Brindisi, municipio romano (terza parte)

di Nazareno Valente

 

 

 

Una delle caratteristiche dei municipi romani – tradizione questa risalente al periodo repubblicano – era l’assenza di organi monocratici, per questo non esisteva il corrispettivo del nostro sindaco ma un istituto collegiale responsabile della gestione amministrativa della città. A Brindisi il collegio dei massimi magistrati cittadini si componeva di quattro membri (quattuorviri), ripartiti in due coppie: i due quattuorviri iure dicundo ed i due quattuorviri aedilicia potestate.

La prima coppia aveva un ruolo preminente, assimilabile a quello svolto a Roma dai consoli. A questi due magistrati — chiamati per semplicità giusdicenti, perché esercitavano tra le altre cose la giurisdizione civile e penale — spettava anche l’eponimia in ambito cittadino, presiedere e convocare il consiglio comunale e le assemblee popolari, sovrintendere alle funzioni di culto ed amministrare le finanze comunali.

Nell’ambito delle loro prerogative, godevano di un’ampia autonomia organizzativa, però rispondevano personalmente di eventuali problemi di carattere economico e dovevano risarcire il municipio brindisino per qualsiasi dissesto finanziario conseguente ad una loro decisioni. Per questo la summa honoraria che dovevano versare per assumere l’incarico era particolarmente onerosa. Di conseguenza solo i Brindisini particolarmente danarosi potevano aspirare ad un simile incarico.

Anche la seconda coppia, quella dei due quattuorviri aedilicia potestate, doveva essere finanziariamente ben attrezzata. La locuzione aedilicia potestate racchiudeva infatti tutte le funzioni amministrative riguardanti l’approvvigionamento della città, il mantenimento dell’agibilità delle strade, degli edifici pubblici e dei templi ma pure funzioni di polizia urbana che dovevano consentire una vita pubblica regolata.

Rispetto al presente, però, chi aveva “poteri edili” non poteva accampare scuse di bilancio se c’era, ad esempio, una strada brindisina dissestata, né allargare le braccia per esprimere impotenza. Era costretto a cercare di trovare i soldi necessari allo scopo, magari mettendo mano al portafoglio ed a provvedere in parte a sue spese. Non l’avesse fatto, avrebbe visto evaporare la stima di cui godeva e nessun concittadino sarebbe stato più disponibile a dargli il voto in un’altra occasione. I quattuorviri duravano infatti in carica un solo anno ed erano i comitia, le assemblee cittadine, ad eleggerli. Sicché, chi si era dimostrato in un qualche frangente troppo sparagnino o incapace, non aveva molto tempo a disposizione per far dimenticare la brutta figura fatta. Senza poi contare che non si godeva dell’appoggio di partiti politici compiacenti — in quanto allora inesistenti — in grado di sostenere una diversa, e più favorevole, versione degli avvenimenti. Esistevano sì le fazioni (optimates e populares), naturalmente impegnate ad indirizzare la politica cittadina nel senso desiderato, ma nessun apparato burocratico funzionante a sostegno delle varie candidature. Chi si dava alla politica doveva pertanto contare quasi esclusivamente sulle sue specifiche qualità e sulla cerchia di amici e di clientes per emergere e sui suoi mezzi per mantenersi a galla.

Dai magistrati si pretendeva la diligentia (da dis e lego, vale a dire di scegliere con discernimento) quindi un comportamento scrupoloso nell’adempimento dell’incarico e di non fingere una cosa facendone un’altra (sine dolo malo). E questo atteggiamento solerte e sincero lo dovevano assumere sin dal momento della candidatura che essi presentavano durante la contio. Le contiones erano riunioni dei comitia a carattere consultivo in cui gli aspiranti candidati presentavano il proprio programma politico facendosi propaganda. Ed era proprio in queste occasioni che i cittadini li accettavano come candidati. Da questo momento in poi iniziava il loro andare intorno (ambire da cui il termine ambitus, poi utilizzato ad indicare il reato di propaganda elettorale illecita) nel foro cercando di convincere i Brindisini a concedergli il proprio voto.

 

 

Le campagne elettorali soggiacevano a precise norme – dette appunto de ambitu – per evitare che il candidato adottasse forme illecite nell’ottenimento dei suffragi. Come dire che anche allora c’era il sospetto che avvenissero pratiche spregiudicate, tipo il voto di scambio, solo che in antichità prendevano le leggi un po’ più sul serio.

Le norme prevedevano che in un periodo, variabile da uno a due anni1, i candidati non potessero organizzare oppure invitare qualcuno a cena per questioni collegate alla sua candidatura. Né potevano fare doni o regali per lo stesso motivo. E lo stesso valeva per i loro sostenitori, sia che lo facessero perché spinti dal candidato, sia di loro spontanea volontà. Nel caso, erano puniti allo stesso modo candidato e suoi fautori, e la condotta fraudolenta poteva essere evidenziata e perseguita da chiunque (cui volet).

Il ruolo dei due quattuorviri iure dicundo era di sicuro quello più prestigioso e più impegnativo da un punto di vista politico. In pratica, l’apice delle cariche magistratuali previste dal cursus honorum (letteralmente, corso degli onori, intesi appunto come sequenza delle cariche pubbliche) a livello municipale, anche perché erano loro che, a scadenza quinquennale, diventavano i quinquennales incaricati, come già detto, della lectio senatus. Era questa una carica che aveva un valore speciale per l’antichità, perché collegato a quello che era il bene che più si teneva in considerazione: il proprio buon nome.

A Roma li chiamavano censori, e la magistratura che svolgevano era detta censura, termine che derivava da censeo (valuto ovvero stimo). Pur non avendo poteri militari, giuridici e comunque coercitivi – quelli derivanti dall’avere una carica dotata di imperium – i censori nell’Urbe, ed i quinquennales a Brindisi potevano incidere sulla sfera sociale di ciascun cittadino, decretandone di fatto l’emarginazione. Infatti il loro compito principale era fare i censimenti che, a quel tempo, non avevano scopi puramente statistici quanto piuttosto di stabilire il censo di ciascun cittadino. Di fatto ogni cittadino veniva incasellato socialmente per fissare, in base ai beni da ciascuno posseduti, le tasse da pagare.

Se queste operazioni fossero svolte ancora ai nostri tempi, ci dichiareremmo tutti (o quasi tutti) capite census vale a dire tra chi, non avendo beni di sorta, doveva essere censito solo per la propria persona, sicché non era tenuto a pagare alcuna tassa dovendo essere inserito nel censo minimo,.

Allora invece era motivo d’onore avere proprietà ed essere inseriti nel censo più elevato possibile perché di fatto ne determinava il peso sociale. Così come un decurione ci teneva a non essere degradato, lo stesso valeva per gli equites (cavalieri o equestri), i magnati del tempo, così come per qualsiasi abitante della città, anche il meno abbiente. Il censimento ricollocava pertanto ogni Brindisino nella classe di reddito di spettanza stabilendo il carico fiscale e la consistenza sociale da ciascuno posseduta nell’ambito cittadino.

Di là dall’inserire ciascun cittadino nella fascia socio-economica di competenza, i quinquennales avevano il potere di esercitare la nota censoria, una vera e propria sanzione politica comminata a chi s’era macchiato di comportamenti indegni, che comportava l’espulsione dal decurionato, dall’ordine equestre e, per il semplice cittadino, dalla tribù. Una specie di disistima sociale o ignominia che accompagnava gli ignominiosi (così venivano identificati) per i cinque anni successivi, sino cioè al successivo censimento.

Serve ricordare, per curiosità, che anche in antichità sorgevano dispute se questo potere sanzionatorio dovesse essere assoluto o subire un controllo. Sicché, così come ai nostri tempi si discute se sia sufficiente l’incriminazione o la condanna in primo grado o più, per considerare un parlamentare indegno di svolgere l’incarico, allora si litigava se alla base della nota censoria ci dovesse essere o no una condanna che avesse comportato di già la perdita di alcuni diritti civili (deminutio capitis). Ed anche allora c’erano giustizialisti e garantisti. Tra i secondi è ricordato Clodio, fratello di Clodia, meglio nota come Lesbia negli immortali canti di Catullo, che fece passare una legge (lex Clodia de censoria notione) che limitava nel 58 a.C. il potere dei censori ai soli casi in cui ci fosse stata in precedenza una condanna.

Non si conosce — essendo una di quelle questioni sulle quali gli storici non si trovano tuttora d’accordo — per quanto tempo tale norma sia poi rimasta in vigore nell’ordinamento giuridico, certo fu motivo di controversia anche nei secoli successivi.

 

(3 – continua)

Per la prima parte:

Brindisi, municipio romano (prima parte)

Per la seconda parte:

Brindisi, municipio romano (seconda parte)

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