A settant’anni dalle lotte dell’Arneo, una riflessione sulla riforma agraria nel Salento (1950-1960) (prima parte)

di Salvatore Coppola

 

Nel 70° anniversario dell’approvazione delle prime leggi organiche di riforma agraria del secondo dopoguerra (di cui la più importante è la cosiddetta legge stralcio dell’ottobre 1950) è possibile tracciare un bilancio sul movimento di lotta che, sviluppatosi soprattutto sul latifondo dell’Arneo (ricadente per la sua maggiore estensione in agro di Nardò) ha consentito ai lavoratori agricoli della provincia di Lecce di inserirsi nel più generale movimento di occupazione delle terre che ha visto protagonisti i braccianti e i contadini poveri di molte regioni meridionali.

Il problema della conquista della terra da parte dei lavoratori agricoli del Mezzogiorno ha interessato la politica italiana fin dai primi anni successivi all’Unità. Importanti e significative lotte agrarie si sono sviluppate nel biennio 1919/1920, quando la promessa di concedere le terre, fatta nel corso della guerra, aveva alimentato la speranza dei lavoratori agricoli di poter conseguire, attraverso il possesso di un pezzo di terra, un riscatto sociale ed economico atteso da decenni. Dopo i primi timidi tentativi fatti dal governo presieduto da Francesco Saverio Nitti di venire incontro alle attese dei contadini con l’emanazione dei decreti Visocchi e Falcioni (dal nome dei due ministri dell’agricoltura) che prevedevano la concessione di terreni demaniali a favore delle cooperative degli ex combattenti, la reazione degli agrari (sostenuti dallo squadrismo fascista) e l’avvento del fascismo al potere avevano posto fine ad ogni movimento di lotta e di rivendicazione. Nel secondo dopoguerra si ripropose in tutta la sua drammaticità il problema della terra e della riforma fondiaria, che, a distanza di quasi cento anni dall’Unità d’Italia, è stata in parte conseguita con l’emanazione delle leggi del 1950. Come si sia giunti all’emanazione delle leggi di riforma agraria e quali conseguenze abbiano avuto le stesse per l’economia del Salento, quali sono state le condizioni storiche e politiche che ne hanno favorito l’emanazione e qual è stato il ruolo delle forze sindacali e dei partiti politici che hanno promosso le lotte per la terra nel Salento, sono stati temi dibattuti nel corso di un convegno di studi (che si è tenuto nei giorni 12-13 e 14 gennaio 2001 a Nardò, Copertino, Leverano e Campi Salentina), promosso dalla Società di Storia Patria per la Puglia (sezioni di Maglie e Lecce), dal collettivo di cultura Ibrahim Masiq di Lecce, dal GAL Terra d’Arneo e dall’Insegnamento di storia delle dottrine politiche della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Lecce[1].

Il movimento di occupazione delle terre nel secondo dopoguerra si è sviluppato in provincia di Lecce in due fasi, la prima delle quali, tra il 1944 e il 1949, aveva come obiettivo la concessione delle terre incolte sulla base di quanto previsto dalle leggi agrarie promosse dai governi di coalizione antifascista (il decreto luogotenenziale n. 279 del 19/10/1944 voluto soprattutto dal ministro dell’Agricoltura Fausto Gullo e quelli successivi emanati dal ministro Antonio Segni nel 1947). Nella seconda fase (1949/1951) il movimento di lotta ha avuto come obiettivo principale quello della riforma agraria generale. Le leggi agrarie del periodo 1944/1947 avevano un carattere per certi aspetti innovativo rispetto alla tradizione storica italiana; nel contesto politico dell’unità antifascista, mentre si decideva di rinviare al varo della Costituzione la soluzione dei problemi strutturali e della riforma agraria generale, assunsero una certa importanza i provvedimenti adottati (la legge sulla concessione, per quattro o nove anni, delle terre incolte, quella sulla proroga dei contratti agrari e sulla parziale modifica degli stessi, con la previsione di una ripartizione dei prodotti più favorevole ai lavoratori, la legge sui benefici a favore delle cooperative per la conduzione dei terreni, le disposizioni sui decreti riguardanti l’imponibile di manodopera, ecc.). Ma già dai primi mesi del 1945, la CGIL (che tenne il suo primo congresso delle regioni dell’Italia liberata nel mese di febbraio), e successivamente la Confederterra (l’organizzazione dei lavoratori agricoli) avevano indicato nella riforma agraria generale lo strumento capace di garantire una prospettiva di sviluppo alle grandi masse dei lavoratori che, fin dal 1944, avevano dato vita al movimento di occupazione delle terre[2].

Due delle categorie agricole più importanti della provincia di Lecce (dove avevano minore estensione rispetto ad altre aree del Mezzogiorno i rapporti di mezzadria e colonia) erano quelle dei braccianti e dei coltivatori diretti, anche se erano abbastanza diffuse le figure sociali cosiddette miste (salariati, piccoli proprietari e fittavoli). La Confederterra salentina tra il 1947 e il 1949 riuscì ad organizzare migliaia di braccianti, tabacchine, coloni e mezzadri ma, sui circa 70.000 coltivatori diretti, gli iscritti non superarono mai le poche centinaia. È per questo che, all’interno dell’organizzazione, prevalevano le tematiche bracciantili su quelle specifiche delle altre categorie. In una relazione sull’attività della CGIL in Puglia (scritta dal dirigente nazionale Gustavo Nannetti nel 1949) venivano evidenziate le difficoltà (presenti soprattutto all’interno della Confederterra) dovute ad uno stato di conflittualità tra le diverse organizzazioni di categoria agricole (braccianti, mezzadri e coloni, coltivatori diretti). Nella primavera del 1949 (in coincidenza con il dibattito parlamentare per l’approvazione della nuova legge sul collocamento) si registrò in tutto il Salento una ripresa della mobilitazione sindacale per sostenere le rivendicazioni dei braccianti (diritto all’indennità di disoccupazione, stipula del contratto provinciale di categoria, garanzie per l’iscrizione negli elenchi anagrafici, concessione delle terre incolte, ecc.). Nei primi giorni di novembre del 1949, nel corso del congresso nazionale della Federbraccianti, il segretario Luciano Romagnoli indicò al movimento sindacale l’obiettivo della concessione delle terre incolte che sancisse, sul piano legislativo, il principio della fissazione di un limite alla proprietà privata. Nei giorni successivi la mobilitazione dei lavoratori raggiunse punte molto elevate; nelle province di Bari e di Foggia, ma anche nel Salento, alla lotta per la costituzione delle commissioni di collocamento e per l’applicazione dei decreti sull’imponibile di mano d’opera, si accompagnò quella per la concessione delle terre incolte. Era quello il periodo in cui masse di braccianti calabresi e siciliani occupavano i latifondi, e proprio sull’onda delle notizie che giungevano soprattutto dalla Calabria, nel Salento ci fu una ripresa su vasta scala dell’occupazione delle terre. Parliamo di ripresa perché già tra il 1944 e il 1945 si erano avuti i primi fenomeni di occupazione di terre incolte che avevano portato alla concessione, nel 1946, di poco più di duecento ettari a cooperative di contadini di Veglie, Carmiano e Martano (anche se, dopo appena un anno, le cooperative erano state in pratica costrette ad abbandonare quelle terre in quanto era risultata pressoché nulla, in mancanza di una seria politica di sostegno creditizio e di altre misure organiche, la possibilità di conseguire da quelle terre un reddito sufficiente)[3].

 

 

Note

[1] La presente relazione è una riedizione aggiornata di quella presentata al convegno di studi del gennaio 2001 (L’occupazione delle terre nell’Arneo e la politica agraria del PCI salentino, pp. 109-145), i cui atti sono stati pubblicati in M. Proto (a cura di), Agricoltura, Mezzogiorno, Europa, ed. Lacaita, Manduria 2001. Sulla vicenda dell’occupazione delle terre dell’Arneo, S. Coppola, Quegli uomini coperti di stracci. La lotta dei braccianti salentini per la redenzione dell’Arneo, Grafiche Giorgiani, Castiglione 1997; R. Morelli, Cristiani e Sindacato dalla fase unitaria alla CISL nel Salento. 1943-1955, Capone, Cavallino 1992, pp. 112-120; G. Giannoccolo, L’occupazione delle terre nel Salento nel quadro di due linee di politica agraria, in M. Proto, Agricoltura, Mezzogiorno, Europa, cit, pp. 147-161; M. Spedicato, L’utopia sconfitta. Dai contadini senza terra alla terra senza contadini, ivi, pp. 179-189. Sulle proposte di politica agraria delle organizzazioni sindacali, F. De Felice, Il movimento bracciantile in Puglia nel secondo dopoguerra (contenuto negli atti del convegno organizzato dall’Istituto Gramsci Campagne e movimento contadino nel Mezzogiorno d’Italia dal dopoguerra ad oggi, De Donato, Bari 1979).

[2] Sulle proposte di politica agraria delle organizzazioni sindacali: R. Stefanelli: Lotte agrarie e modello di sviluppo 1947-1967, De Donato, Bari 1975, pp.23-25; R. Zangheri: Movimento contadino e storia d’Italia, in Studi Storici n. 4/1976, p. 19.

[3] La relazione di Nannetti è contenuta nell’Archivio nazionale della Federbraccianti (oggi Flai-Cgil).

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