Le iscrizioni sulla facciata della Chiesa Nuova a Lecce

di Giovanna Falco

In una delle innumerevoli passeggiate nel centro storico di Lecce, alla ricerca di scorci da fotografare, mi sono imbattuta in due iscrizioni poste sulla facciata della Chiesa Nuova in via Giuseppe Libertini.

La prima epigrafe è incisa sull’architrave del portale e non è stata rilevata da nessuno studioso. Vi si legge l’iscrizione «iustus ut palma florebit», che si ritrova anche all’interno della chiesa, sull’arco dell’altare maggiore. Il motto riprende una frase del Graduale Commune Sanctorum (Salmo 91,13-14), e, tradotto, sta per “il giusto fiorisce come palma”.

Lecce. Chiesa Nuova e palazzo limitrofo (tutte le foto sono di Giovanna Falco)

L’iscrizione «iustus ut palma florebit» si ritrova anche all’interno della chiesa, sull’arco dell’altare maggiore: Nicola Vacca la riconduce alla famiglia Mattei[i], Michele Paone la interpreta, giustamente, come il motto dei Palmieri[ii]: entrambe le famiglie hanno avuto il patronato della chiesa. La scritta, risale a un periodo che va da dopo il 1763, quando era abate Tommaso Paladini, al 1836: anno in cui i Palmieri vendettero il palazzo. Amilcare Foscarini riferisce che il portale era stato “rifatto” in stile molti anni prima del 1929[iii].

particolare del portale

Osservando la parte in alto rispetto allo stemma si scorge il motto. Una ulteriore foto, evidentemente contrastata e resa più luminosa per poterla leggere, svela finalmente l’iscrizione:

La seconda epigrafe si trova alla sommità della facciata e recita:

Ci si chiede cosa possa significare, se è una data (Michele Paone ha  interpretato il  1639, come anno di un ipotetico intervento di restauro[iv]), o si riferisca a qualcos’altro.

Sono poche le notizie che riguardano la storia di questo piccolo gioiello dell’architettura leccese; dalla loro analisi è risultato che la cappella, dedicata dal suo fondatore all’Assunzione della Vergine e a San Pietro in vincoli[v], sin dalle origini è stata appellata Chiesa Nuova[vi].  Attualmente è nota per lo più come chiesa di Santa Elisabetta, perché ha accolto per un certo periodo la Confraternita Visitazione Maria SS.ma a S. Elisabetta.

Tutti gli autori che hanno studiato questo bel monumento del Rinascimento, concordano nell’affermare che sorge nell’area della preesistente chiesetta di Sant’Andrea[vii] e fu commissionato da Filippo Mattei, barone di Novoli (Santa Maria de Novis) dal 1532 al 1571, i cui discendenti divennero anche conti di Palmariggi. Ciò contrasta con quanto riferito da Giulio Cesare Infantino: «eretta da Filippo dei Mattei Barone di Santa Maria de Nove, e poi Co(n)te di Palmerici con dotarla di buonissime rendite»[viii].

Altre divergenze riguardano l’anno di costruzione: Amilcare Foscarini, in ben due opere, propone il 1519, Michele Paone il 1546[ix]. È più verosimile la data indicata da Paone[x], perché i Mattei detennero la baronia di Novoli dal 1520, quando Paolo acquistò il feudo assieme al genero Vittorio dei Prioli.

La chiesa era dotata di «comodissime stanze sì per l’Abbate, come per cinque altri Cappellani, e che di continuo officiano detta Chiesa quando volessero stanziarvi»[xi]. I religiosi cui fa riferimento Infantino, secondo Michele Paone erano alle dipendenze del capitolo dell’arcibasilica lateranense di San Pietro in vincoli, cui Filippo Mattei, conservandone il patronato, aveva devoluto la chiesa assieme ad un congruo beneficio. Proprietà attestata dallo scudo posto sul portale, recante le chiavi decussate. Nel 1631 l’isola di case cui assegnava il nome la chiesetta – ricadente nel territorio della parrocchia del Duomo – comprendeva settanta fuochi, ma non vi abitava nessun esponente della famiglia Mattei. Ciò conferma quanto riferito sia da Infantino sia da Paone, lo stabile (ubicato al numero civico 40 di via Giuseppe Libertini) era deputato ad accogliere religiosi. Stranamente nel 1631 la famiglia di Francesco Pedio abitava in quest’isola: i suoi discendenti (o omonimi) subentrarono nella proprietà del palazzo nell’Ottocento.

Il 1639, inciso alla sommità del prospetto dell’edificio, potrebbe coincidere con un episodio della storia della Chiesa Nuova: il 6 novembre 1586 il regio doganiere e baglivo Giov. Filippo Prato, la concesse ai padri Teatini, da poco giunti in città, che vi officiarono sino all’anno successivo[xii]. I Padri, tra il 1591 e il 1639, realizzarono la loro chiesa dedicandola a Santa Irene. C’è un legame tra il 1639 della Chiesa nuova e la fine dei lavori del maestoso tempio? Nel 1634 la chiesa era ancora patronato della famiglia Mattei. Costoro, nella seconda metà del secolo, eressero la terza cappella della navata destra di Sant’Irene, dedicandola alle Anime del Purgatorio[xiii].

Estinta la famiglia Mattei nel 1706 con Alessandro III, i Paladini ereditarono il patronato della chiesa e il palazzo. Nel 1763 era abate «d. Tommaso Paladini beneficiato di detta chiesa, quale possiede molti effetti ed ha l’obbligo ne’ giorni festivi della messa cantata colli primi e secondi vespri dalli cappellani di detta chiesa»[xiv]. Non si sa quando gli stabili furono ceduti, o passarono in eredità, ai Palmieri, sta di fatto che nel 1836 costoro li vendettero alla famiglia Pedio. Nel 1845 la Chiesa Nuova diventò sede della Confraternita Visitazione Maria SS.ma a S. Elisabetta, trasferita nel 1937 presso la chiesa di Sant’Anna, la Confraternita continuò a gestire le cure della Chiesa Nuova e del culto di San Gerardo Maiella[xv], ivi venerato. I preziosi paramenti «& altre cose necessarie per lo culto divino»[xvi], donati alla chiesa nel corso dei secoli, confluirono nel Tesoro della Cattedrale[xvii]. Nel palazzo sono subentrati altri proprietari. La chiesa, chiusa al culto, è occasionalmente aperta al pubblico.


[i] Sopra la scritta all’interno della chiesa vi è uno scudo obliterato che, secondo Nicola Vacca conteneva la palma fiorita, stemma attribuito ai Mattei di Palmariggi «come lo esibisce il Mazzella», «Scipione Mazzella, Descrizione del Regno di Napoli, ivi, 1601, p. 448» (N. VACCA, Postille a L.G. DE SIMONE, Lecce e i suoi monumenti. La città, Lecce 1874, nuova edizione postillata a cura di N. Vacca, Lecce 1964, pp. 577, 579). Lo stemma dei Mattei di Lecce, ramo della famiglia Mattei di Roma, però, è «scaccato d’argento e d’azzurro di otto file, alla banda d’oro attraversante sul tutto; col capo dello stesso caricato di un’aquila di nero».

[ii] Cfr. M. PAONE, Chiese di Lecce, Galatina 1981, II ed., voll. 2, I vol., p. 302.

[iii] Cfr. A. Foscarini, Guida storico artistica di Lecce, Lecce 1929 (Ristampa a cura e con note di Antonio Eduardo Foscarini, Lecce 2002), p. 70 (p. 93)

[iv] Cfr. M. PAONE, Chiese di Lecce, cit., pp. 299-303.

[v] Cfr. Ivi, p. 299.

[vi] In un atto del notaio Giovanni Battista Filippello, datato 1565, è citata come «chiesa “noviter” fondata di Santa Maria Assunzione» (G. COSI, Notai leccesi del ‘500. Regesti degli Atti conservati presso la Biblioteca Provinciale di Lecce, Lecce 1999, p. 16). Infantino la riporta come «Dell’Assuntione della Vergine volgarmente detta La Chiesa Nuova» (G.C. INFANTINO, Lecce sacra, Lecce 1634 (ed. anast. a cura e con introduzione di P. De Leo, Bologna 1979), p. 25).

[vii] Nel 1472 e nel 1505 assegnava nome a un isolato di case ricadente nel portaggio Rudiae (Cfr. N. VACCA, op. cit., p. 577).

[viii] G. C. INFANTINO, op. cit., p. 25.

[ix] Cfr. A. Foscarini, Guida storico artistica di Lecce, Lecce 1929 (Ristampa a cura e con note di Antonio Eduardo Foscarini, Lecce 2002), p. 70 (p. 93); A. FOSCARINI, Lecce d’altri tempi. Ricordi di vecchie isole, cappelle e denominazioni stradali (contributo per la topografia leccese), in “Iapigia”, a. VI, 1935, p. 434; M. PAONE, Chiese di Lecce, cit., p. 299.

[x] Lo storico ricostruisce accuratamente la storia di questo pio luogo, tramite la consultazione di svariate fonti bibliografiche e documentazione archivistica (Cfr. Ivi, p. 332).

[xi] G.C. INFANTINO, op. cit., p. 25.

[xii] Cfr. M. PAONE, 2 I Teatini a Lecce, in Studi Teatini, inLa Zagaglia, a. VII, n. 25, pp. 27-59: pp. 37-56, Lecce 1965.

[xiii] L’altare è ricco di statue, e conserva una tela del pittore leccese Luigi Scorrano. Sulle pareti laterali vi sono affissi i quadri dell’Estasi di S. Pasquale Baylon attribuito da D’Orsi al pittore leccese Antonio Verrio e la S. Famiglia (Cfr. M. PAONE, 3 Notizie storico-artistiche sulla chiesa di S. Irene, inLa Zagaglia,  a. VII, n. 25, pp. 27-59: pp. 37-59, p. 37, Lecce 1965).

[xiv] M. PAONE (a cura di), Lecce città chiesa, Galatina 1974, p. 92.

[xv] San Gerardo Maiella (1726-1755), religioso della Congregazione del Santissimo Redentore. Beatificato da Leone XIII nel 1893, fu proclamato santo da Pio IX nel 1904.

[xvi] G.C. INFANTINO, op. cit., p. 25.

[xvii] Cfr. A.M. MORRONE, I pii sodalizi leccesi, Galatina 1986, pp. 111-112.

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5 Commenti a Le iscrizioni sulla facciata della Chiesa Nuova a Lecce

  1. Solo una piccola integrazione, più che correzione, al bel post con la cui autrice mi complimento. Florebit è futuro, dunque, il motto andrebbe tradotto “il giusto fiorirà come la palma”. Mi sembrava doveroso dirlo in in momento in cui cominciamo a scontare l’egoistica colpa di esserci troppo genuflessi davanti al principio del “tutto, subito e a qualsiasi costo (soprattutto quando quest’ultimo è a carico altrui…)”, concentrati solo sul presente e sciaguratamente dimentichi del futuro nostro e di quelli che verranno. Non sono un credente nel senso corrente del termine ma solo un testardo che ancora crede, forse illudendosi, nel trionfo, alla distanza, del buono e del meritevole. Per questo voglio augurarmi che ogni riferimento alla famiglia Palmieri (avrei detto lo stesso se il riferimento fosse stato, per assurdo, ai Polito…) e quindi, nell’iscrizione, un gioco di parole che, nonostante il futuro o, forse, proprio a causa sua, mal si adatterebbe alla sacralità del supporto, sia assolutamente arbitrario, perché penso che tutte le iscrizioni (comprese quelle non “ufficiali”, cioè i graffiti, da quelli pompeiani a quelli dei nostri giorni) tradiscono la voglia, spesso inconscia, di apparire e di poter restare nella memoria altrui, magari anche dopo la morte. E se, personalmente, sono attratto da un graffito pompeiano e, al limite, da uno contemporaneo, perché l’uno e l’altro mi mettono in contatto con le miserie di uno qualunque, ogni iscrizione, antica o moderna, che, in qualche modo, celebri il potere, di qualsiasi genere, suscita in me profonda diffidenza (ed esigenza di più accurati controlli…) perché sono tutt’altro che certo di leggere la registrazione veritiera di una grandezza che il più delle volte la storia dimostrerà essere stata discutibile, se non truffaldina.

  2. La ringrazio per l’integrazione Armando, è bello quando ognuno arricchisce con il proprio sapere le nostre piccole – grandi storie.

  3. Carissima Giovanna hai proprio un occhio di Falco. Che acutissima osservazione e che completezza di documentazione. I miei più sentiti complimenti per la magnifica descrizione. Un abbraccio e i miei auguri per l’anno nuovo. Con affetto Giovanni

  4. Grazie Giovanni per i complimeti alla mia “acutezza”. Purtroppo continuo a non capire quell’incisione con il numero 1639, se qualcuno potesse dare delucidazioni sarebbe fantastico

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