L’epigrafe di Morciano di Leuca in via Ippolitis al civico n. 6

di Armando Polito

Capita non di rado, in Italia come all’estero, di imbattersi in qualche locuzione latina presente sulle pareti esterne di  fabbriche di una certa età, oggi, forse anche all’origine, private.

Sotto questo punto di vista probabilmente a detenere il record mondiale  è proprio una cittadina salentina, Giuliano di Lecce, il cui centro storico pullula di epigrafi. Di una di esse mi sono occupato in https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/01/23/unepigrafe-in-via-regina-elena-a-giuliano-di-lecce/ e già allora pensavo di compiere con lo stesso metodo un’indagine sulle altre. Poi le mie difficoltà di deambulazione ed altri interessi sopravvenuti mi hanno distolto. Tuttavia i due ostacoli sono facilmente rimovibili: il primo con l’aiuto delle foto di uno o più lettori che gentilmente potranno inviarle alla redazione con indicazione del loro nome e cognome, nome e numero civico della via; il secondo ostacolo posso rimuoverlo solo io ma è facilmente comprensibile come un’adeguata rimozione del primo costituisca una condizione ineludibile ma  fungerà, lo giuro, da irrefrenabile catalizzatore1.

Qualche mese fa nel mio raro girovagare a briglia sciolte (cioè in modo non mirato) in rete sfruttando Google Maps mi sono ritrovato, non ricordo neppure da dove son partito, a Morciano di Leuca. La mia attenzione è stata subito attratta dallo scorcio dell’immagine di testa (che ho adattato, appunto, da Google Maps), con l’arco trilobato, probabilmente bugiardo, cioé avente una funzione puramente decorativa e non di sostegno (a chi ha specifica competenza  la conferma o la smentita).

Google Maps non mi ha consentito un’ulteriore zoomata sulla lastra con epigrafe che si nota nella parte superiore; fortunatamente ho reperito in rete l’immagine che di seguito riproduco (a suo tempo, pur avendo messo da parte la foto, non mi sono annotato il link e attualmente l’immagine è introvabile).

Si legge, direi agevolmente nonostante la definizione non eccelsa, NEC TE QUESIERIS EXTRA (E non cercarti fuori) e nell’altra linea, con notevole spaziatura tra le cifre, 1562.

Conforto il lettore già in preda all’apprensione promettendogli subito che non spenderò nemmeno una parola (né aprirò una delle mie interminabili parentesi …) sull’annosa quanto, secondo me, idiota contrapposizione tra la cultura umanistica e quella scientifica, né, per scendere terra terra, sull’opportunità o meno della sopravvivenza del latino e del greco tra le materie scolastiche e, soprattutto, della metodologia d’insegnamento-apprendimento.

Voglio con questo mio post solo condividere con lui il mio pensiero critico sulla superficialità e frenesia della vita attuale, in cui ci sono minuti e minuti per postare su Facebook citazioni di ogni tipo ma non c’è mai più di un secondo per rispondere (utilizzando quella stessa rete che in pratica abbiamo sempre con noi in tasca o nel taschino …) alla domanda che inevitabilmente ci si dovrebbe porre quando ci si imbatte in qualcosa di sconosciuto; nella fattispecie: cosa vorrà mai dire quella frase latina?

So che facendo così mi brucerò l’ulteriore attenzione di quei pochi lettori che fino ad ora me ne hanno privilegiato, ma ci sarà pur sempre qualcuno (sono un illuso?) che mi seguirà fino in fondo.

Allora: Nec te quesieris extra si traduce con E non cercarti fuori. Le epigrafi di questo tipo , cioè quelle apposte su fabbriche che hanno più di un secolo di vita (nel caso in cui se ne apponga qualcuna su una fabbrica moderna quasi sicuramente la lingua usata sarà l’inglese …) sono di regola frasi latine tratte da autori classici o dell’Umanesimo e del Rinascimento. Il gusto di queste citazioni celebrò il suo trionfo letterario nei secoli XVI e XVII con il filone di quella produzione emblematica di cui mi sono occupato (con specifico riferimento al Salento) in più riprese:

https://www.fondazioneterradotranto.it/wp-admin/post.php?post=84490&action=edit 

https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/07/31/la-puglia-e-la-taranta-in-un-repertorio-di-simboli-del-1603/ 

https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/10/23/gli-emblemata-di-gregorio-messere-1636-1708-di-torre-s-susanna-13/ 

https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/06/17/un-manoscritto-per-lestate-ovvero-un-omaggio-del-1615-destinato-ad-un-leccese-e-finito-in-america-18/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/03/14/guardando-unantica-immagine-di-gallipoli/

Il testo della nostra epigrafe è tratto da Aulo Persio Flacco (I secolo d. C.) e, precisamente, è il secondo emistichio del verso 7 della satira I, in cui, guarda caso!, polemizza contro le mode letterarie del tempo e invita il lettore a non lasciarsi condizionare dall’opinione altrui, quando questa non è adeguatamente motivata, e a non sottovalutare se stesso. Insomma, una lezione di estrema attualità, un elogio dello spirito critico che oggi più che mai può essere traslato dal campo letterario ad ogni altro, a cominciare da quello degli opinionisti da strapazzo e a finire con quello politico e le sue quotidiane fanfaronate, alla cui genialità non credono più nemmeno i cortigiani leccaculo che abbiano conservato un minimo di attività neuronale …

Mi piace ora riportare  di seguito le testimonianze di tale massima nella letteratura emblematica alla quale ho fatto poc’anzi cenno.

Comincio da Symbolorum et emblematum ex aquatilibus et reptilibus desumptorum centuria quarta a Iachimo Medi. Nor.  coepta, absoluta post eius obitum Ludovico Camerario Joachimi filio, s. n., s. l., 1604. Di seguito la p. 98:

In alto il motto che conosciamo (quaesiveris corrisponde alla forma sincopata quesieris che si legge  a Morciano), nella didascalia il distico elegiaco: Non tibi tela nocent latitanti, erumpere at ausum/configunt: temere qui ruit, ille perit (Le frecce non nuocciono a chi si nasconde, ma trafiggono chi ha osato uscir fuori: muore chi si precipita temerariamente).

Il Camerario, dunque, fornisce un’interpretazione non fedele al concetto originale di Persio e, con l’immagine eloquente della chiocciola trafitta dalla freccia, il suo emblema finisce per essere un elogio della prudenza, un invito a non correre avventatamente rischi.

Non a caso lo stesso Camerario aveva sfruttato l’immagine della chiocciola nell’emblema precedente:

La citazione ovidiana compare tal quale, invece, in una stampa del 1650 che fa parte della collezione di Michel Hennin (1777-1863), custodita nella Biblioteca nazionale di Francia da cui (http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b8404199s.r=descartes) la riproduco. È un ritratto di Cartesio.
Qui il motto è una citazione, adattata, da Ovidio [Tristia, III, 4, v. 15: Bene qui latuit, bene vixit (Chi si è nascosto bene ha vissuto bene)] : Bene qui latuit (Bene chi si è nascosto) e la didascalia: Exemplo domiporta tibi sit cochlea/quisquis exoptas tuto consenuisse domi (Ti sia d’esempio la chiocciola domiporta [è , nella nomenclatura binomiale, il nome del genere; alla lettera porta della casa, con riferimento all’opercolo], se desideri invecchiare al sicuro in casa). Anche qui va detto che il pensiero originale, come prima quello di Persio, risulta travisato in quanto Ovidio semplicemente invitava un amico a non mettersi troppo in mostra per soddisfare il desiderio di raggiungere traguardi forse troppo velleitari.

La citazione ovidiana compare tal quale, invece, in una stampa del 1650 che fa parte della collezione di Michel Hennin (1777-1863), custodita nella Biblioteca nazionale di Francia da cui (http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b8404199s.r=descartes) la riproduco. È un ritratto di Cartesio.

In Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Bene_vixit_qui_bene_latuit) leggo: “Evidente l’affinità con il consiglio epicureo λάθε βιώσας láthe biôsas, “vivi nascostamente. Era il motto fatto stampare sul suo stemma nobiliare dal grande matematico, filosofo e uomo d’arme René Descartes, Sieur Du Perron, conosciuto come Cartesio“.

Nulla da dire sull’affinità con il consiglio epicureo, anzi ringrazio l’anonimo autore della scheda per avermi risparmiato di dirlo, ma temo che abbia scambiato per motto araldico quello che in Bullettin de la société  archéologique deTouraine, Péricat, Tours, 1896, v. XI, p. 13 viene definito come devise chère à Descartes (motto caro a Cartesio) e che sembra sintetizzare perfettamente la celebrazione di quel posto privilegiato che il filosofo francese aveva riservato alla solitudine fin dal Discours de la méthode. Perfettamente in linea  con Il Cogito ergo sum (Penso, dunque esisto) a tutti noto;  siccome  è pericoloso, però, oltre che fuorviante, unire concetti che anche per la loro sinteticità possono assumere un carattere apodittico, dogmatico, da vero e proprio postulato,  mi permetto di osservare, in rapporto al pensiero solitario che, poi, rischia di diventare pensiero unico …, che solo dal confronto tra i vari pensare la conoscenza può progredire.

Qualche anno dopo il Camerario l’immagine a corredo del motto sarà costituita da due navi sul mare in tempesta; sulla più vicina si scorge un uomo che con un lungo cannocchiale scruta le stelle (le due stelle della noStra epigrafe sono solo una coincidenza con valore puramente decorativo?). Tutto questo in Marci Zverii Boxhornii Emblemata politica et orationes, Jansson, Amsterdam, 1635 (https://www.yumpu.com/la/document/view/20119042/emblemata-politica-amp-orationes-ex-officina):

Ancora qualche anno e alla chiocciola del Cemerario e alle navi dello Zverio subentrerà l’ostrica che il testo a corredo  (è in prosa, abbastanza lungo e non lo riporto per non perdere l’ultimo lettore rimasto a seguirmi …) qualifica come perlifera, a sottolineare che ognuno di noi ha nel suo intimo quella ricchezza (spirituale, naturalmente) che talora cerca in un altro. Di seguito l’immagine da  Idea principis christiano-politici, centum symbolis expressa a Didaco Saavedra Faxardo, Vivien, Bruxelles, 1649 (http://www.fondiantichi.unimo.it/fa/emblem01/saav032.html):

Da notare nel motto, come già nel simbolo precedente e nelle due immagini che seguono, NE invece di NEC. Non cambia assolutamente nulla anche se in Persio si legge nec e non ne.

Tutti gli emblemi fin qui proposti sono successivi al 1562, il che garantisce la scelta autonoma rispetto alla letteratura emblematica e la dipendenza diretta da Servio di chi volle quell’epigrafe a Morciano. Anzi, se tutto non fosse stato casuale, avremmo potuto dire che il portale salentino e la sua epigrafe ispirarono le metafore emblematiche  (con le corrispondenze arco e porta d’ingresso /opercolo, casa/guscio e epigrafe/motto) della chiocciola e dell’ostrica.

In una sorta di amara ripresa per contrasto del timore manifestato all’inizio che le nuove epigrafi dei nostri giorni, se apposte, saranno in inglese, riporto dalla rete le due immagini che seguono insieme con le scarne informazioni presenti nel rispettivo link (https://www.flickr.com/photos/coglaz/14497017535 e https://www.flickr.com/photos/wolflawlibrary/6902192728/in/photostream/): Toulouse, Rue du Taur per la prima e nulla di nulla per la seconda.

 

Le due ultime immagini sono le sole, tra tutte quelle mostrate, emblemi compresi, a riportare il classico quaesiveris (non sincopato e col dittongo) invece di quesieris. Precisazioni che sembrano quasi ridicole rispetto alla serietà (leggi gravità) della situazione attuale (e non mi riferisco solo al terrorismo) che, senza tanti voli pindarici, bizantinesche contorsioni e ardite metafore, obbliga la massima di Persio ad assumere, purtroppo, un significato che, terra terra, è il consiglio di non uscire di casa nella speranza, così facendo, di limitare il rischio di perdere la vita, il che equivale a dire che in duemila anni il nostro degrado morale ha assunto un livello spaventosamente vergognoso; e tutto questo, paradossalmente, proprio mentre il progresso ha quasi annullato le distanze; solo quelle fisiche, purtroppo …

____________

1 A tal proposito vanno citate le seguenti pubblicazioni uscite tutte per i tipi di Congedo a Galatina:

Iscrizioni latine del Salento : Otranto, a cura di Antonio Corchia, 1992

Iscrizioni latine del Salento: Vernole e frazioni, Maglie, Casarano, a cura di L. Graziuso, E. Panarese, G. Pisano, 1884

Iscrizioni latine del Salento: Melendugno e Borgagne, Parabita, Tricase e frazioni, a cura di C. Mancarella , L. Barone, M. Monaco, 1996.

Iscrizioni latine del Salento: paesi del Capo di S. Maria di Leuca, a cura di A. Caloro, M. Monaco, F. Leonio, F. Fersini, 1998.

Iscrizioni latine del Salento: Galatone, Diso e Marittima, Andrano e Castiglione, Lizzanello, Collepasso, Tuglie, a cura di F. G. Cerfeda, D.Marina, M. Paturzo, V. Zacchino, 2000.

Iscrizioni latine del Salento: Trepuzzi, Squinzano, Cavallino, Galatina, a cura di

V. Vissicchio, E. Spedicato, M. E. De Giorgi, 2005.

L’iniziativa è senz’altro meritoria, ma, la sua collana, pur soddisfacente sul piano meramente documentario e, quindi, preziosa per riscontri e studi futuri, avrebbe meritato un apparato critico più ricco di quello che appare in più di un caso piuttosto superficiale, per non dire banale, e non privo di errori.

 

Pubblicato su Il delfino e la mezzaluna, nn. 4-5, agosto 2016

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2 Commenti a L’epigrafe di Morciano di Leuca in via Ippolitis al civico n. 6

  1. Tutto ok, ma vorrei far notare la sensibilità (si fa per dire) di chi all’epoca ha rilasciato il titolo edilizio per la realizzazione del fabbricato che contiene l’arco con l’epigrafe, che peraltro mi sembrano collocati in modo differente dall’originario.

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