Libri| Un genovese a Gallipoli. La visita pastorale di mons. Pelegro Cibo (1564 – 1567)

 

di Bruno Pellegrino*

 

A mezzo secolo e più dalla fondazione, la Società storica di Terra d’Otranto accoglie nella collana Fonti e Documenti la pubblicazione degli Atti della Visita pastorale del vescovo di Gallipoli Pelegro Cibo, condotta negli anni immediatamente successivi alla chiusura del Concilio di Trento. Al testo latino, edito con ogni accorgimento filologico e accompagnato dall’utile traduzione a fronte in lingua italiana, Elio Pindinelli premette un denso profilo biografico di mons. Cibo al quale non può non rivolgersi subito l’attenzione del lettore richiamata da titoli come Pelegro Cibo e il mistero della sua morte e La Famiglia Torriglia.

Attraverso una scrupolosa esplorazione di fonti individuate in biblioteche ed archivi pubblici e privati, dalla Città del Vaticano a Genova, da Napoli a Bergamo e Milano, oltre, naturalmente, l’Archivio della curia vescovile di Gallipoli e la Biblioteca del Comune di Gallipoli, della interessante personalità del “genovese a Gallipoli” vengono ricostruiti i movimenti concreti nel corso dell’attività pastorale nella sede affidatagli e vengono percorsi gli importanti precedenti passaggi legati, in un orizzonte di ampissime dimensioni, al processo delle nomine dei vescovi decise in un campo in cui si muove la grande politica imperiale spagnola e la crescente forza economica e finanziaria delle classi egemoni della Repubblica di Genova, dalle quali il vescovo proveniva.

La visita pastorale – è noto – risale ai tempi apostolici ed è del VI secolo la sua presenza quale istituto giuridico nel concilio provinciale di Tarragona del 516, radicata in una pratica ormai consuetudinaria in Italia e da quell’anno in via di consolidamento e diffusione specialmente sotto il pontificato di Gregorio Magno toccando ormai anche la Francia. Dal Decretum di Graziano (1150 circa) in poi si entra nelle compilazioni autentiche, delle quali si hanno attestazioni in alcune diocesi della penisola a partire dal XIII secolo, per diventare un po’ più diffuse nel XIV e più frequenti nel XV, fino a giungere alla decretazione tridentina che va a ricadere su una nuova sensibilità episcopale e sulle esigenze di riforma della chiesa sancite nei canoni del Concilio.

Seguendo questa linea mons. Cibo decreta di iniziare la visita personale e locale per il 2 maggio 1564, “con l’obiettivo dichiarato -annota Pindinelli- di agire per la riforma dei presbiteri, del clero, dei benefici e delle cappellanie, e così per essere informati della loro vita, dei costumi e dell’onestà nonché nel modo in cui sono gestiti e curati da loro i servizi ecclesiastici e i benefici”. Avvertendo che in conseguenza avrebbe corretto e sanzionato gli ignoranti e i negligenti, mentre avrebbe elogiato e promosso coloro che avesse trovato adeguati esperti della vita, onesti, diligenti, degni di lode nel Signore.

L’importanza della documentazione presente negli atti delle visite pastorali ha fatto si che la storiografia tout court, non solo quella specificamente dedita alla storia religiosa, ma quella interessata a ricostruire a tutto tondo la storia della società nella complessità dei vari aspetti, da quello economico a quello demografico, dalla produzione culturale a quella artistica, dalla mentalità alle caratteristiche etnologiche, ha potuto registrare la costituzione di veri e propri centri di ricerca specificamente dedicati proprio alla pubblicazione di questa fonte, per tanti aspetti preziosa.

Del percorso compiuto dagli storici e dai ricercatori attenti a questa fonte già nel 1985 facevano un bilancio Umberto Mazzone e Angelo Turchini pubblicando presso il Mulino Le visite pastorali. Analisi di una fonte, cui fece seguito un fondamentale seminario tenutosi a Trento nell’ottobre 1993 Visite pastorali ed elaborazione dei dati. Esperienze e metodi, i cui atti, curati ancora presso la casa editrice il Mulino da Cecilia Nubola e Angelo Turchini, raccoglievano le esperienze realizzate in materia, anche in dialogo con altre esperienze europee, dal Trentino alla Sicilia, dal Piemonte al Veneto.

In particolare, proprio nel Veneto a Vicenza, nel 1975 era stato fondato “l’Istituto per le Ricerche di Storia Sociale e Religiosa” come prosecuzione e sviluppo del “Centro studi per le fonti della storia della Chiesa nel Veneto”, sorto a Padova nel 1966 presso l’Archivio di Stato, con lo scopo di registrare le visite pastorali dei vescovi veneti, le cui edizioni cominciarono ad apparire in apposita collana fondata da Gabriele De Rosa presso le romane Edizioni di Storia e Letteratura. Mi fu dato di recensirne in “Quaderni storici” del 1970 i primi volumi dedicati alla diocesi di Treviso e di avvicinarmi con sempre maggiore attenzione alle sollecitazioni metodologiche provenienti dal fondamentale Vescovi popolo e magia nel Sud, che nel 1971 lo stesso Gabriele Dc Rosa aveva dedicato alla storia sociale e religiosa delle regioni meridionali italaliane, volume nel quale campeggiava il saggio Problemi religiosi della società meridionale nel Settecento attraverso le visite pastorali di Angelo Anzani.

Già dallo stesso anno 1971, giovane docente nell’ateneo salentino, ritenni mio dovere prestare attenzione all’importante fonte assegnando delle tesi di laurea e coltivando il conseguente necessario dialogo con i responsabili degli archivi delle dieci diocesi facenti parte dell’antica Provincia di Terra d’Otranto, dalla cui unanime disponibilità ottenni che venissero pubblicati nel 1984, nel volume collettaneo Terra d’Otranto in età modema. Fonti e ricerche per la storia religiosa e sociale di Terra d’Otranto, gli inventari sommari degli archivi vescovili ed arcivescovili compresi nei confini nelle tre province ecclesiastiche di Otranto, Brindisi e Taranto.

Ne furono autori ecclesiastici e studiosi illustri da Vittorio Boccadamo (Otranto) a Raffaele De Simone (Lecce), da Vittorio Luigi Piccinno (Gallipoli) a Emilio Mazzarella (Nardò), da Salvatore Palese (Ugento) a Rosario Jurlaro (Brindisi), da Luigi Roma (Ostuni) ad Emanuele Tagliente (Taranto), da Luigi Benvenuto (Oria) a Cosimo Damiano Fonseca (Castellaneta), in quell’anno – 1984 – Magnifico Rettore dell’Università della Basilicata. Fa piacere ricordare che a quella divulgazione delle disponibilità archivistiche seguì, nel 1990, il volume di Vittorio Boccadamo, Terra d’Otranto nel Cinquecento. La visita pastorale dell’achidiocesi di Otranto del 1522.

Comparendo nel citato Terra d’Otranto del 1984, tra le fonti diverse, gli elenchi delle visite pastorali presenti nei singoli archivi, nelle pagine dedicate a Gallipoli, curate da don Vittorio Luigi Piccinno, l’elenco veniva inaugurato dalla visita pastorale di Giovanni Montoya de Cardona del 1660.

Nessuna notizia dunque della visita di mons. Cibo, i cui atti vengono qui pubblicati da Elio Pindinelli, che ha il grande merito di non essersi arreso all’iniziale presa d’atto che la visita risultasse dispersa già alla fine degli anni ’50 del ‘900 e di essersi adoperato a localizzare con esperta e intelligente azione investigativa varie trascrizioni fatte dal canonico Vincenzo Liaci con la collaborazione del canonico Sebastiano Verona giungendo, con un’attenta opera critica di collazione dei vari testi, all’edizione della quale qui il lettore può disporre col valore aggiunto della traduzione a fronte, e dell’apparato documentario inedito relativo alla diocesi e al vescovo Cibo trascritto in appendice.

Ad impreziosire l’opera l’indice analitico di tutte le Chiese e cappelle contenute nella visita e l’indice dei nomi, luoghi e toponimi, che è uno strumento utilissimo per chi persegue gli studi storici.

 

* Professore Emerito di Storia Moderna

Elio Pindinelli, Un genovese a Gallipoli. La visita pastorale di mons. Pelegro Cibo (1564–1567), Società Storica di Terra d’Otranto, Collana “Fonti e Documenti”, pp. 230, in ottavo, con illustraz., stampato da CMYK, Alezio 2023.

 

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Un commento a Libri| Un genovese a Gallipoli. La visita pastorale di mons. Pelegro Cibo (1564 – 1567)

  1. Queste opere possono anche servire per proseguire le smarrite memorie del vissuto cristianesimo (ecclesiarum) che moltitudini clericorum vorrebbero “parce sepulto”.

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