Il relitto del Travancore

di Luigi Tarantino

Il sette cavalli della piccola imbarcazione diede le ultime sbuffate e si fermò, non poteva avventurarsi oltre quel mare che si increspava fino a formare un banco compatto di spuma. Nicola, dopo aver lanciato l’ancorotto, si allacciò la muta e si lasciò scivolare in quei flutti che sembravano inghiottire ogni cosa. Sulla prua della barchetta Giorgio si allacciava il coltello marino fissandolo bene alla gamba in modo che non scivolasse via. Quel giorno non aveva molta voglia, ma il tuffo improvviso che fece, per vincere la pigrizia, gli diede animo e gli lasciò in corpo una meravigliosa sensazione di volo. Scese sempre più giù in quell’abisso marino che sembrava aprirsi  e poi chiudersi dietro alle sue pinne. Poi rallentò. Giorgio sapeva bene che scendere troppo velocemente non era prudente. D’altro canto Nicola, che si era gettato in acqua prima di lui, era già quasi sul fondale e Giorgio voleva raggiungerlo presto. Diede alcuni colpi di pinne più energici e avanzò di alcuni metri squarciando al centro un banco di pesci che si apriva in una silenziosa esplosione. Nicola si era fermato sul fondo sabbioso poco più avanti e con grandi e lenti gesti chiamava Giorgio che si attardava a fare capriole nell’acqua fredda e limpidissima.

“Che matto.” pensò Nicola togliendosi le pinne per poter assaporare coi piedi nudi  quella sabbia bianchissima. Infine Giorgio giunse sul fondale e si guardò intorno: poco distante vide un ammasso di rocce che si diradavano  e poi assumevano una forma strana, quasi come se volessero indicare una direzione precisa. Giorgio incuriosito seguì le tracce di quei massi e i riflessi di luce filtrata dall’acqua creavano strani colori, mentre agli occhi dell’uomo si presentava un paesaggio quasi irreale. E malgrado s’immergesse ormai da anni,  ogni volta quello spettacolo lo stupiva e gli sembrava sempre diverso, come se lo vedesse per la prima volta.

A pochi metri da loro il relitto si presentò, spettrale.

Il “Travancore” era un piroscafo inglese che nel 1880, a causa della nebbia, aveva urtato uno spuntone di roccia ed era naufragato poco a largo dell’insenatura Acquaviva. Pare che il comandante e il suo vice furono considerati responsabili perché la nave non era stata governata “with proper and seamanlike care”, ovvero con la necessaria accortezza propria degli uomini di mare.

Insenatura Acquaviva

 

Nicola si era fatto indicare da alcuni pescatori locali la posizione del relitto e non fu difficile trovarlo. I fondali in quella zona non superavano i 15 metri. I due rimasero a lungo intorno al vecchio piroscafo, quasi leggendario per gli abitanti del luogo che si erano tramandati per generazioni la vicenda avvenuta circa 140 anni prima. Dopo un po’ i due uomini si ricongiunsero e, fattosi dei segni convenzionali, cominciarono a risalire. Emersero poco distanti dalla barca, che si dondolava in preda ai capricci delle onde.

“Ahhhrf” disse Nicola togliendosi il respiratore.

I due uomini si issarono sulla barca e, fatto ripartire il motore,  si diressero verso la riva, la costeggiarono per un po’, poi, avvistata la piccola insenatura, che qualcuno fantasticava fosse quella del mitico approdo di Enea, vi si infilarono. Alcuni gozzi erano ormeggiati in modo disordinato, i due uomini faticarono a trovare il posto per ormeggiare la loro barca, poi scesero a terra.

Superata la scogliera, si giungeva in una piccola zona alberata, poi un ripido sentiero indicava la direzione da prendere. I due lo seguirono e disegnando ampie curve  salirono lungo il pendìo. Poco lontano si poteva scorgere un casolare col tetto spiovente, i due uomini si voltarono e guardarono verso la barca, che si poteva ancora scorgere tra gli ailanti che ondeggiavano al vento, poi proseguirono e notarono più da vicino la costruzione:  intorno aveva palizzate pitturate di azzurro e persiane socchiuse anch’esse di colore azzurro.

Giorgio tolse la camicia e se la legò in vita, rimanendo con una maglietta chiara.

“Hai caldo eh?” rise Nicola che aveva addosso solo una canottiera; poi andò avanti e sentiva Giorgio un po’ in affanno dietro di lui mentre salivano il pendìo  verso la birreria della quale ora appariva l’insegna scritta a mano.

Dentro non c’era molta luce, il locale era arredato con tavolacci rustici di legno massiccio, si poteva uscire poi su una terrazzina all’ombra di un pergolato che dava l’idea di frescura, i tavoli erano unti  dalle scolature di birra il cui odore si spandeva nell’aria e lasciava un senso di stantìo. Poco distante due uomini erano seduti a un tavolo e chiacchieravano animatamente in inglese mentre gustavano grossi boccali di birra scura; non era raro incontrare inglesi da quelle parti. Da qualche anno infatti alcuni cittadini britannici facoltosi stavano acquistando vecchie case signorili, al fine di passarci l’estate dopo averle ristrutturate. Perfino l’antico convento dei padri conventuali annesso al santuario della Madonna di Costantinopoli, che molti del paese avrebbero voluto pubblico, era caduto in mano loro. E ora era diventato un b&b di lusso.

I due presero posto e sospirarono, quasi grati a loro stessi di potersi finalmente riposare. Al rumore delle sedie mosse una ragazza sbucò dalla stanza accanto e si avvicinò,

“due medie chiare” ordinò Nicola, “per te va bene Giorgio?” chiese,

“certamente” disse Giorgio, “lo sai che mi piace la birra”.

La ragazza rientrò.

“Non c’è niente che superi la bellezza di un fondale marino eh?” disse Nicola “e quello che si prova ogni volta che  ci si immerge è sempre una sensazione nuova, un’ebbrezza che ti rimane addosso e ti fa sentire bene”,

“già” rispose Giorgio “è davvero meraviglioso”.

“Che ne pensi di quello che abbiamo visto in fondo al mare oggi?” Chiese Nicola,

“Beh, non tutti i giorni ci si può trovare di fronte alla storia.” rispose Giorgio,

“Quel Piroscafo –riprese Nicola- proveniva da Alessandria d’Egitto e trasportava la mitica “Valigia delle Indie”,

“Valigia delle Indie? “ ripeté perplesso Giorgio.

La ragazza tornò con passi lenti e con due boccali di birra in mano, li posò sul tavolo e si allontanò rapidamente.

“Non è molto socievole.” disse Giorgio, e la ragazza parve averlo udito arrestandosi per un attimo e poi proseguendo verso l’altra stanza;

“è una ragazza seria” ironizzò Nicola,

“forse è sposata” azzardò  l’amico,

“no, non porta la fede” concluse Nicola.

Ben presto il locale si riempì di gente e la cameriera si perse tra i tavoli e i boccali di birra.

“La Valigia delle Indie -riprese Nicola- era considerata una specie di anello di congiunzione del commercio tra l’Estremo Oriente e l’Europa, in realtà era un mezzo di trasporto privato appartenente alla ‘Peninsular and Oriental Navigation Company’ che collegava le Indie all’Inghilterra senza circumnavigare l’Africa.”

“Interessante” disse Giorgio,

“Vero –riprese Nicola- oltre alla posta, la Valigia delle Indie trasportava anche passeggeri ma soprattutto merci, per lo più cotone, ma anche zucchero, caffè e stoffe varie…”

“Che fine ha fatto il carico”? Chiese Giorgio.

“Per la maggior parte è andato perduto -rispose Nicola- ma pensa che gli abitanti del luogo svegliati nel cuore della notte dal fracasso del naufragio e dai disperati colpi di cannone del Travancore, aiutarono molta gente a mettersi in salvo ma i più scaltri si accaparrarono anche parte della merce”.

“Non è rimasto molto della nave” disse Giorgio.

“In effetti, a quel che ho sentito dire, tutto ciò che si poteva recuperare è stato poi riutilizzato, riciclato in qualche modo. Fu una  gran brutta storia, ma la compagnia era assicurata e l’incidente fu dimenticato in fretta. Non qui però, sai com’è nei piccoli paesi come questo no?  Non accade mai nulla e questo è stato un evento epocale destinato a essere ricordato per decenni. Non solo a Marittima, ma anche nella vicina Castro”.

I due amici rimasero per un po’ in silenzio a bere  e a immaginare visivamente la scena del naufragio, quando il Travancore   uscito fuori rotta a causa dei marosi e della nebbia, si trova di colpo di fronte allo sperone dell’Acquaviva e non può far nulla per evitare la collisione.

Giorgio e Nicola stavano bene, erano amici, sapevano che quel giorno era trascorso e non dovevano fare altro che tornare a casa, ma l’indomani si sarebbero rituffati e avrebbero condiviso ancora i colori del mare.

“Quando devi tornare all’università?” chiese Nicola,

“tra tre giorni,” rispose Giorgio “prenderò l’aereo da Brindisi”.

“Speravo ti fermassi un po’ di più.”

“devo istruirmi” disse Giorgio, “Dio santo Nicola, sarebbe bello andare in giro insieme per i mari delle isole joniche qui di fronte a noi, con soltanto una muta, una maschera, un paio di jeans e un pigiama. E poi fregarsene di tutto il resto”.

“Si, sarebbe bello”, “già”.

Bevvero l’ultimo sorso di birra e rimasero un po’ in silenzio,

Giorgio aveva poggiato la testa all’indietro sulla spalliera della sedia , “ho la testa un po’ intontita.”

“è la birra” disse Nicola “ti ha sempre fatto uno strano effetto”,

“si lo so” disse Giorgio “ne prendiamo ancora?”

“no, meglio di no” rispose Nicola.

“Come sta Elena”? chiese Giorgio risollevando la testa con il mento tra le mani e i gomiti poggiati sul tavolo,

“non c’è male” rispose Nicola distrattamente,

“Ritornerete a stare insieme?”

“penso di si”,

“A Elena non piace il mare, vero?”

“No, credo di no”.

Intanto gli inglesi si alzarono e , dopo aver pagato, uscirono.

“Non vorrei mai essere un inglese” disse Giorgio,

“io si” disse Nicola “forse riuscirei a farmi coinvolgere meno dalle situazioni.”

“forse…” rispose Giorgio. “Glielo diciamo che in fondo a quel mare di fronte a noi c’è il relitto di un piroscafo che portava la loro bandiera?” Ironizzò Giorgio.

“Ma lascia stare Giorgio” rispose Nicola.

“Sarà difficile d’ora in poi tornare a esplorare fondali insieme” disse Giorgio, “dobbiamo andarci!” “va bene”, “certo che ci andremo” tornò a dire Nicola.

Poi uscirono dal locale, Il caldo forte era passato ormai, e il sole era basso sull’orizzonte,

Giorgio si rimise la camicia, Nicola alzò gli occhi tra gli alberi: un gatto bellissimo, grigio e a pelo corto, stava saltando da un ramo all’altro, confuso.

I due uomini ripresero il sentiero in direzione del mare, l’insenatura era di una bellezza struggente, si voltarono un attimo a guardare il sole che stava per tramontare, poi si diressero verso la barca.

 

Nota: Chi volesse approfondire veda Alfredo Quaranta, La valigia delle Indie, ed. Capone.

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3 Commenti a Il relitto del Travancore

  1. bel racconto però…probabilmente i due amici hanno solo immaginato di immergersi…..perchè del Travancore esiste quasi nulla da oltre un secolo, quindi sicuramente non esiste “il relitto” e non so come “[…]rimasero a lungo intorno al vecchio piroscafo[…]” perché è rimasta solo qualche lamiera e qualche grumo di ferraglia completamente rivestiti di comcrezioni calcaree e madrepore (vedi i rilievi che ho eseguito personalmente e pubblicato sul libro del prof. Alfredo Quaranta!): Ho fatto almeno 50 immersioni sui resti irrilevanti del Travancore ed ho recuperato un centinaio di reperti che aspettano un museo per essere donati ed esposti ( ho anche eseguito e offerto gratis un progetto di museo specifico [ Il Museo del Naufragio ] agli amministaratori di Marittima che sembravano,per motivi elettoralistici,interessatissimi alla realizzazione, che poi evidentemente non fecero mai)…a Poggiardo è conservato da un privato il cannoncino che sparò il segnale del naufragio, qualche sommozzatore professionista della zona conserva molti reperti bellissimi, altri hanno la campana o parte dei servizi di piatti,posate d’argento e tazze marchiati. A Marittima molte nonne (compresa la mia) si fece il corredo con le balle di cotone che per giorni fluttuarono sulle onde, tra Castro, l’Acquaviva e l’Arenosa…… (ps: se vi interessa vi posso inviare la foto di un dipinto, conservato al Maritime Museum di Greenwich, inviatomi personalmente dal direttore, che raffigura il piroscafo alla fonda in rada) saluti

    • Si, certo, l’immersione è totalmente immaginaria. E’finzione letteraria, solo un pretesto per ricordare l’evento.

  2. L’immaginazione quando non anticipa segue la realtà, in particolare quando se ne perde la memoria. Per questo è sempre più lodevole la “Fondazione” che prosegue e l’una e l’altra nella fertile Terra d’Otranto!

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