unta con l’olio della lampada dal Rev.do Don Domenico Antonio Buffello, guarì definitivamente e tornò risanata nel suo paese di Matino. La povera ragazzina Lucrezia Ammassara di Matino di anni sette, sofferente dalla nascita, venne trasportata in un cesto davanti all’immagine; venne segnata con l’olio su tutto il corpo mentre la madre recitava le litanie; giunta all’invocazione “Santa Trinita, unico Dio”, la piccola uscì dalla cesta ed iniziò a camminare per tutto l’altare davanti a tutti. Il genero della “Cocozzella” [sic] era storpio e, davanti al SS. Crocifisso, si unse con l’olio ed ottenne la grazia.

8 febbraio

Lucia Mi di Taviano, menomata da entrambe le mani, venuta davanti alla sacra Immagine, preso l’olio della lampada, guarì. Il povero Domenico Feuli, mentre caricava del ghiaccio dalla neviera con la sua carretta, cadde da essa ed esclamò “SS.Crocifisso aiutami”. I cerchioni delle ruote lo investirono all’altezza delle gambe ma questi rimase illeso grazie alla sua fede. Corse in chiesa e rese grazie al Crocifisso. Nel paese di Supersano, crollò una casa e i detriti caddero sopra l’abitazione vicina in cui dormivano cinque persone. Al rumore del crollo essi esclamarono “SS. Crocifisso di Casarano aiutaci!” uscendone incolumi. Furono liberati dalle macerie insieme al loro somaro. La mattina seguente vennero a Casarano per ringraziare il Crocifisso della grazia ricevuta. Un sacerdote di Tiggiano, affetto da dissenteria da molto tempo, appena giunto nel feudo di Casarano, ottenne la guarigione; entrò in chiesa e rese i dovuti ringraziamenti davanti all’Immagine. Una povera giovine di Gagliano del Capo, gravemente inferma ed abbandonata dai medici, mentre era assistita spiritualmente dai sacerdoti, farfugliò a denti stretti una frase indecifrabile. Essi, credendola in agonia, la invitarono a raccomandarsi alle piaghe di Gesù Cristo. Allora la povera inferma riuscì a gridare ad alta voce: “SS. Crocifisso di Casarano aiutami!”. I sacerdoti chiesero il perché di questa invocazione ed essa dichiarò di aver udito un uomo che parlava del ritrovamento di un miracoloso Crocifisso a Casarano. Aggiunse di doversi recare lì per rendere grazie qualora avesse ricevuto la guarigione. Dopo qualche tempo, essendo risanata completamente, venne a Casarano per il ringraziamento e raccontò tutti i fatti davanti al popolo.

Il chierico Filippo Gioffreda (+ 16/12/1696) essendo precipitato da sei metri di altezza, invocò l’aiuto del SS. Crocifisso e, a vista di tutti, non si fece alcun male. A Carluccio Ferrari di Casarano (+ 24/01/1704) gli scoppiò il fucile tra le mani; invocando il SS. Crocifisso rimase illeso davanti a numerosi testimoni.

Io stesso, ritrovandomi nel borgo di Grottaglie, incontrai una donna, addetta al castello, che mi domandò se avessi con me l’olio del SS. Crocifisso di Casarano in quanto aveva una figlia morente a causa di un aborto. Il feto era morto in grembo ma la donna non era riuscita ad espellerlo non avendo contrazioni spontanee. Diedi l’olio alla madre e la invitai a chiamare un sacerdote per recitare le litanie e far ungere la povera ragazza. Così fece e, mentre il sacerdote invocava la SS. Trinità, subito iniziarono le contrazioni e la ragazza riuscì ad espellere il feto morto riacquistando la salute.

Nel Casale di San Giorgio [Ionico], uno storpio, avendo ricevuto dell’olio del SS. Crocifisso dal Sacerdote Don Mauro Occhiazzo, si unse, ottenne la grazia e venne a Casarano per rendere grazie alla miracolosa immagine.

Moltissimi infermi, affetti da diversi mali, segnatisi con l’olio della lampada, immediatamente ricevevano la grazia davanti al popolo e gli stessi invocavano più volte:”Grazie, grazie Santissimo Crocifisso perché ci hai liberati da molti mali”.

Nicolò Silvestri di Napoli, in servizio presso il palazzo del Sig. Duca, Don Antonio D’Aquino (+22/11/1690), avendo suonato il violino per la festività del Crocifisso, si ammalò gravemente senza speranze di guarigione; chiese grazia al Crocifisso, ottenendola e, come ex voto, fece appendere di fianco alla miracolosa immagine, la cassa da morto che era già pronta per il suo funerale.

Don Antonio Coluccia di Casarano (+19/02/1706), si ammalò di cistite e non poteva orinare nonostante le applicazioni mediche. Segnatosi con l’olio, immediatamente guarì.

 

Nella prima festa del SS. Crocifisso che si fece con una fiera mercatale,  necessitando una certa quantità di farina per preparare la colla con cui rivestire di fogli di carta le mura della città finta di legno, io stesso mi ritrovavo in casa un vaso con dentro circa sette chili di farina. Ebbene, questa farina non venne mai meno, tant’è che il vaso risultava sempre pieno, pur avendo preparato e consumato tre caldaie di colla al giorno per otto dì consecutivi. Sicché un giorno chiesi a mia sorella Caterina (+12/12/1713) come si stesse in farina ed ella prese il vaso e lo mostrò al Rev. Don Giacomo Antonio Costa (+11/06/1718) e a tutti i presenti: il vaso era pieno! Ciò avveniva per grazia del SS. Crocifisso che faceva crescere la farina poiché, a mio giudizio, non sarebbe stato sufficiente oltre mezzo quintale di farina per incollare tanti fogli, lunghi circa due metri e mezzo e alti un metro e mezzo, per non parlare poi di tanti altri pezzi di carta di varie dimensioni. In un altro anno si celebrava la festa del Crocifisso. Nell’ultimo giorno delle festività, quando si stava rappresentando la liberazione della città di Otranto dai Turchi, la finta città di legno, circondata da figuranti vestiti da soldati ed altri mascherati da ottomani, cadde rovinosamente. Tutti i presenti gridarono “SS. Crocifisso aiutali!”. In virtù di questa invocazione nessuno si fece alcun male e tutto ciò per la grazia concessa dal SS. Crocifisso.

S. Maria della Croce (Casaranello), monumento paleocristiano del Salento

Leo Stefàno

S. Maria della Croce (Casaranello)

Oltre un secolo di studi su un monumento paleocristiano del Salento

Edizioni Grifo

 

Casarano, venerdì 28 settembre 2018, ore 18

Scuola Paritaria Internazionale “S. Giovanni Elemosiniere” (Via Cavour, 6)

 

Il volume è una messa a punto storiografica della ricca messe di studi su un monumento, nonostante tutto, ancora misconosciuto del Salento: la chiesa paleocristiana di S. Maria della Croce di Casaranello, che ha attraversato quindici secoli di storia, giungendo pressoché indenne fino a noi.

L’eccezionalità di questa testimonianza storico-artistica emerge se si considera che in Italia, escludendo le capitali imperiali (Roma, Milano e Ravenna), resti di mosaici parietali paleocristiani come quello della chiesa salentina sono rari (il Battistero di S. Giovanni in Fonte a Napoli, la cappella di S. Matrona nella chiesa di S. Prisco a S. Maria di Capua Vetere e il Battistero di Albenga).

Nel lavoro, le fonti sono ampiamente citate con un’approfondita analisi critica; contestualizzate storicamente ed ordinate cronologicamente. Si passano in rassegna non solo i contributi specifici dedicati al monumento, ma anche gli innumerevoli studi che gli riservano semplici citazioni. Sorprenderà constatare quanti autori hanno fatto riferimento alla chiesa: uno per tutti, lo storico delle religioni e mitologo ungherese Károly Kerényi.

Da questa vasta indagine emerge l’ampio spettro di ipotesi formulate sulla chiesa e sulle sue opere d’arte: ciò tuttavia non permette, a tutt’oggi, di avere alcuna certezza definitiva sull’identità originaria del monumento, sulla sua primitiva struttura architettonica, sulla committenza e sulle maestranze che vi operarono.

Grazie all’accuratezza dell’esame delle fonti, molte sono le acquisizioni originali dello studio: per la prima volta si fa luce sulla genesi della leggenda della nascita a Casaranello di papa Bonifacio IX (Pietro Tomacelli). E viene messa in questione anche l’originarietà dello stesso titolo dell’edificio sacro (S. Maria della Croce).

Nell’opera si ricostruisce in dettaglio la vicenda che portò lo storico dell’arte Arthur Haseloff a visitare la chiesa nel 1906, scoprendone la rilevanza e ponendola all’attenzione degli studiosi.

E, a partire da quell’evento, si ripercorre tutta la letteratura prodotta sul monumento. Sfilano in successione le recensioni al testo di Haseloff di insigni bizantinisti come gli “orientalisti” J. Strzygowski e D. Ajnalov, e la replica del “romanista” mons. J. Wilpert; i primi riscontri agli inizi del Novecento in Europa (M. van Berchem-É. Clouzot, Dom H. Leclercq, ecc.) ed in Italia (C. Ricci, M. Salmi, P. Toesca); gli storici dell’arte e gli archeologi del periodo fascista (G. Galassi, S. Bettini, G. De Angelis D’Ossat, R. Bartoccini, C. Cecchelli); gli studi iconografici e iconologici del Secondo Dopoguerra; la scoperta degli affreschi negli anni Cinquanta del Novecento e il saggio di A. Prandi sui cicli agiografici; i restauri degli anni Settanta del Novecento e i nuovi studi (M. Trinci Cecchelli), con i contributi di archeologi (per la prima volta si pubblica un inedito di F. D’Andria) e bizantinisti (A. Jacob); infine, i contributi più recenti sui mosaici, sugli affreschi e sulla struttura architettonica.

Il volume si conclude con una inedita ricostruzione storica, fondata su un’ingente documentazione d’archivio, relativa alla ventennale vicenda dei restauri dei mosaici (1893-1914), facendo luce su aspetti di sicuro interesse, come la sollecitazione iniziale per un intervento venuta dall’archeologo G. Boni; e mettendo in evidenza le tante resistenze, insensibilità, o addirittura ottusità che si dovettero superare, per giungere a salvare dalla rovina, cui sembrava destinata, la preziosa opera d’arte che fortunatamente ancora oggi possiamo ammirare.

 

Leo Stefàno – S. Maria della Croce (Casaranello). Oltre un secolo di studi su un monumento paleocristiano del Salento

Edizioni Grifo, Lecce 2018, pagine 712, ISBN 9788869941467, € 38.00

 

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Leo Stefàno è un cultore di studi di simbologia e storia delle religioni. Tra i suoi interessi principali, un posto di rilievo occupa l’arte paleocristiana. Vive a Casarano.

Il 21 novembre di 232 anni fa accadde qualcosa e un salentino ci mise del suo …

di Armando Polito

Qualcuno dirà che il 21 novembre di quest’anno è già passato da un pezzo e che avrei fatto meglio a preparare questo post perché uscisse proprio quel giorno. Il post era già pronto da tempo e l’ho inviato volontariamente in ritardo perché nessuno fosse sfiorato dal sospetto che la data del titolo (solo la data …) servisse per propiziare un numero maggiore di contatti. Ora, però, mi rendo conto che, forse, la curiosità suscitata in chi ha letto questa premessa farà aggiungere ai due o tre soliti noti che seguono le mie scorribande anche qualcun altro. Non era questo, come ho detto, l’effetto che volevo raggiungere, ma ormai è fatta …

Pensando solo agli sviluppi tecnologici legati all’informatica ed ai suoi fenomeni (digitalizzazione di dati di ogni tipo, internet, telecomunicazioni, telemedicina, robotica, etc. etc.) spesso mi chiedo quale sarebbe stata la reazione, per esempio di fronte ad un tablet mostratogli all’improvviso, non di mio nonno ma di mio padre, che pure aveva intuito il carattere rivoluzionario di questa nuova frontiera della conoscenza.

La travolgente evoluzione tecnologica degli ultimi decenni, catalizzata anche dal consumismo spesso legato a bisogni non reali ma abilmente indotti, ci ha reso meno sensibili ai cambiamenti, a meno che essi non siano particolarmente eclatanti, così come un semplice omicidio non fa quasi più notizia mentre un efferato omicidio, magari ispirato da motivi insolitamente morbosi, tiene banco sui media, anche per parecchi anni, catalizzato, questa volta, dalla lentezza della giustizia dovuta molto spesso ad indagini non fatte o fatte male.

Tuttavia, tale assuefazione è un fenomeno che si riscontra anche per le epoche passate. Per l’epoca moderna basta pensare all’eco che ebbe il primo volo ufficiale della mongolfiera con equipaggio umano il 21 novembre del 1783.

Nelle due stampe coeve che seguono, custodite nella Biblioteca Nazionale di Francia (da dove le ho tratte; rispettivamente: http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b6942181c.r=montgolfier e http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b550015468.r=Pil%C3%A2tre%20de%20Rozier) il momento della partenza e quello del rientro della mongolfiera.

La poesia, tra gli altri meriti, ha pure quello di immortalare anche le emozioni collettive profonde suscitate da un evento nuovo e strabiliante; e il volo con la mongolfiera fu tra questi. Lo stesso successe con il primo volo aereo dei fratelli Wright il 17 dicembre del 1903 e, a tanto breve distanza temporale da poter essere considerato quasi come il suo omologo terrestre, con l’automobile (e ogni macchina in generale) che col Futurismo conobbe i suoi fasti poetici.

A quanto ne so solo qualche isolata poesia, invece, per il primo allunaggio (nonostante il retaggio poetico del nostro satellite …) , evidentemente atteso da tempo dopo i voli umani al di fuori dell’atmosfera terrestre, che, a loro volta, non erano stati fonte di ispirazione letteraria. Molto probabilmente fra qualche decennio l’ammartaggio (ho depositato la voce e sto già riscuotendo i relativi diritti …) non spingerà nessun poeta a celebrare il pianeta rosso, anche perché nel frattempo, forse, su tutto il nostro pianeta non ci sarà un solo poeta, tanto meno comunista …

Torno ora alla mongolfiera per dire che innumerevoli furono i componimenti scritti per l’occasione e, per restare tra gli autori italiani e famosi, è d’obbligo citare il nome di Francesco Astore di Casarano, dov’era nato nel 1742.

Nell’immagine che segue il suo ritratto in un’incisione di Carlo Biondi, tratto da Biografie degli uomini illustri del regno di Napoli, tomo IX, Gervasi, Napoli, 1822 (https://books.google.it/books?id=VpqRqzZ4v88C&printsec=frontcover&dq=editions:nyGnSFQfGQMC&hl=it&sa=X&ei=r_TdVJfnBM6WarvvgqAH&ved=0CFEQ6AEwBw#v=onepage&q&f=false).

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Per Montgolfier l’Astore scrisse un’elegia in latino, che riporto in formato immagine, con l’aggiunta della mia traduzione a fronte e delle note in calce, da Antologia romana, tomo X, Settari, Roma, 1784, pp. 331-332 e p. 415 (https://books.google.it/books?id=v6hQAAAAcAAJ&pg=PA331&dq=francesco+antonio+astore&hl=it&sa=X&ved=0CCcQ6AEwAjgUahUKEwjEiJ7yi67IAhVL1xoKHU4NApM#v=onepage&q=francesco%20antonio%20astore&f=false).

L’elegia di Francesco Antonio, per quanto favorita dal tema trattato,  ebbe un riscontro notevole come dimostra la sua pubblicazione in L’esprit des journaux, françois et étrangers, par une société de gens-de-lettres, maggio 1784, tomo V, anno III, Valade, Parigi, pp. 243-245.

Paolo Andreani (1763-1823) fu il primo a ripetere in Italia il 13 marzo del 1784 il volo con un mezzo simile dopo l’esperienza dei fratelli Montgolfier fatta l’anno precedente.

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Il volo di Paolo Andreani in una stampa custodita a Parigi nella Biblioteca Nazionale di Francia; immagine tratta da http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b8509354p.r=andreani

 

A lui il casaranese dedicò l’elegia che segue (da Antologia romana, op. cit., p. 425).

 

All’entusiasmo trionfalistico dell’Astore che sembra anticipare il Futurismo si contrappongono i dubbi, le inquietudini e le paure del Parini che allo stesso evento dedicò un sonetto (fa parte delle Odi)  che sembra quasi una cronaca in diretta da pallone (non mi riferisco ad una partita di calcio …). Lo riproduco da Antologia romana, op. cit., p. 333.

Passò poco più di un anno e il 15 giugno 1785 il triste mito di Icaro divenne realtà con il protagonista del primo incidente aereo della storia, il francese Jean-François Pilâtre de Rozier morto col compagno Pierre Romain durante un tentativo di traversata della Manica.

Immagine tratta da https://it.wikipedia.org/wiki/Jean-Fran%C3%A7ois_Pil%C3%A2tre_de_Rozier#/media/File:Aviation_fatality_-_Pilatre_de_Rozier_and_Romain.jpg
Immagine tratta da https://it.wikipedia.org/wiki/Jean-Fran%C3%A7ois_Pil%C3%A2tre_de_Rozier#/media/File:Aviation_fatality_-_Pilatre_de_Rozier_and_Romain.jpg

 

L’Astore, che pure aveva esaltato un precedente felice volo del francese, scrisse per l’occasione un’ode ed un’elegia pubblicate per la prima volta nel numero di ottobre 1785 del Giornale enciclopedico del Regno di Napoli e poi da Benedetto Croce in Due carmi latini in compianto del primo eroe dell’aeronautica caduto nella sua impresa, Laterza, Bari 1936. Dei due componimenti, che rientrano in quel genere letterario che potremmo definire necrologio poetico, ho potuto recuperare in rete solo l’ode, che riproduco in formato immagine, con le mie solite aggiunte, da Novelle letterarie, n. 41, 14 ottobre 1785, Francesco Moücke, Firenze, colonne 647-651 (https://books.google.it/books?id=xblSM85uyaIC&pg=PT316&lpg=PT316&dq=Astore+Pil%C3%A2tre+de+Rozier&source=bl&ots=UEVyZ0vC8F&sig=oTZB8ke9jONKbCzMLVq8a1x5fEI&hl=it&sa=X&ved=0CE0Q6AEwCGoVChMIpavPzZWQyQIVwtUUCh0bBgxS#v=onepage&q=Astore%20Pil%C3%A2tre%20de%20Rozier&f=false Moücke,Firenze, colonne 647-652).

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La chiesa madre di Casarano: nuove ipotesi e brevi annotazioni

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, interno, navata principale (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, interno, navata principale (ph Maura Lucia Sorrone)

di Maura Sorrone

 

La chiesa madre di Casarano, dedicata a Maria Santissima Annunziata, è da annoverarsi tra i monumenti più rilevanti del barocco salentino.

Tra gli studi sulla chiesa, si ricordano soprattutto le pubblicazioni inerenti le opere pittoriche: il saggio di Mimma Pasculli Ferrara che ha analizzato le sei tele di Oronzo Tiso[1], quello di Michele Paone del 1980[2] e l’inventario dei dipinti curato da Lucio Galante nel 1993[3].

La chiesa fu edificata tra la fine del XVII e i primi decenni del secolo successivo, in seguito all’abbattimento di un edificio precedente, scelta da imputarsi probabilmente alla crescita demografica del paese.

Il progetto, o quantomeno l’esecuzione materiale dei lavori, in precedenza attribuiti ipoteticamente al clan dei Margoleo[4], sembra invece da riferirsi più correttamente alla famiglia De Giovanni, costruttori originari di Galatina. Infatti fu Angelo De Giovanni, ha lasciare il suo nome in un epigrafe ben in vista sulla facciata principale della chiesa.[5] La scelta di maestranze galatinesi ci autorizza a ritenere ancora una volta questo paese del Salento tra i centri più significativi per l’edilizia barocca della provincia[6]. Sicuramente, le tante botteghe presenti sul territorio[7] furono in grado di favorire, in modo diverso, la diffusione di modelli che dai centri principali ben presto entrarono a far parte della cultura architettonica delle periferie, facendo così diventare il barocco da leccese a salentino[8].

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare di S. Antonio, part. epigrafe dopo il restauro (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare di S. Antonio, part. epigrafe dopo il restauro (ph Maura Lucia Sorrone)

La chiesa, a croce latina, ha una pianta longitudinale. La facciata principale, alquanto semplice, presenta il portale arricchito da una decorazione a punta lanceolata, motivo utilizzato di frequente da Giuseppe Zimbalo e con lui entrato nella cultura tipica dell’arte salentina fino al Settecento inoltrato[9].

All’interno si possono ammirare opere risalenti a periodi diversi quasi a testimoniare il cambiamento di gusto e le scelte operate dai diversi committenti. Innanzitutto, come accennato in precedenza, la chiesa attuale ha sostituito quella precedente, ma alcune opere realizzate per la vecchia matrice furono trasferite nella nuova costruzione. Hanno generato maggior confusione le poche e scarne notizie su un probabile acquisto fatto a Lecce nel 1874 dal Reverendo don Giuseppe De Donatis[10] che portò a Casarano diversi altari provenienti dalla chiesa di San Francesco della Scarpa a Lecce[11]. Anche se non abbiamo forti testimonianze documentarie che ci permettano di attestare certamente quali siano le opere provenienti dalla vecchia chiesa e neppure precise carte documentarie che attestino l’acquisto del 1874, i restauri degli ultimi anni sembrano dare corpo ad alcune ipotesi, in questa sede soltanto brevemente segnalate[12].

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, altare di S. Antonio part. epigrafe prima del restauro (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, altare di S. Antonio part. epigrafe prima del restauro (ph Maura Lucia Sorrone)

Ponendoci di fronte all’altare maggiore è facile percorrere con lo sguardo l’intera navata. A sinistra, vicino al portale d’ingresso è collocato l’Altare di Sant’Antonio di Padova (primo decennio del XVIII secolo), nel quale vi è la statua lapidea del santo. Durante gli ultimi lavori di restauro è stata scoperta un’iscrizione prima d’ora completamente sconosciuta. Si tratta di un’epigrafe per ricordare Giuseppe Grasso che restaurò quest’altare, un tempo dedicato ai re magi, intitolandolo al santo di Padova[13]. Nessuno conosceva queste parole completamente nascoste dal responsorio latino, (si quaeris miracula), che si ripete nella preghiera dedicata al santo di Padova e trascritto in un clipeo dell’altare.

A mio avviso, Giuseppe Grasso è lo stesso benefattore che nel 1713 ha lasciato il suo nome sull’altare dell’Immacolata nella matrice di Ruffano. Com’è stato ricordato di recente[14] si tratta di un noto personaggio appartenente ad una famiglia di medici. Da Ruffano ben presto egli si trasferì a Lecce diventando, a quanto ci dicono le fonti, il medico di fiducia del vescovo Pignatelli[15].

È piuttosto insolito che un’ epigrafe in memoria di un illustre benefattore, tanto generoso da impegnarsi a finanziare un intervento di restauro, sia stata volutamente coperta mentre di solito è consuetudine ricordare gli interventi di restauro con epigrafi e iscrizioni ben visibili sulle pareti delle chiese salentine, sugli altari e sulle tele dipinte. Credo che sia più corretto leggere la scelta di modificare l’iscrizione nell’ottica di un vero e proprio riutilizzo dell’altare che, provenendo da un’altra chiesa, doveva essere adattato a un altro luogo entrando nella vita di una nuova comunità di fedeli. Inoltre, nelle carte documentarie dell’archivio parrocchiale non sembrano esserci riferimenti a questo facoltoso medico. Dunque, l’altare potrebbe essere uno di quelli provenienti dalla chiesa di San Francesco della Scarpa. Anche per quanto riguarda l’intitolazione originaria non sembra esserci stato nelle diverse chiese matrici di Casarano alcun altare dedicato ai Magi né al Presepe. Tematiche più solitamente vicine alla religiosità francescana. È possibile dunque che l’epigrafe modificata e la statua di Sant’Antonio siano state assemblate al nuovo altare dopo il 1874[16].

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, interno, part. navata e tela di O. Tiso (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, interno, part. navata e tela di O. Tiso (ph Maura Lucia Sorrone)

Per cercare di capire le scelte fatte, in assenza di precise carte documentarie, credo che si debba considerare la tematica del riutilizzo di parti o intere strutture d’altare che, entrate in questa chiesa devono aver integrato o rinnovato gli altari che qui già esistevano o che si scelse di creare ex novo perché segno di una particolare devozione del territorio, come abbiamo visto per Sant’Antonio.

Tornando alla nostra breve visita in chiesa, segue all’altare del Santo di Padova, quello dedicato all’Immacolata e poi ancora il pulpito ligneo del 1761 e l’organo a canne realizzato dieci anni dopo[17].

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare delle Anime Sante del Purgatorio (sin.) e altare del Rosario (d.) (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare delle Anime Sante del Purgatorio (sin.) e altare del Rosario (d.) (ph Maura Lucia Sorrone)

Nella navata destra si susseguono l’Altare dell’Incoronazione della Vergine, quello del Rosario che al centro conserva la tela omonima dipinta da Gian Domenico Catalano[18] e l’altare dedicato alle Anime del Purgatorio. Quest’opera, realizzata entro il 1660[19] fu voluta dal Chierico Giovanni D’Astore.

Sebbene realizzato per la chiesa precedente, quest’altare insieme  al dipinto posto al centro, è frutto di una scelta unitaria da parte del committente e, nonostante i diversi spostamenti subiti all’interno della chiesa, il dipinto e la struttura architettonica sono state mantenute insieme. I lavori di realizzazione furono affidati a Donato Antonio Chiarello per la scultura e a Giovanni Andrea Coppola per la tela dipinta[20].

Ricordiamo tra l’altro che lo scultore copertinese in questi stessi anni realizza a Casarano l’altare maggiore nella chiesa della Madonna della Campana.[21]

Altri tre altari sono posti nel transetto: quello dell’Annunciazione, realizzato entro il 1829 dal capomastro Vito Carlucci[22] (a destra), e a sinistra quello dedicato a San Giovanni Elemosiniere, mentre l’Altare dell’Assunta è collocato in cornu epistolae.

L’Altare dedicato al protettore del paese, è frutto di diversi adattamenti. La nicchia posta al centro è stata modificata dall’aggiunta di due colonne, accorgimento utilizzato probabilmente per adattare lo spazio, in precedenza destinato ad ospitare un dipinto, alla statua ottocentesca (fig. 7). Nelle visite pastorali e nello scrupoloso lavoro fatto da Chetry, si cita più volte un altare dedicato al Crocifisso, presente in chiesa dal primo decennio del XVIII secolo fino al 1799[23]. Quest’intitolazione certamente sembra essere più consona agli angeli scolpiti in basso che reggono i simboli della Passione.

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare di San Giovanni, part. (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare di San Giovanni, part. (ph Maura Lucia Sorrone)

L’altare dedicato all’Assunzione della Vergine, datato 1740, appartiene invece a un altro ramo della già citata famiglia D’Astore[24]. Questa struttura ha sostituito un’altra più antica attestata in chiesa fin dal 1719. L’altare, bell’esempio di scultura barocca, si caratterizza per gli angioletti scolpiti che letteralmente invadono lo spazio della scena, dipinta quasi due secoli prima dal pittore neretino Donato Antonio D’Orlando (fig. 9). La tela sicuramente fu richiesta da un’altra committenza data la discordanza degli emblemi visibili. Quello dei D’Astore presente nella macchina d’altare, precisamente  nei plinti alla base delle colonne, è diverso da quello visibile nel dipinto (fig. 10).

Al 1634 risale la tela del Miracolo di San Domenico di Soriano. Essa è parte restante di un altare documentato in questa chiesa fino al 1910. L’opera è adesso collocata nel transetto sinistro, di fronte all’altare dell’Assunta. L’anno di esecuzione e il monogramma del pittore[25] sono stati recuperati durante il recente restauro. Nel transetto destro, di fronte alla cappella novecentesca in cui è riposto il SS. Sacramento, vi è la tela raffigurante la Pentecoste, attribuita ad un pittore di cultura emiliana[26] probabilmente del XVII secolo.

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, part. Altare di S. Giovanni Elemosiniere (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, part. Altare di S. Giovanni Elemosiniere (ph Maura Lucia Sorrone)

A questa veloce descrizione si vuole aggiungere la segnalazione di alcune sculture e architetture attualmente collocate nel cimitero comunale. Si tratta precisamente di due trabeazioni decorate con motivi fogliati e di quattro statue. Non c’è dubbio che le due trabeazioni siano parte dell’architettura di un altare così come una delle statue, raffigurante Sant’Oronzo. Quest’ultima, come possiamo vedere dalle fotografie, sembra essere stata staccata da un altare. Infatti, la figura, anche se è molto danneggiata, mostra un intaglio carico di particolari nella parte frontale, a differenza del retro, in cui la pietra, piatta, è lasciata completamente allo stato grezzo.

Si può ipotizzare che, in seguito alle modifiche di fine Ottocento, l’altare sia stato smembrato e alcune parti siano state trasportate nel cimitero comunale edificato proprio alla fine di questo secolo.

Ad ogni modo, dopo i recenti interventi di restauro si spera che un nuovi studi possano chiarire le vicende storico – artistiche di una delle principali chiese del Settecento in Terra d’Otranto[27].

 

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare dell'Assunta, tele di D. A. D'Orlando (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare dell’Assunta, tele di D. A. D’Orlando (ph Maura Lucia Sorrone)

 

Pubblicato su Il delfino e la mezzaluna n°2, cui si rimanda per la bibliografia, fonti archivistiche e sitografia

 


[1] Oltre alle sei tele conservate nella matrice, la studiosa ha analizzato quelle conservate nella chiesa confraternale dell’Immacolata e quelle della cappella della famiglia Valente. M. PASCULLI FERRARI, Oronzo Tiso, Bari 1976.

[2] M. PAONE, I Tiso di Casarano, in A. DE BERNART,  Paesi e figure del vecchio Salento, Casarano, vol. I, Galatina 1980, pp. 258 – 272.

[3] Regione Puglia Assessorato Pubblica Istruzione C.R.S.E.C. LE/46 Casarano, Pittura in Terra d’Otranto, (secc. XVI – XIX), Inventario dei dipinti delle chiese di Acquarica del Capo, Alliste, Felline (fra. di Alliste), Casarano, Matino, Melissano, Parabita, Presicce, Racale, Ruffano, Torre Paduli (fraz. di Ruffano), Supersano, Taurisano, Ugento, Gemini (fraz. di Ugento), a cura di L. Galante, Galatina 1993.

[4] Questa ipotesi probabilmente nasce per la somiglianza della chiesa casaranese con la vicina chiesa madre di Ruffano realizzata dai fratelli Ignazio e Valerio Margoleo. Sulla chiesa di Ruffano: A. DE BERNART – M. CAZZATO, Ruffano: una chiesa, un centro storico, Galatina 1989; V. CAZZATO – S. POLITANO,  Topografia di Puglia: atlante dei monumenti trigonometrici : chiese, castelli, torri, fari, architetture rurali, Galatina 2001, cit. p. 238.

[5]M. L. SORRONE, Alcune note sulla chiesa madre di Casarano, in “Fondazione Terra d’Otranto”, 23 novembre 2012 https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/11/23/annotazione-sulla-chiesa-madre-di-casarano/.

[6] M. CAZZATO, L’area galatinese: storia e geografia delle manifestazioni artistiche, in: M. CAZZATO, A. COSTANTINI, V. ZACCHINO, Dinamiche storiche di un’area del Salento, Galatina 1989, pp. 260 – 366.

[7] Si ricordano tra gli altri: l’artista neretino Giovanni Maria Tarantino che nel 1576 firma il portale della chiesa di San Giovanni Elemosiniere a Morciano, Pietro Antonio Pugliese, che lavorò alla chiesa di Santa Caterina Novella di Galatina intorno al 1619 e l’architetto leccese Giuseppe Cino, autore  di numerose opere a Lecce e nel Salento che, a quanto dicono i documenti, aveva stretti legami lavorativi con i suoi fratelli, che ricoprivano il ruolo di <<costruttori>>, cfr. M. PAONE, Per la storia del barocco leccese, estr. da “Archivio storico pugliese”, 35 (1982), fasc. 1, cit. p. 141.

[8] M. CAZZATO, L’area galatinese…, cit. p. 330.

[9] F. ABBATE, Storia dell’arte Meridionale, Il secolo d’oro, Roma 2002, p. 267.

[10] Il Reverendo Giuseppe De Donatis commissionò anche il restauro della tela di Oronzo Tiso, San Giovanni che distribuisce l’Eucarestia ai fedeli, (a sinistra, dietro il presbiterio). Intervento ricordato da un’iscrizione posta in basso a sinistra sulla tela, si veda: L. GRAZIUSO – E. PANARESE – G. PISANO’, Iscrizioni latine del Salento. Vernole e frazioni, Maglie, Casarano, Galatina 1994, p. 139.

[11] G. BARRELLA, La chiesa di San Francesco della Scarpa in Lecce, Lecce 1921, p. 28; C. DE GIORGI, La provincia di Lecce – Bozzetti di viaggio, Galatina 1975, vol. II, p. 153; A. CHETRY, Spigolature casaranesi, I, La chiesa matrice di Casarano, ed. a cura dell’Amministrazione comunale di Casarano, Casarano 1990, p. 11.

[12] Queste brevi segnalazioni vogliono essere un preambolo ad un lavoro più dettagliato che chi scrive sta svolgendo.

[13] <<DANT. O  PATAVINO/ SERAFICA FAMILIAE P.P SIDERI FULGENTISS.O/ SACELLUM OLIM REGIBUS AD PRAESEPE VENIETIB(US)/ SACRUM IOSEPH GRASSUS VETUSTATE COLLAPS(US)/ DICAVIT: UT SI ILLI QUONDAMSTELLA DUCE IAM/ DEUM HOMINEM NORUNT: TANTI NUNC/ SIDERIS LUMNEM DEUM SIBI NOSCAT/ PROPITIATOREM>>, trad. <<A Sant’Antonio di Padova astro fulgentissimo tra i presbiteri della famiglia serafica Giuseppe Grasso ha dedicato questo altare rovinato dagli anni un tempo (dedicato) ai re (magi) diretti al presepe affinché come loro un tempo guidati dalla stella hanno già conosciuto il Dio uomo, così ora alla luce del Santo Astro, Dio gli si mostri propizio>>.  Traduzione a cura di G. Pisanò, F. Danieli e don Agostino Bove. In queste sede voglio ricordare con affetto il mio prof. Gino Pisanò scomparso nei giorni di revisione di questo saggio.

[14] A. DE BERNART, I Grassi di Ruffano: una famiglia di medici, estr. da “Nuovi Orientamenti”, 12 n. 71, Cutrofiano 1981, A. DE BERNART – M. CAZZATO, Ruffano…, Galatina 1989, p. 37.

[15] S. TANISI, Visita alla chiesa della Natività della Vergine di Ruffano, in “Fondazione Terra d’Otranto”, 17 luglio 2012,

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/07/17/visita-alla-chiesa-della-nativita-della-vergine-di-ruffano-lecce/.

[16] A Casarano è ben documentato il culto di Sant’Antonio da Padova, al quale era intitolata una cappella, cfr. ACVN, Atti delle visite pastorali, Mons. Antonio Sanfelice, anno 1711, A/52. È probabile che una volta dismessa questa, la statua in pietra del santo sia stata trasferita nella chiesa madre.

[17] Al centro si legge: D.O.M. / A. D./ MDCCLXXI.

[18] Attivo negli anni 1604 – 1628.

[19] <<[…] per sua devott.ne a sue proprie spese novam.te have eretto, et edificato una cappella sotto il titulo dell’Anime del Purgatorio dentro la Matrice chiesa di […] Casarano dalla parte destra nell’entrare dalla porta grande d’essa chiesa et proprio dove stava prima il quadro di s. Trifone, nella quale anco a sue proprie spese vi ha fatto un quadro delle dette Anime del Purgatorio…>>. ASLe, Protocolli notarili, notaio Marc’Antonio Ferocino, anno 1660, f. 138, 20/3, Archivio di Stato, Lecce.

[20] V. CAZZATO, Il Barocco leccese, Bari 2003, p. 99; V. CAZZATO – S. POLITANO, L’altare barocco nel Salento: da Francesco Antonio Zimbalo a Mauro Manieri, in Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e la Spagna, Roma 2007, catalogo della mostra, pp. 107 – 129, cit. pp. 113 – 114. La tela fu inizialmente commissionata a Giovanni Andrea Coppola, ma egli non riuscì a portare a termine l’opera che dopo la sua morte fu completata dal pittore Fra’ Angelo da Copertino. Il dipinto è stato restaurato dalla dott.ssa Luciana Margari. Sulla vicenda si segnala un recente articolo di S. TANISI, La tele delle Anime del Purgatorio di Casarano: due autori per un dipinto, in “Fondazione Terra d’Otranto”, 10 gennaio 2012, https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/10/01/la-tela-delle-anime-del-purgatorio-di-casarano-due-autori-per-un-dipinto/.

[21]V. CAZZATO – S. POLITANO, L’altare…, cit. p. 114.

[22] Sull’altare si legge: Vito Carlucci e figli (Muro leccese) mentre sulla tela è presente l’anno di esecuzione: 1829.

[23] ACVN, Atti delle Visite Pastorali, mons. Antonio Sanfelice, anno 1719, b. A/77;  A. CHETRY, Spigolature…, cit. p. 27 e p. 41. Anche quest’altare, nella sua architettura originaria, fu commissionato dalla famiglia D’Astore.

[24]L. GRAZIUSO – E. PANARESE – G. PISANO’, Iscrizioni …, cit. p. 127: << Gentilicium familiae de Astore sacellu[m] hoc/ deiparae in coelum evectae dicatum ac benef[icio]/ [a] notaro qu[o]nda[m] Antonio Vergaro fu[n]d[a]tore donatum/ cl. Vitus Antonius De Astore ex matre pronep.[os]/ excitandu[m] curavit anno reparati orbis/ MDCCXL>>, <<Questo altare gentilizio della famiglia d’Astore, dedicato alla Madonna Assunta in Cielo e dotato di un beneficio dal defunto notaio Vergari, il signor Vito Antonio d’Astore, pronipote da parte di madre, fece erigere nell’anno della redenzione del mondo 1740>>.

[25]ORT. BR. NER. 1634, (Ortensio Bruno Neritonensis). Altri dipinti sono accompagnati da questo stesso monogramma, pensiamo alla tela dell’Immacolata nella chiesa di Santa Lucia a Taviano e al dipinto raffigurante il Miracolo di Soriano nella chiesa matrice di Racale. In queste opere per l’abbreviazione della provenienza si legge “N. US” e non “NER.” (neritonensis), cfr. L. GALANTE, Pittura…, cit. p. 11 e nota n. 23 a p. 20. Si veda anche: A. SERIO – G. SANTANTONIO, Racale: note di storia e costume, Galatina 1983.

[26] L. GALANTE, Pittura…, fig.74 senza numero di pagina.

[27] Ringrazio sentitamente il parroco, don Agostino Bove, per la disponibilità e per avermi permesso di fotografare la  chiesa.

23 gennaio. A Casarano si festeggia San Giovanni Elemosiniere con i suoi panitteddhi

Casarano. Il busto di S. Giovanni Elemosiniere e i “panitteddhi”

di Fabio Cavallo

Nel cuore dell’inverno, si colloca la solennità di San Giovanni Elemosiniere, amato patrono dei Casaranesi, che cade il 23 gennaio.

La festa patronale vera e propria sarà a metà maggio con le sontuose celebrazioni religiose e civili, ma il Martirologio Romano, il grande libro dei Santi della Chiesa cattolica, riporta in questo mese la solennità liturgica del Santo cipriota.

La festa religiosa sarà preceduta dal Novenario in Chiesa Madre, a partire dal 14 gennaio, dove, ogni sera, a partire dalle ore 17 si alterneranno la recita del

Alcune note sulla chiesa Madre di Casarano

di Maura Sorrone
– La facciata è la soglia dell’edificio:
con essa l’edificio si “affaccia” sul contesto,
ma anche si esclude da esso –
(M. Manieri Elia, Barocco leccese, Milano 1989, p. 171)

Con questa espressione si è scelto di introdurre questa breve segnalazione sulla chiesa dedicata a Maria Santissima Annunziata di Casarano.
Innanzitutto si vuole ricordare che il 2012 è stato un anno importante per la chiesa perché sono infatti passati 300 anni dalla fine della sua costruzione.
Di recente, inoltre, sono terminati i lavori di restauro che oggi ci permettono di associare a questa bella chiesa del barocco salentino i nomi di artisti e artigiani che in diversi momenti sono stati “ingaggiati” dalla committenza a lavorare per quello che fu l’edificio più importante del paese.

Come la maggior parte delle costruzioni ecclesiastiche del primo XVIII secolo, questa chiesa mostra una facciata longitudinale, particolarmente semplice, scandita da due colonne e arricchita da motivi decorativi soltanto nelle lesene che incorniciano il portale principale.

Questi elementi, così come le sculture che si vedono più in alto, hanno ritrovato grazie ai restauri, la loro originaria volumetria.

Ma la facciata ha ancora qualcosa da dire nelle epigrafi che sono collocate nel fastigio. Quella centrale, pubblicata anni fa da Gino Pisanò, testimonia la partecipazione di tutti i cittadini che, autotassandosi, hanno contribuito attivamente alla costruzione dell’edificio (L. Graziuso, E. Panarese, G. Pisanò (a cura di), Iscrizioni latine del Salento…, Galatina 1994, cit. p. 123).
Le altre due invece riportano l’anno di edificazione della chiesa, a sinistra si legge: A[nno] D[o]M[ini] 1712 (Nell’anno del Signore 1712 – fig. 1) e M[astro] ANG[el]O DE GIOV[anni] F[ecit], (Mastro Angelo De Giovanni fece – fig. 2) a destra (colgo l’occasione per ringraziare Rocco De Micheli autore di queste due foto).

Ciò ci permettere di aggiungere questa chiesa all’elenco delle architetture del Salento che sono legate non solo ai validi architetti e scultori attivi tra il XVII e il XVIII secolo, ma anche alle numerose famiglie di costruttori che lavoravano accanto ai progettisti. Ancora tanto c’è da dire e chi scrive da qualche tempo si occupa di ricostruire le vicende storico – artistiche della chiesa.

Ad ogni modo è possibile dire con certezza che questi artigiani avevano una parte importante nello sviluppo del lavoro tanto da potersi permettere di scrivere il proprio nome nelle costruzioni che realizzavano, più precisamente nel punto più alto delle facciata: a futura memoria.

In fuga dalla Terra d’Otranto: spunti sull’emigrazione salentina di inizio Novecento

 

di Alessio Palumbo

 

Con l’arrivo dell’estate le campagne tornano ad animarsi. La raccolta di pomodori, angurie e quant’altro, impegna una vasta manodopera, spesso immigrata. Povera gente che, in molti casi, fugge da condizioni sociali ed economiche terribili e cerca di allontanare lo spettro della fame lavorando nelle nostre campagne. Non di rado sono immigrati irregolari, pagati pochi soldi e stipati in alloggi di fortuna. Svolgono quei lavori spesso rifiutati dagli italiani, ma ciò non garantisce loro rispetto o solidarietà. Anzi, in molti casi sono esclusivamente additati come causa di disordini, come autori di atti criminosi. Sono degli indesiderati. Sono le “vittime” di chi ha una scarsa conoscenza delle proprie origini e della propria storia.

Troppo spesso, infatti, confusi da immagini edulcorate sul nostro passato, fermandoci alle rappresentazioni della campagna salentina come luogo sì di lavoro, ma soprattutto di feste contadine e di canti al ritmo dei tamburelli, dimentichiamo che anche i nostri antenati hanno vissuto l’emigrazione, lo sfruttamento, il disprezzo degli altri popoli.

da Come Eravamo: il mio Sud

Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900,  l’agricoltura del sud Italia attraversò un periodo di profondo regresso a causa sia di trattati commerciali dannosi per le colture del Mezzogiorno sia di periodiche crisi agricole, dovute tra l’altro alla diffusione di malattie parassitarie. A questa difficile situazione le popolazioni meridionali risposero, in molti casi, con l’emigrazione in Europa ed oltreoceano.

Nel Salento la crisi fu particolarmente grave, intaccando le due principali colture locali: la vite e l’ulivo. Dal 1892 in poi, interi uliveti furono colpiti da un’epidemia, la brusca, che costrinse i proprietari a sradicare numerose piante, facendole saltare in aria con la dinamite. Nel giro di pochi anni anche la vite fu infettata da una malattia parassitaria, la filossera. Ne derivò un terribile immiserimento per tutti coloro che vivevano del lavoro nei campi:la Terrad’Otranto divenne per molti una terra di disperazione.

Per tutto il primo quindicennio del secolo, una miseria terribile e diffusa impedì a gran parte del proletariato salentino persino di  racimolare il denaro necessario per emigrare oltre confine. Scriveva Francesco Coletti:

M’interessa segnalare una zona delle più disgraziate posta nel Subappennino (nei circondari di Lecce e Gallipoli), la quale ancora non fornisce emigranti: è gente isolata e denutrita, che ha paura dell’ignoto e persino stenterebbe a racimolare il peculio per il viaggio”[1]

Enormi masse di contadini cercarono quindi di sottrarsi alla fame e alla povertà spostandosi nelle campagne del brindisino, del Tavoliere e persino della Calabria. Nei borghi, flagellati dalla malaria e da periodiche epidemie di colera, rimasero le famiglie e quei pochi che potevano far a meno di emigrare. Come dimostrano le numerose inchieste dell’epoca e le denunce dei meridionalisti, gli immigrati dal basso Salento venivano alloggiati in posti di fortuna, costretti a lavorare dall’alba al tramonto, tra il disprezzo e l’astio dei contadini locali. Per i braccianti baresi e foggiani, spesso già organizzati in combattive leghe di lavoro, i leccesi erano soltanto degli affamatori che svendevano per nulla il proprio lavoro, causando così un abbassamento generale dei salari. Le carte prefettizie testimoniano le aggressioni ai danni dei contadini salentini:

“Queste immigrazioni […] danno luogo a incidenti fra gli immigrati e gli indigeni i quali temono ribassi nei salari. La cronaca deve registrare casi non infrequenti di violenze commesse a danno degli immigrati”[2]

“Gli operai giornalieri restano, di regola di notte alle masserie; le condizioni di ricovero variano da masseria a masseria. Nel migliore dei casi gli adulti maschi stanno in un locale, le femmine e i ragazzi in un altro. D’estate per molte masserie anche in siti malarici, si dorme all’aperto tutti quanti o tutt’al più in qualche capanna di paglia, nei cui angoli gli uomini si ammucchiavano”[3]

da Come Eravamo: il mio Sud

Chi rimaneva nei luoghi d’origine molto spesso viveva di stenti. Gli scarsi sussidi del governo, le cucine economiche per i più poveri, l’opera di alcune società di mutuo soccorso e di enti benefici, rimanevano semplici palliativi per una situazione drammatica. Alcune testimonianze dell’epoca possono rendere maggiormente l’idea:

“Prolungamento piogge e deficienza lavori campestri sindaco Cutrofiano invoca concessione sussidio per distribuzione generi alimentari famiglie povere e bisognose […] anche per evitare turbamento ordine pubblico”[4]

“Sindaco Alezio invoca sussidio per impianto cucine economiche a pro contadini disoccupati. Dalle informazioni assunte risulta che causa piogge abbondanti quei terreni sono tutti allagati e quindi effettivamente vi è assoluta mancanza di lavoro con conseguente miseria della classe dei contadini”[5]

“Comune Casarano ove giorno sei corr. verificansi caso accertato colera ed ove occorre intensificare profilassi così nel capoluogo come nell’importante frazione Melissano, essendo deficienti servizi come fu constatati da ispezione medico provinciale. Chiede sussidio”[6]

Fermiamo qui la narrazione. Sono solo degli spunti per riflettere su un passato spesso dimenticato. Volendo, potremmo interrogarci sul perché di questa dimenticanza: si tratta di un passato troppo remoto per essere ricordato? O forse  talmente duro da “dover” essere dimenticato?


[1]Francesco Coletti, Dell’emigrazione italiana, 1911 in R. Villari, Il sud nella storia d’Italia, Roma-Bari, Laterza, 1981

[2]Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini meridionali e della Sicilia – Puglie, vol III, tomo I: Relazione del delegato tecnico prof. G.Presutti, Tip. Nazionale di G.Berterio, Roma, 1909, p.170, in. F. Grassi, Il tramonto dell’età giolittiana nel Salento, Roma-Bari, Laterza, 1973

[3]Inchiesta sui contadini in Calabria e in Basilicata, in F.S. Nitti, Scritti, Bari, Laterza, 1968, p.182

[4] Telegramma del prefetto di Lecce al Ministro dell’Interno in data 04/03/1910, in Archivio Centrale dello Stato, M.I. Assistenza e beneficenza Pubblica, 1910-12, b.21

[5]Telegramma del prefetto di Lecce al Ministro dell’Interno in data 28/02/1910, ivi

[6]Telegramma del prefetto di Lecce al Ministro dell’Interno in data 10/01/1911, ivi

La tela delle Anime del Purgatorio di Casarano: due autori per un dipinto

di Stefano Tanisi

Nel terzo altare a destra entrando nella chiesa Matrice di Casarano, quello assegnato allo scultore copertinese Giovanni Donato Chiarello, è collocato il dipinto delle Anime del Purgatorio.

La composizione del dipinto si articola secondo lo schema piramidale. In alto, troviamo la Madonna che, fra nuvole, sorregge il Bambino benedicente; a sinistra e destra inginocchiati San Giuseppe e Sant’Anna invocano a Maria e Gesù la salvezza eterna per le anime purganti poste in basso.

La tela delle Aninime del Purgatorio di Casarano

Al di sotto, alla loro sinistra e destra, vi sono altri Santi, anch’essi adagiati su nuvole, disposti in gruppi che intercedono per la redenzione dei peccatori. Al centro una figura femminile è levata in cielo da angeli, indice che è stata purificata. Nella parte bassa del dipinto si sviluppano le fiamme nelle quali bruciano le anime penitenti; quelle redente invece sono sollevate da angeli.

Una recente indagine -segnalata da Luciana Margari, restauratrice dell’opera- ha assegnato questo dipinto al pittore gallipolino Giovanni Andrea Coppola (1597-1659).

Una indagine più approfondita svela, però, particolari interessanti circa la fase esecutiva del dipinto. Esso, infatti, rivela una mano differente accanto a quella del Coppola. Se si prende in considerazione la parte superiore del dipinto – costituito dalla figura della Vergine col Bambino, San Giuseppe, Sant’Anna, i Santi disposti a destra e sinistra e soprattutto gli angeli che sono intorno a questi personaggi – appare subito di diverso stile e qualità esecutiva rispetto la parte centrale (a partire dalla donna che sta per ascendere al cielo) e bassa del dipinto.

Le movenze forzate e le disposizioni degli angeli, i ben caratterizzati lineamenti fisiognomici dei volti di questi personaggi riscontrati nella parte superiore dell’opera, richiamano la pittura di frà Angelo da Copertino (1609-1685 ca.).

Perché due diverse importanti e ben distinguibili mani per un solo dipinto? La pala d’altare casaranese è stata eseguita probabilmente prima della morte del Coppola, il quale ha dato al dipinto l’impostazione generale e ne ha eseguito gran parte. Probabilmente a morte sopraggiunta dell’artista gallipolino fu chiesto al frate cappuccino di terminare il dipinto: siamo verso il 1659. Frà Angelo allora era da considerare tra gli esponenti più interessanti della pittura salentina.

Già nel 1636 firma il Sant’Antonio di Padova per la chiesa dei Cappuccini di Ruffano, e nel 1655, per la chiesa Matrice di Copertino, realizza la Regina dei Martiri, che con i dettagli indicati su quello di Casarano trova chiare analogie. Infatti, se si prendono proprio in considerazione i gruppi dei santi dell’opera copertinese, si possono individuare i volti e le posture dei santi casaranesi.

Due pittori dunque per un significativo dipinto dell’arte controriformata salentina del XVII secolo.

da: S. Tanisi, La tela delle Anime del Purgatorio, in “L’Ora del Salento”, settimanale, Anno XIX, Numero 33, 10 ottobre 2009.

Marcinelle, 8 agosto del 1956. Per non dimenticare…

di Gianni Ferraris

Ero a Casarano un pomeriggio. Un cartello indicava il “museo del minatore”. Entro, un grande salone che è un circolo ricreativo. 4 signori giocano a carte, altri stanno a guardare. Battute fra loro, risate. Vita da SOMS insomma.  Uno mi avvicina, “siete minatori?” “No, ho visto e sono entrato per il museo” “Avete parenti minatori?” “veramente no “ . Scoprirò poi che lui è stato minatore in Belgio. “Solo 7 anni però, mi sono salvato per questo” “Si, la pensione è buona, chi ha fatto più anni arriva anche a 3000 euro al mese. Sono pochi però, sono tutti morti. La miniera non era solo dura, era l’inferno”. Ho letto che quando entravi là sotto dovevi scegliere una posizione. Di schiena o di pancia nel cunicolo, quella era l’unica possibile per tutto il giorno, non ci si poteva girare perché era troppo angusto. Poi mi accompagna a vedere le centinaia di foto appese ai muri. Minatori neri in volto, fieri in posa spesso. Ogni tanto altre fotografie: i re del Belgio, San Pio da Pietrelcina, Ciampi. Una statua a grandezza naturale raffigura Santa Barbara con un piccolo minatore con il casco. Un bambino come quelli che spesso lavoravano in miniera. “La statua di Santa Barbara era con coi sempre laggiù”  Una fotografia con 4 loculi, sono i morti di Marcinelle che riposano a Racale.

Partirono in molti da queste terre. Troppi non tornarono. Un bellissimo recital di Perrotta dice del postino del suo paese. Quando riceveva un telegramma che annunciava la morte di un minatore non aveva il coraggio di consegnarlo. Andava dalla signora e diceva “ci hanno comunicato che tuo marito non sta molto bene.” Poi lo faceva peggiorare di giorno in giorno fino ad annunciarne la morte. Era poco, però evitava uno choc improvviso. Ci si arrangia come si può nel  mondo dell’assurdo, quello in cui una vita vale quanto un sacco di carbone: 200 kg al giorno.

“Approfittate degli speciali vantaggi che il Belgio accorda ai suoi minatori. Il viaggio dall’Italia al Belgio è completamente gratuito per i lavoratori  italiani firmatari di un contratto annuale di lavoro per le miniere. Il viaggio dall’Italia al Belgio dura in ferrovia solo 18 ore. Compiute le semplici formalità d’uso, la vostra famiglia potrà raggiungervi in Belgio”.

Terminava con queste parole il manifesto rosa affisso sui muri di tutta Italia per convincere le persone ad emigrare. Era il frutto di un accordo fra il governo italiano e quello belga conosciuto come  “patto uomo – carbone” del  23 giugno 1946. L’Italia doveva inviare persone come merci nel numero di 50.000 con una media di 2000 a settimana, in cambio avrebbe  ricevuto 200 kg di carbone al giorno per ogni uomo inviato . C’era la ricostruzione, era indispensabile il carbone. E uomini in buona salute o in massacrante miseria se ne contavano a migliaia. E funzionò quel patto sciagurato.Partirono 140’000 lavoratori.  18’000 donne e 29’000 bambini. Al loro arrivo trovavano immediatamente i “vantaggi che il Belgio accorda ai suoi minatori”. In particolare in quei cartelli appesi fuori dalle case da affittare che dicevano: “ni animaux, ni étranger”: né animali, né stranieri. E senza casa quale famiglia avrebbero potuto chiamare? Però servivano, erano indispensabili. Ci pensò il governo belga a loro. Vennero stipati negli ex campi di concentramento. Nelle identiche  situazioni dei russi prigionieri di guerra. Un gabinetto per 200, 300 persone. Freddo glaciale in inverno, caldo torrido in estate.

…  Uomini giovani, 35 anni al massimo, e in buona salute “deportati” nel fondo di miniere mai ammodernate per permettere all’Italia di acquistare energia e di allentare disoccupazione e tensione sociale. Il reclutamento in Italia cerca di favorire l’ingaggio di lavoratori  raccomandati dalla Chiesa cattolica e quindi cristiani, “considerati più sottomessi e meno esigenti” osserva Anne Morelli. E aggiunge: Dall’annuncio dell’accordo nel 1946 il sindacato cattolico belga Csc (Confédération des Syndicats Chrétiens) prende contatto con le Acli per organizzare i nuovi arrivati. Un accordo è firmato nel 1947 tra i due enti «per evitare che gli emigrati italiani siano attratti da organizzazioni  sindacali straniere». I patronati Acli ed i missionari italiani sono gli unici  autorizzati dal patronato belga ad accogliere i minatori italiani. Nel 1947 viene edito un settimanale cattolico, fortemente anticomunista, “Sole d’Italia” con il finanziamento delle Acli, del sindacato cattolico belga, dello Stato belga, dello Stato italiano e di benefattori che avevano capito l’importanza politica di sostenere una tale iniziativa […] Una trentina di missionari italiani sono inviati in Belgio per «inquadrare» gli emigranti in parrocchie italiane distinte di quelle belghe, in stretta collaborazione con i diplomatici italiani e la Democrazia cristina 8 . Tra i più attivi animatori  religiosi della comunità italiana va ricordato il sacerdote missionario  scalabriniano Giacomo Sartori. Nato a Possagno il 17 aprile 1922, venne ordinato sacerdote nel luglio 1945. Padre Sartori insistette per andare in missione e fu destinato al Belgio, a La Louvière, Maurage e poi a MarchienneauPont dove costruì la prima Chiesa italiana del Belgio, dedicata a Santa Maria Goretti. Collaboratore attivo del settimanale per gli emigrati “Sole d’Italia”, fu assistente nazionale in Belgio delle Acli dal 1956 al 1961, anno in cui lascia il paese per iniziare il suo apostolato in Francia, prima ad Havange nella Mosella e poi a Parigi dove muore il 22 marzo 1967 .”

 

Cfr. Anne Morelli, Gli italiani del Belgio. Storia e storie di due secoli di migrazioni, Foligno, Editoriale Umbra –

Alle otto e dieci del mattino dell’ 8 agosto del 1956 dalla miniera di Marcinelle si alza una colonna di fumo. A 975 metri sotto terra è strage. Muoiono 262 minatori. Di questi 136 erano italiani. Il nucleo  più numeroso, seguiti da 95 belgi. Nell’inferno hanno provato a scendere ancora per cercare salvezza. Li trovarono il 23 agosto, a 1035 metri di profondità. Abbracciati fra loro. Forse cercando un gesto di solidarietà.
Il processo identificherà come unico responsabile  l’italiano Antonio Ianetta, 27 anni. Non comprendeva il francese, Antonio. Ciò nonostante fu assegnato a mansioni che esigevano comunicazione: addetto ai carrelli. Al processo, nel maggio 1959, Ianetta non ci sarà. .”Latitante” in Canada.
I morti di quella tragedia rappresentano l’Italia quasi intera, con punte decisamente più numerose nelle regioni del sud: Molise 7 morti, Abruzzo  60,  Calabria 4, Campania 2, Emilia 5, Friuli 7, Lombardia 3, Marche 12,  Puglia 22, Sicilia 5, Toscana 3, Trentino Alto Adige 1, Veneto 5.  Tutti svenduti per un sacco di carbone al giorno.

i soccorsi sul luogo del disastro (questa e le altre foto sono tratte da http://vergaelen.michel.ibelgique.com/Marcinelle.htm)

 

Tra il 1946 e il 1963 i morti ufficial­mente furono 867 nelle profondità, più di 20 mila si ammalarono gravemen­te e circa 150 finirono la loro vita in manicomio.

Di questa tragedia della miseria e dell’uso delle persone come merce tutto forse è già stato detto, però un ricordo a 53  anni dalla strage serve e ci può insegnare ancora molto. “ni animaux, ni étranger” fa il paio con altri cartelli “non si affitta a meridionali”. E oggi possiamo ricondurlo alla paura del diverso, dell’altro che alcuni ci vorrebbero inculcare. La storia dovrebbe insegnare. Il Salento è terra di emigranti, ogni famiglia ha parenti al nord, moltissimi ragazzi si spostano per cercare lavoro, magari precario. E capita magari ad una giovane professoresa, di andare nel nord più remoto, vicino alle Dolomiti ad insegnare al suo primo incarico. Orgogliosa per il posto guadagnato, certamente con un po’ di timori. Succede che il preside la accolga con queste parole: “Lei è di Lecce, è sicura che i ragazzi la capiranno?”  La risposta non poteva essere che quella data allo sciagurato: “Guardi, a Lecce si parla  un buon italiano, sono certa che i ragazzi avranno un’opportunità in più”  Non ci sono più patti “uomo – carbone” da rispettare, oggi c’è solo il miraggio di una vita normale, magari di un posto di lavoro non precario, Magari la ricerca del rispetto della Costituzione , ma soprattutto del buon senso, siamo tutti uguali. Almeno, dovremmo.

La tragedia è stata  ricordata con molti strumenti: Film, teatro, libri, canzoni.  Voglio riportarne qui una di Ivan Della Mea. “Mangia el carbun e tira l’ultim fiaa”:
Sont in vial Monza, visin a l’ABC gh’è on cartelon 
della benzina Shell,
distributor, garage e gente in tuta,
l’è on gran vosà: sterza, inanz, indree
Gh’è vun che spèta e intant legg el giornal:
«Dusent vint mort» gh’è scritt «a Marcinelle».
 
‘Sti chi lauren, quij là intant a moeuren;
sora dusent, cent trenta hinn italian,
gh’era el paes, el laurà e poeu la vita,
la famm col pan bagnà matina e sera:
ciapa el bigliett, teron, forsa, gh’è ‘l treno!
e va a crepà ind el fumm de la minera…
 
Mangia el carbon e tira l’ultim fiaa
e sara i oeucc e slarga pian i man,
e spera sempre: Nenni e Saragat
s’hin incontraa, silensi a Pralognan…*
Gh’è anmò speransa e fiada, fiada fort
e crepa svelt, che ti te set già mort.

(Sono in viale Monza, vicino all’ABC

C’è un cartellone della benzina Shell

Distributore, garage e gente in tuta,

è un gran parlare: sterza, avanti, indietro

c’è uno che aspetta e intanto legge il giornale:

“220 morti” c’è scritto “a Marcinelle”.

“Questi lavorano, quelli intanto muoiono;

su 200, 130 sono italiani,

c’era il paese, il avoro e poi la vita,

la fame con il pane bagnato mattina e sera:

prendi il biglietto, terrone, forza, c’è il treno:

e va a crepare nel fumo della miniera…

Mangia il carbone e tira l’ultimo respiro

E chiudi gli occhi, e allarga piano le mani,

e spera sempre: Nenni e Saragat

si sono incontrati, silenzio a Pralognan… *
C’è ancora speranza e respira, respira forte

E crepa in fretta, perchè sei già morto).

* Il 26 agosto dello stesso anno a Pralognan (Savoia) si incontrano Nenni e Saragat, con l’intento di fondere PSI e PSDI per contrastare la forza del PCI. L’incontro è auspicato dall’internazionale socialista.

 

Elenco dei salentini morti a Marcinelle

Pompeo Bruno, Racale (LE)

02/04/1928 – celibe

Salvatore Capoccia, Salice Salentino (LE)

– Roberto Corvaglia, Racale (LE)

– Salvatore Cucinell i, Gagliano Del Capo (LE)

11/05/1926 – moglie in Italia

– Santo Martignano, Tuglie (LE)

20/04/1929 – moglie e 3 figli

– Cosimo Merenda, Tuglie (LE)

25/07/1924 – moglie e 3 figli

– Francesco Palazzo, Salice Salentino (LE)

07/05/1913 – moglie e 3 figli in Italia

– Cosimo Ruperto, Alezio (LE)

18/04/1913 – moglie e 4 figli

– Natale Santantonio, Brindisi

08/01/1928 – celibe

– Carmelo Serrone, Serrano (LE)

17/11/1911 – celibe

– Ernesto Spiga, Martina Franca

25/05/1904 – moglie e 2 figli

– Abramo Tamburrana, Crispiano (TA)

26/03/1916 – celibe

– Vito Verneri, Racale (LE)

26/03/1925 – celibe

– Salvatore Ventura, Tuglie (LE)

16/01/1920 – moglie e 3 figl i

– Rocco Vita, Racale (LE)

16/08/1929 – moglie e 2 figli

– Cesario Perdicchia, Melissano (LE)

02/03/1909 – moglie e 2 figli

– Osmano Ruggirei, Martina Franca (TA)

26/03/1923 – moglie

– Donato Santantonio, Racale (LE)

05/01/1927 – moglie e 1 figlio

– Vito Larizza, Laterza (TA)

15/11/1924 – moglie e 4 figli

– Pasquale Sifani, Taurisano (LE)

01/04/1924 – moglie e 2 figli.

  
 
Lunedì 13 agosto si svolgono le esequie dei morti recuperati

 

 

Se avete foto o documenti pertinenti vi chiediamo di inviarceli, per inserirli in questo sito.  

Salento terra di santità. I Servi di Dio di Carpignano, Casarano, Castellaneta, Castrì, Ceglie, Cisternino e Copertino

di fra Angelo de Padova

 

Fra Francesco da Carpignano, pio, osservante delle Sante leggi, caritatevole, obbediente, devotissimo all’Immacolata. Morto il 1°marzo 1645. Frate minore.

Fra Gaetano di San Francesco da Casarano, distintosi per le virtù dell’obbedienza, povertà e carità. Morto a Oria il 10 agosto 1785. Frate minore.

Fra Bartolomeo da Castellaneta, morto l’11 settembre 1652. Ottimo predicatore e devotissimo alla Madonna del Carmelo. Frate minore.

Suor Cherubina Perrone di Castellaneta morta nel 1682. Morta con l’odore soave della santità.

Fra Primaldo Marulli da Castrì: rifulse per la carità e la regolare osservanza. Morto il 16 febbraio 1854. Frate minore.

Venerabile F. Angelo Vitale da Ceglie,  nato il 26 novembre del 1595; morì

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