di Salvatore Coppola
Ricorre oggi l’80° anniversario dell’armistizio dell’8 settembre, che segnò – secondo alcuni storici – la morte della Patria.
L’8 settembre rappresenta, piuttosto, l’agonia delle classi dirigenti dell’epoca (monarchia e alte gerarchie militari che avevano contribuito, insieme con il governo fascista, allo sfascio della Nazione). Dopo l’ambiguo comunicato del capo del governo Pietro Badoglio («le forze italiane reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza»), Vittorio Emanuele III, Badoglio, ministri, generali e alti ufficiali presero la via dell’ignominiosa fuga verso Pescara e Brindisi lasciando le forze armate senza direttive precise.
Divennero spasmodiche la ricerca di abiti borghesi, l’assalto ai treni, la dispersione nelle campagne. Nei giorni successivi all’8 settembre crollò tutta l’organizzazione militare che – a parere di molti autorevoli storici – avrebbe potuto opporre una valida resistenza ai nazisti che fecero grandi retate di militari sbandati che rinchiusero in vagoni blindati e inviarono ai campi di concentramento.
Più di settecentomila militari, restii a prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica Sociale di Mussolini, furono internati nei lager nazisti, privati di ogni forma di tutela che le Convenzioni internazionali garantivano ai prigionieri di guerra. La reazione nazista portò, già nei primi giorni successivi all’8 settembre, a crudelissimi atti di rappresaglia. Il sacrificio di coraggiosi ufficiali, sottufficiali e militari semplici, cui si affiancarono molti civili, insieme con quello dei militari di stanza a Cefalonia e Corfù, massacrati dai tedeschi, segnò il riscatto della Patria che fu alimentato dal vento del Sud che iniziò a spirare, a partire dal giorno successivo all’armistizio, dalla terra di Puglia, per poi divampare nelle zone del centro nord occupate dai nazisti.
Non si fa retorica se si ricorda che i primi episodi che segnarono la guerra di Liberazione videro protagonisti militari e civili, non solo a Roma, nella zona di Porta San Paolo, ma anche a Bari e in altre città della Puglia (Ascoli Satriano, Bitetto, Barletta, Candela, Castellaneta, Manfredonia, Serracapriola, Trani, Vieste) che, nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre, si liberarono dall’occupazione nazista a costo di enormi sacrifici in termini di vite umane. Quegli episodi alimentarono il vento del Sud che, nei mesi successivi, avrebbe portato all’organizzazione del Corpo Volontari della Libertà nell’Italia occupata.
Il Salento diede il proprio contributo ad attizzare la fiamma della Resistenza. Il 12 settembre 1943, il Fronte Nazionale di Liberazione del Salento, a seguito delle notizie giunte da Bari dove la popolazione civile e alcuni reparti militari avevano dimostrato «la volontà di resistere», lanciò un proclama per spronare i giovani a costituire una Legione Volontaria «a servizio della Patria». In quel proclama, l’antifascismo salentino individuò nella collaborazione tra militari e civili l’asse portante della guerra per la liberazione dell’Italia dal giogo nazifascista («Esercito e Popolo concordi e stretti contro le minacce tedesche, contro le insidie del residuato fascista»).
Il 18 settembre un proclama indirizzato ai «Giovani d’Italia» redatto dai Comitati Antifascisti di Puglia spronava a combattere il nemico nazista «in nome della libertà» e di quanti, negli anni della dittatura, avevano patito confino, esilio, carcere, segregazione e soprusi di ogni genere. Non solo vento del Nord, come per decenni è stata presentata la guerra di Liberazione, ma compenetrazione di esso con l’altrettanto importante vento del Sud che raggiunse la propria epopea con le quattro giornate di Napoli (28 settembre – 1 ottobre 1943).
Negli ultimi decenni la ricerca storiografica ha fatto emergere quanto ricca e articolata sia stata la partecipazione dei salentini alla guerra di Liberazione. Ai tanti che combatterono e morirono nelle zone dell’Italia centro settentrionale militando nelle formazioni partigiane, occorre con reverente omaggio aggiungere il sacrificio dei figli del Salento che furono massacrati alle Fosse Ardeatine (i civili Ugo Baglivo da Alessano, Emanuele Caracciolo da Gallipoli, Antonio Pisino da Maglie, e i militari Ferruccio Caputo da Melissano, Antonio Ayroldi da Ostuni, Federico e Mario Carola da Lecce, il colonnello dei Carabinieri Ugo De Carolis, tarantino di adozione).
Il contributo dei salentini alla Resistenza, iniziata a Roma e a Bari il giorno dopo l’armistizio dell’8 settembre, è stato degno delle migliori tradizioni del Risorgimento.