Il quadro, il fonte, la pietra. Nuovo contributo sul santuario di San Pietro in Bevagna

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di Nicola Morrone

 

E’ nota l’importanza che per la comunità manduriana riveste il santuario di San Pietro in Bevagna, collocato in riva al mare, a 10 km. dalla città, e fulcro della vita religiosa della omonima frazione balneare, popolata soprattutto d’estate. In questa chiesa, non diversamente da quelle che possono vantare un’antichità così alta, ogni oggetto si riveste di un significato particolare, storico, artistico, o devozionale. E ogni opera, anche la piu’ umile, è testimonianza di un passato, spesso remotissimo, e al tempo stesso nostra  contemporanea, per il fatto di essere ancora presente in questo luogo carico di un indiscutibile fascino, e  pronta a suscitare  piu’ di un interrogativo.  sono tanti, nel santuario, gli oggetti che hanno un particolare significato per i fedeli  o i  visitatori, che vi si accostano con  devozione o semplice  curiosità.

Vi sono oggetti che possono vantare una secolare presenza  nel santuario di San Pietro in Bevagna, ed altri che invece vi  sono presenti solo da qualche decennio, o addirittura da pochi anni.

In questo luogo di culto così significativo per il popolo  manduriano, in cui tra l’altro sono rappresentati  i tre principali riferimenti religiosi della nostra comunità (San Pietro, San Gregorio , l’Immacolata) vi sono chiaramente anche i segni di devozioni più recenti, come quella per San Pio da  Pietrelcina (testimoniata da un quadro gia’ collocato nella cappella) e quella tutta particolare per l’Assunta, cui l’ ex parroco Don Enzo di Lauro consacrò in modo particolare il santuario. Solo per citare un altro esempio, nel santuario fecero la loro temporanea comparsa  anni orsono  anche le reliquie di Santa Faustina Kowalska, anch’ella già  rappresentata nella chiesa con la sua effigie.

Vi sono però tre oggetti cui la devozione popolare , da sempre, annette un’importanza maggiore rispetto a tutti gli altri. Essi sono, come è noto, il quadro raffigurante San Pietro, il fonte battesimale, la pietra d’altare, collocati tutti nel cuore del complesso luogo di culto, cioè il cosiddetto “sacello”, ovvero la piccola cripta alle spalle dell’altare maggiore.

Il primo degli oggetti “mitici” , probabilmente il più significativo per la devozione popolare, è il quadro di San Pietro Apostolo, racchiuso in una bella cornice lignea che possiede tra l’altro una complessa decorazione nella parte posteriore, visibile ai fedeli solo durante la processione per la festa del santo, che si svolge il 29 Giugno di ogni anno nella frazione balneare. A questo quadro, cui in passato erano stati applicati tre bellissimi ex voto in argento risalenti alla fine dell’800 ( poi opportunamente ricollocati nel sacello in una vetrina  perchè possano essere ammirati dai visitatori e dai devoti) sono legate come è noto numerose leggende, fedelmente riportate dagli storici locali nelle loro narrazioni e su cui , in questa sede, non vogliamo soffermarci.

Ci limitiamo a riportare quella (del tutto fantasiosa)che vuole che il quadro di San Pietro, nella sua versione originale, sia stato dipinto addirittura da San Luca Evangelista. Nella realtà, una rassegna delle vicende che hanno riguardato il quadro del santo, custodito a Bevagna, è possibile solo per le epoche recenti, visto che per i periodi più antichi  mancano del tutto i documenti. Sappiamo pero’ con  certezza che la storia di questo oggetto e’ stata segnata da continui trafugamenti e relative sostituzioni.

A partire dalla primitiva icona bizantina di San Pietro, non più ricostruibile , l’immagine ha attraversato i secoli, fino ad arrivare al 1914, quando è documentato il suo trafugamento ad opera di ignoti. Il rettore del santuario, allora, commissionò una nuova immagine del santo, che fosse  il più possibile simile a quella trafugata. Fu sollecitata allo scopo  la pittrice manduriana Olimpia Camerario, che realizzò nel corso dello stesso anno il nuovo quadro del santo. Anche questo, però, fu rubato, e sostituito per l’ennesima volta con un altro simulacro.

Nel 1972, su richiesta della Diocesi, dipinse il nuovo quadro il pittore Oscar Testa di Malta, mentre la versione attuale del quadro è una riproduzione fedele dell’immagine realizzata a suo tempo dalla Camerario.

Il secondo degli oggetti “mitici” che la tradizione popolare riconduce al passaggio di San Pietro Apostolo sul lido di Bevagna è la “vasca”, cioè il  fonte battesimale. Davvero un oggetto misterioso, questo  fonte battesimale! E’ ricavato da un blocco di basalto, è alto cm. 55, ha il diametro superiore di cm. 71 e quello inferiore di cm.31.

Da sempre collocato nel sacello “petrino” è, allo stato attuale, l’unica reliquia plastica di una chiesetta rurale di origine altomedievale che certamente, come tutte le cappelle campestri coeve, non doveva possedere alcun altro elemento decorativo scolpito, nemmeno rozzamente realizzato. Si tratta di un’opera che sarà sempre difficile ricondurre ad un preciso ambito culturale o datare con  certezza, per la totale mancanza di elementi figurativi che la caratterizza e per l’assenza, altresì,  di termini di confronto con manufatti similari datati con precisione .

Ai fini di una più compiuta contestualizzazione storica del fonte battesimale e di una conseguente  ipotesi di datazione , forse l’unico elemento che ci può aiutare, del resto  trascurato da tutti gli studiosi, è quello metrologico. Il diametro di base della vasca misura infatti cm.31, cioè un piede bizantino esatto. E il piede bizantino di cm. 31 (usato fino in eta’ normanna) è tra l’altro, come rilevato anni fa dallo studioso R. Jurlaro, la misura utilizzata per la costruzione della cappella medievale e del sacello.

Il fonte battesimale di pietra lavica fa dunque riferimento, in termini metrologici, alla cultura bizantina, e potrebbe quindi essere datato all’epoca della piu’ significativa  presenza dei Bizantini nell’Italia meridionale , cioe’ ai secc. IX-XI.

Siamo abbastanza convinti del fatto che la “vasca” battesimale, cui sono particolarmente devoti i pellegrini, faccia riferimento alla presenza dei monaci italo-greci (i cosiddetti “basiliani”) nel santuario, mentre escludiamo che il manufatto sia stato fatto arrivare in loco dai monaci benedettini d’Aversa che alla fine del sec. XI presero possesso della cappella  e del vastissimo feudo ad essa pertinente (la famosa”grancia” di San Pietro in Bevagna)in seguito alla donazione dei principi normanni.

Oltre al problema della datazione e della committenza, il fonte battesimale pone quello della sua provenienza. A questo proposito, ci pare naturalmente da scartare l’ipotesi che la vasca sia stata realizzata procurandosi la materia prima dai dintorni del santuario. Il manufatto, composto da pietra lavica (basalto) è stato  verosimilmente importato in tempi remoti.

Uno studio scientifico, pubblicato nel  2000  e condotto dal prof. Paul Arthur dell’Universita’ di Lecce (cattedra di Archeologia medievale) ha evidenziato che le rotte commerciali antiche e medievali relative ai manufatti in pietra lavica, coinvolgenti anche il Salento, avevano come punto di partenza le isole dell’Egeo (soprattutto la località denominata Melos) e, dall’altra parte del Mediterraneo, la Sicilia, e in particolare l’area etnea.

Sia i manufatti provenienti dall’Egeo che quelli provenienti dalla Sicilia (Etna) sono probabilmente transitati, con riferimento al Salento, attraverso porti quali Otranto, Brindisi, Gallipoli e Taranto.

Un elenco dei rinvenimenti di manufatti in pietra lavica (essenzialmente macine), su siti della Puglia Meridionale con presenze di età medievale indagati archeologicamente in modo sistematico, mostrano una prevalenza dei manufatti provenienti dall’Etna rispetto a quelli di origine egea. A questo punto, ferma restando la necessità di un’analisi petrografica della roccia vulcanica che costituisce il fonte battesimale di San Pietro in Bevagna (che potrebbe essere effettuata con la collaborazione e il permesso dell’autorità diocesana), riteniamo che ci siano fondate ragioni per credere, in linea teorica,  che, esclusa naturalmente del tutto un’ improbabile origine locale, la pietra lavica di cui è costituito il fonte battesimale di San Pietro in Bevagna possa provenire dall’Etna o dall’Egeo. E gli artefici di questa importante committenza, destinata a rimanere per secoli nel santuario (attualmente protetta da un artistico cancello in ferro battuto del secolo XVIII con le iniziali S.P.) saranno stati con ogni probabilità i monaci italo-greci al tempo in cui gestivano la cappella, cioè, ripetiamo, nei secc. IX-XI.

Essi, ben più dei benedettini d’Aversa, potevano inserirsi, per la loro stessa provenienza, nella rete di relazioni e di commercio che coinvolse nel medioevo l’area mediterranea, e  che vide transitare sulle navi oggetti, uomini, idee.

I monaci italo-greci vollero con ogni probabilità realizzare una duratura “memoria” del mitico battesimo di San Pietro Apostolo, avvenuto, secondo la leggenda, nelle acque del fiume Chidro intorno al 44 D.C, e ordinarono che fosse realizzato questo suggestivo manufatto, la “vasca” di San Pietro, che ancora oggi i pellegrini contemplano  con devozione e stupore.

Il terzo degli oggetti “mitici” collocati nel sacello petrino è la cosiddetta “pietra” di San Pietro, che secondo la leggenda servì al santo per celebrare la prima messa  sul suolo italiano, appunto a Bevagna intorno al 44 d.C.

Anch’essa è un oggetto su cui nessuno si è mai interrogato troppo, avallando automaticamente  la predetta ipotesi del tutto leggendaria. La “pietra”, in realtà un blocco di calcare delle dimensioni di cm. 93x40x 40, era in origine collocata all’interno dell’altare che si trovava in fondo al sacello, la cui esistenza è documentata da vecchie fotografie. L’altare fu demolito negli anni ’80, nell’ambito di un intervento di restauro invero discutibile, in seguito al quale si decise di stonacare anche le pareti del sacello, che assunse quindi l’attuale configurazione. La “pietra”squadrata era stata quindi collocata nell’altare posticcio a mo’ di  presunto ricordo  del passaggio di san Pietro e della sua opera di evangelizzazione sui nostri lidi, ed è di fatto indatabile.

Ai fini di una ipotesi di datazione, anche in questo caso, come per il fonte battesimale, forse ci puo’ essere di aiuto solo l’elemento metrologico. La pietra è infatti alta 93 cm., cioè tre piedi bizantini esatti. Solo casualità? A noi pare invece che anche per questo oggetto su cui nei secoli si è concentrato l’interesse  popolare si possa ricondurre tutto all’iniziativa dei monaci italo-greci che a partire dal sec. IX occuparono l’area del santuario. Anche in questo caso, con ogni probabilità, i bizantini avranno voluto produrre una “memoria” del  mitico passaggio di San Pietro su questi lidi, e avranno ordinato la fabbricazione di questo oggetto (che non ci pare certo, come del resto il fonte battesimale, di età apostolica!). Un oggetto realizzato stavolta ricorrendo a materiale di provenienza assolutamente locale, come del resto di provenienza  locale sono i blocchi irregolari di tufo e di arenaria con cui e’ stato realizzato nel medioevo l’intero sacello “petrino”.

La tecnica costruttiva del sacello rimanda chiaramente ad una età remota, e ciò sia detto a scanso di equivoci, dal momento  che questa piccola cappella, su cui esiste una vasta bibliografia, è stata considerata in passato, anche da eminenti studiosi, addirittura alla stregua della cisterna della Torre di San Pietro, la quale invece risale al tardo ‘500, ed e’ stata realizzata con una tecnica del tutto differente.

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