Dialetti salentini: cuteddha, ovvero la destinataria di una minaccia forse velleitaria

di Armando Polito

 

Credo di essere abbastanza mite e forse proprio per questo fin dall’infanzia mi ha fatto effetto l’espressione mo ti zzaccu pi cuteddha, locuzione oggi obsoleta e incomprensibile, ma ai miei tempi connessa con uno delle tante minacce con finalità educativa, che in concreto prevedevano l’uso di strumenti con effetti poco gradevoli. In casa mia, però, la mia cuteddha ha goduto di una sorta di immunità, ma solo perché in casa mia, all’epoca mio padre usava la curescia1,, nonostante fosse a portata di mano l’ugghina (vedi  https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/04/07/uno-strumento-educativo-per-bestie-e-per-figli-ribelli-2/) e in agguato il rischio che gli cadessero i pantaloni …

Oggi, a distanza di tanti anni, quell’espressione poi sentita rivolta anche ad adulti (anche nella locuzione nnu cuerpu alla cuteddha=un colpo sulla nuca), non mi fa, purtroppo, alcun effetto se non quello, sempre benefico, della curiosità di capire l’etimo di cuteddha.

Sento già qualcuno rimproverarmi di non essere ricorso a quello che nell’immaginario collettivo (molto ristretto …) di chi mi legge è quasi il santone del dialetto salentino, per quante volte l’ho citato. Ebbene, per decenni non ho battuto ciglio di fronte a quanto si legge nel suo Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto), Congedo, Galatina, 1976, ristampato nel 2007.

 

 

Dunque la voce corrisponderebbe ad un inusitato (c’è codino, ma indica altro dettaglio anatomico, almeno per chi, essendo tutt’altro che calvo, può esibirlo) italiano codella, diminutivo di coda.

Debbo dire che per decenni non ho battuto ciglio di fronte a queste schede, ma, forse perché il numero di battiti residui è inversamente proporzionale al rincoglionimento, mi avventuro in un lancio, sperando di non aver dimenticato di indossare il paracadute …

Intanto il gemellaggio cuteddha/cùtula porta alla mia forse disastrata mente il detto cce cc’entra lu culu cu lli quattru tèmpure? o la variante sta ‘mbièschi lu culu culli quattru tèmpure?, rivolto in tono di rimprovero a chi ha appena fatto confusione con due argomenti assolutamente inconciliabili, anche per l’antiteticità dei settori cui appartengono: il profano (culo), che tutti hanno non in senso metaforico e il sacro (Quattro tempora), ormai dimenticate e sepolte. Se, infatti, la cùtula è dislocata nella regione lombo-sacrale  e corrisponde all’osso sacro (ciò che resta della coda che avevamo …), la cutèddha, invece, si trova nella regione cervicale, ma non è una vertebra e, almeno nell’uso di Nardò, equivale a collottola. Questa voce è da collo attraverso un *collotta, come pallottola è da palla attraverso un *pallotta, a sua volta da palla.  Ora, visto che è in ballo la coda, debbo aprire una parentesi sul mondo delle cosiddette bestie, a molte delle quali noi umani, cosiddetti animali superiori, la tagliamo …

Chi ha avuto, come me, l’occasione e il privilegio di osservare mamma gatta (o il compagno, con lei presumibilmente morta) trasportare un cucciolo per metterli al sicuro (non per gettarlo in un cassonetto …), avrà notato, all’inizio con legittima apprensione, la tecnica utilizzata e gli effetti visibili: il cucciolo, in pratica, appare sospeso per la pelle del collo ai denti della madre.

Credo, allora, che cuteddha non sia diminutivo di coda [(dal latino cauda(m)], ma di cute [(dal latino cute(m)] e che questa stessa voce abbia giocato al maestro un brutto scherzo per la seconda volta, a differenza della prima, in cui è plausibile un errore di stampa, per colpa dei suoi informatori (per la prima vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/06/23/quando-il-rohlfs-inciampo-in-un-sassolino-del-salento/).

Credo, inoltre, che la conferma finale della confusione tra cuteddha e cùtula sia da ravvisare nel tarantino cureddha dal Rohlfs considerato come variante di cuteddha, ipotizzando, forse, il fenomeno del rotacismo tipico del napoletano (caduta>caruta), dove, però, è coinvolta la dentale d, per cui si dovrebbe supporre che a cureddha si sia giunti attraverso l’altra variante cudeddha. Lascio da parte queste mie acrobazie fonetiche a beneficio reverenziale altrui, per dire che cureddha non sarebbe diminutivo di coda ma del latino còrium (=cuoio, pelle di animale), con evidente affinità semantica con cute, il che renderebbe fallace il rinvio a cùtula di tutte le altre voci registrate al lemma cuteddha. Se è così, cuteddha sarebbe il frutto di una metafora mediata dal mondo di quegli essere ai quali non a tutti riesce facile attribuire, se non sentimenti, almeno emozioni e che non sanno cos’è una metafora semplicemente perché non ne hanno bisogno e, in ogni caso, non la scomoderebbero per indicare con lo stesso concetto un gesto delicatamente protettivo, quale non è quello di un uomo che desiderasse afferrare per la collottola, sollevare di peso e spostare un altro uomo. Pura velleità, tutta e solo umana …

 

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1 È il nome dialettale della cinghia dei pantaloni ed ha il suo esatto corrispondente nell’italiano correggia e, come quest’ultimo, è connesso con il latino corium (=cuoio), che entrerà in campo più avanti. Dunque, nonostante fosse uno strumento di correzione. non ha nulla a che fare con correggere e si può facilmente prevedere come è destinato a non tornare di moda e come correggere, quale etimo non correrà il rischio di essere scomodato nemmeno dalla paretimologia.

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