Il castello di Francavilla (quarta ed ultima parte)

di Mirko Belfiore

I numerosi vani del piano nobile si dispongono intorno all’ambiente più importante di tutto l’edificio: la Sala del Camino. Una sontuosa volta a padiglione coperta interamente da un affresco del 1928, opera dell’artista napoletano G. Vollono, lo stesso già presente nella chiesa dei Padri Liguorini di Francavilla, si profila lungo tutto l’ampio soffitto, poggiandosi su diciotto pennacchi e altrettanti peducci. L’unicità della superficie sta nella ricca decorazione a foglie d’oro che riesce a fondere la raffinatezza degli elementi a finto stucco (intrecciati, decorazioni a ovoli o a foglie d’acanto, rosette, conchiglie, araldi, putti, animali mitologici) e la luminosità del prezioso metallo, il tutto inserito nelle ampie quadrature della parte centrale e dei pennacchi.

Sala del camino (Foto Alessandro Rodia)

 

Al centro, un gruppo di figure di suggestione classicheggiante, riprese dal Pantheon greco, ci propongono il dio Apollo posto alla guida del carro alato tirato da quattro cavalli e un gruppo di splendide Muse, le quali cantando e danzando festeggiano il trionfo della luce sulle tenebre. In epoca moderna questo grande ambiente doveva essere la sala di rappresentanza dove il Principe feudatario dava udienza e dove si svolgeva buona parte della vita di corte.

Sala del camino, Trionfo di Apollo (G. Vollono, XX secolo, affresco) (Foto Alessandro Rodia)

 

Lungo le pareti si inseriscono tre interessanti manufatti, superstiti di quel lusso che in passato si diffondeva in tutta la residenza. Da una parte notiamo un raffinatissimo caminetto seicentesco scolpito in pietra leccese e risalente probabilmente allo stesso periodo del succitato loggiato posto sul lato Est della residenza. Al centro campeggia lo stemma bipartito degli Imperiale-Spinola sormontato da una corona, araldo che permette di inserire l’opera in un intervallo di tempo che va dal 1576 al 1623, periodo che coinvolge le signorie di Michele I e Davide II, rispettivamente consorti di Maddalena Spinola e Veronica Spinola. Il camino è stato realizzato con profili a “padiglione” ed è caratterizzato da una facies riccamente decorata con motivi fitoformi e zooformi che riprendono pedissequamente gli ornamenti già osservati nei frontoni e negli stipiti del ballatoio. Balzano subito all’occhio le due figure femminili poste di profilo e riproducenti le Arpie, divinità della mitologia greca, che insieme alla pigna posta in alto concorrono a sostenere lo scomparto centrale posto a mo’ di gonfalone. Quest’ultimo è delineato nei contorni da un nastro decorato a foglie d’acanto che a sua volta contorna il massiccio blasone centrale e sul quale si sovrappongono un pugno di melograni, allegoria di abbondanza e fecondità. Il tutto poggia su un ampio frontone sempre racchiuso fra due mensole su cui campeggiano nuovamente gli stemmi della famiglia Imperiale e Spinola e dove trovano posto due uccelli dalle forme fantastiche che si allungano nel tentativo di abbeverarsi verso un ampio bacile, nel quale vi è immersa una figura maschile.

Camino monumentale (Foto Alessandro Rodia)

 

Dall’altro lato troviamo un imponente dipinto incassato nella parete e riproducente l’Ultima Cena, opera proveniente dal refettorio dell’ex complesso scolopico di San Sebastiano. La sua presenza in questa sala è spiegabile con il fatto che la stessa fu qui trasportata dopo la soppressione del suddetto plesso conventuale, avvenimento intercorso durante il periodo della dominazione napoleonica (XIX secolo) diventando, come tanti altri manufatti, parte dell’arredo del castello e quindi proprietà dell’amministrazione civica francavillese. Per la tematica affrontata e per l’impostazione prospettica ricercata, l’intera opera ruota attorno alla figura di Gesù Cristo e al momento in cui lo stesso Figlio di Dio annuncia l’istituzione dell’Eucarestia. Il Cristo è avvolto in un panno color blu oltremare che insieme al rosso porpora dell’enorme drappo posto a coronamento del dipinto rimanda all’iconografia mariana. Sulla testa del Cristo, un gruppo di puttini stringe in mano spighe di grano e grappoli d’uva, altra metafora riferibile al corpo e al sangue di Cristo. I Dodici Apostoli prendono posto lungo tutto il perimetro della ricca tavola imbandita, la quale è illuminata dalla fioca luce di alcune candele e su cui sono disposte stoviglie e un succulento agnello arrosto, a sua volta simbolo del sacrificio. Gli stessi astanti sono disposti a gruppi di tre ad eccezione di due figure in particolare, San Giovanni Evangelista accovacciato vicino al Cristo e Giuda Iscariota, in primo piano, il quale tenta di nascondersi alla vista del Messia e oltre a essere indicato da uno dei suoi compagni, stringe fra le mani il famoso sacchetto con i trenta denari, prova del suo tradimento. All’intenso cromatismo in chiave veneta, in cui seppe discretamente cimentarsi l’autore ancora ignoto (forse Diego Oronzo Bianco) bisogna sovrapporre l’uso un po’ scolastico della prospettiva che per lo meno è resa con più ampio respiro grazie dall’introduzione dei due punti di fuga. Il primo si apre sull’angolo sinistro e presenta una balconata affollata mentre dall’altro lato una piccola cucina si apre fra stoviglie e vivande e vede un paio di serve indaffarate nella preparazione dei pasti.

Sala del camino, Ultima cena (Anonimo, XVII secolo, olio su tela) (foto Alessandro Rodia)

 

A queste due opere artistiche va aggiunta la pregevole specchiera posta sopra un massiccio arredamento dalle tinte corvine con alcuni fregi ripresi dalla decorazioni del vicino caminetto e un enorme stemma della città di Francavilla incastonato nel pavimento: D’argento, all’albero di ulivo con la chioma verde e con il tronco al naturale, nodrito a metà altezza nella campagna di verde, attraversante, la campagna caricata dalle lettere maiuscole F e V, una a sinistra, l’altra a destra, di nero.

Da segnalare, fra i vari ambienti di passaggio ormai svuotati degli antichi arredi, la Sala di San Carlo (in ricordo del cardinale milanese Carlo Borromeo, già feudatario della città), ambiente che in passato ospitava l’ufficio del Sindaco e che in precedenza poteva essere ricondotta a una delle camere da letto dei Principi proprietari. Ad essa aggiungiamo la Sala dedicata ad Antonio Mogavero, insigne musicista e compositore francavillese, attivo presso la corte degli Asburgo di Spagna a cui è dedicata un’epigrafe posta su una delle pareti. In passato in questa sala furono allestiti gli scranni in legno volti a ospitare il Consiglio Comunale, periodo in cui venne realizzato anche l’elegante soffitto a cassettoni donato da Gildo Palazzo (XX secolo) e dove recentemente è stata aggiunta una particolare lavorazione del pavimento con impresse le note dello spartito dell’Inno alla Gioia di Beethoven.

Sala Mogavero (foto Alessandro Rodia)

 

Dell’antico arredo pittorico sono sopravvissuti due imponenti ritratti di famiglia riproducenti Andrea I e Michele III Imperiale, ora in pessimo stato di conservazione e necessitanti di urgenti restauri, piccola testimonianza di ciò che doveva essere l’immensa quadreria di famiglia. Questi dipinti fanno parte dell’attuale pinacoteca oggi conservata nel castello ma non ancora esposta e che nei decenni è stata ampliata con tele proveniente in buona parte sempre dal dissolto ex collegio ferdinandeo degli Scolopi e quindi estranee all’originario arredo del palazzo. Intorno agli anni Cinquanta del XX secolo, il Comune decise di restaurare questi dipinti affidando l’incarico allo scultore Sergio Sportelli. Le opere d’arte erano quarantuno: trentanove a olio su tela e due su legno. Di tutto ciò nulla può ricondurre alla fastosa collezione pittorica della famiglia visto che l’unico gruppo di opere risalenti all’originale quadreria e ancora presente in Terra d’Otranto, si trova conservato nella pinacoteca di palazzo Imperiale di Latiano.

Ritratto di Andrea I Imperiali (Anonimo, XVIII secolo, olio su tela, Francavilla Fontana) (Foto Alessandro Rodia)

 

Questi frammenti non possono assolutamente restituire il fasto artistico che questa residenza doveva restituire all’ospite che, calcando queste sale, rimaneva estasiato dal lusso e dalla magnificenza raggiunta dai feudatari genovesi. Solo tramite l’inventario del 1735, pubblicato dallo studioso Michele Paone, ci si può proiettare nel ricco arredo che oltre all’edificio francavillese abbelliva gli ambienti delle altre residenze pugliesi: …esse in questi descrittivi inventari, riacquistano spessore e consistenza, umore, forme e colori; ritroviamo, in una parola, la loro antica realtà, […], il canto del luminoso passato.

Percorrendo il secondo piano si possono trovare molti locali realizzati in un secondo tempo rispetto alla struttura sei-settecentesca e dove in alcuni di questi trovava sede l’Istituto professionale per il Commercio con le aule degli studenti e le sale dei professori, poi traslocato in altra sede. Su questo livello si dispongono luoghi poco accessibili come la galleria di sentinella posta fra primo e secondo piano e la scala a chiocciola che permetteva di percorrere l’interno di una delle torri angolari.

Sala del Consiglio comunale, particolare della decorazione (Foto Alessandro Rodia)

 

Dopo i recenti restauri, quivi hanno trovato sede gli organi dell’amministrazione comunale, i quali si riuniscono in una nuova sala consiliare posizionata all’altezza dell’antica merlatura. Infine, un’imponente sala di rappresentanza detta del “lampadario”, usata per riunione e convegni, presenta un enorme lampadario realizzato con una luminaria, chiaro omaggio alla una delle tradizioni della città.

In conclusione, un’altra prova tangibile del clima culturale che pervase la residenza durante gli anni più felici è sicuramente il Teatro di corte fatto costruire nel 1716 da Michele III, grande appassionato dell’arte teatrale, di cui il nipote Michele IV fu degno erede. Sito a pochi passi dall’ingresso principale, lo stesso era probabilmente raggiungibile dai piani nobili della residenza tramite un collegamento architettonico oggi scomparso.

Teatro di corte, facciata con portale d’ingresso(Foto Alessandro Rodia)

 

Il teatro, all’esterno, si presenta come un cubo di forma squadrata senza particolari evidenze decorative, se non per un portale d’ingresso contraddistinto da un’arcata a tutto sesto, sorretta da due gruppi di semicolonne e caratterizzata da due file di pietre bugnate. L’interno, ormai privato delle antiche installazioni come il palco e lo scenario che secondo il Palumbo furono eseguiti dai maestri Giuseppe Mottisi e Pietro Pappadà di Cataldo è articolato in un lungo corridoio organizzato su due quote differenti.

Nel 1780, di questo luogo, il visitatore di origine inglese Henry Swinburne, in viaggio lungo le terre del Regno delle Due Sicilie e ospite del Principe Michele IV, ci ha lasciato un’interessante testimonianza del clima che si poteva respirare. Invitato a partecipare a una rappresentazione dell’opera Giuditta e Oloferne, lo stesso rimase molto sorpreso quando al momento della morte di Oloferne, ucciso da Giuditta tramite decapitazione, il pubblico scoppiò in fragorose ovazioni rivolte all’attore che aveva appena compiuto il cruento gesto, sottolineando il pieno e totale coinvolgimento della platea per l’opera rappresentata.

Teatro di corte, interno (Foto Alessandro Rodia)

 

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Per la prima parte:

Il castello di Francavilla Fontana (prima parte)

Per la seconda parte:

Il castello di Francavilla (seconda parte)

Per la terza parte:

Il castello di Francavilla (terza parte)

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