Una questione di jus patronato
Vicenda storica dell’altare di San Tommaso d’Aquino nella chiesa del S.mo Rosario e di San Domenico in Gallipoli
di Antonio Faita
Considerata la grande diffusione che, soprattutto dal XV al XVII secolo, ebbero in tutto il Meridione d’Italia gli ordini monastici non meraviglia affatto che a Gallipoli si fosse fondato un convento, con annessa chiesa dell’ “ordo predicatorum” ossia dei frati predicatori, comunemente chiamati «Domenicani», prendendo il nome del loro fondatore San Domenico.
Sin dal loro arrivo a Gallipoli, nel 1517 i Reverendissimi Padri edificarono il loro convento con la chiesa ad esso attigua sotto il titolo di Maria Santissima Annunziata, sulle rovine dell’antico monastero dei Padri Basiliani[1]. Dopo quasi due secoli l’originaria chiesa mostrò le offese del tempo e si rese necessario procedere alla sua riedificazione. L’impresa della ricostruzione della nuova chiesa, avvenuta nel 1696 e terminata nel 1700, fu certamente l’episodio più espressivo della presenza dei domenicani a Gallipoli nei secoli dell’età barocca. Della vicenda relativa l’abbattimento e la successiva ricostruzione della nuova chiesa, ad opera del “magister fabbricator” di Martano, Valerio Margoleo e del suo “clan” se ne è occupato, per la prima volta, in maniera ampia e dettagliata, lo storico Mario Cazzato, nel suo saggio del 1978[2].
Fino al 1684, però, nessun elemento lasciava intravedere la necessità di una sua ricostruzione, anzi, i frati avevano programmato di ampliare la “loro” cappella, intitolata a San Tommaso d’Aquino, occupando lo spazio di quella attigua