I Pinelli, marchesi di Galatone, nella celebrazione del D’Alessandro (1574-1649)

 

Questo post può essere considerato come l’integrazione della nota 12 di un altro sui Pinelli che il lettore troverà all’indirizzo https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/04/26/galeazzo-pinelli-il-marchese-fatuo-di-galatone-nella-celebrazione-di-giuseppe-domenichi-fapane-di-copertino/.

Oltre al poema Hierosolymae eversae dedicato a Galeazzo Francesco (II), per i Pinelli il D’Alessandro scrisse parecchi epigrammi per diverse circostanze.

Alle morti di Livia Squarciafico, moglie di Francesco Galeazzo, e del figlio Cosimo (i), avvenute entrambe nel 1602,   dedicò sette epigrammi facenti parte dell’Epigrammatum liber, inserito in coda alla Dimostratione di luoghi tolti , et imitati da più autori dal Sig. Torquato Tasso nel Gofredo, overo Gerusalemme liberata, Vitale, Napoli, 1604 (dedicato a Girolamo De Monti marchese di Corigliano) a partire da p. 233.

Gli epigrammi che qui ci interessano occupano le pp. 262-264. Li riportiamo con la nostra traduzione.

In funebri pompa, et exequiarum iustis D. Liviae Squarciaficae

Egregii pereunt homines, Regesque potentes,/Excelsique Duces, Pontificesque sacri./Intereunt populi, magna labuntur et urbes,/Templaque summa ruunt, Regnaque deficiunt,/attamen exequiae, quas dat Galatea precesque/Coelicolis pro te (Livia) semper erunt;/suscipit has etenim coelo Deus aure benigna,/atque illas famar Calliopea sacrat.

Per la pompa funebre e le cerimonie delle esequie di donna Livia Squarciafico

Muoiono gli uomini egregi, i re potenti, gli eccelsi condottieri e i sacri pontefici; muoiono i popoli, crollano anche le grandi città, rovinano pure i sommi templi e vengono meno i regni; ma le esequie e le preghiere che Galatone tributa per gli abitanti del cielo saranno sempre in tuo onore, o Livia; Dio infatti le accoglie  in cielo con orecchio benigno e Calliope le consacra alla fama.

In eiusdem obitu pro Rota stemmate Squarciaficorum

Instabilis Dea, quae toto dominatur in orbe,/cui paret Regum, multaque turba Ducum,/ut vidit quantum sit Livia pectore forti/imperio hanc nixa est subdere posse suo,/cui modò terribilem sese modò praebuit aequam/ostentans vires Diva superba suas;/illa tamen solùm coelo confisa superno/infirmae sprevit iura caduca Deae;/tum Fortuna dolens atque indignata profatur/una mei victrix Squarciafica fuit./Huic igitur do victa rotam, qua cernitur orbis/volui. Sic dixit, tradidit atque rotam./O nimium foelix, ò terque quaterque beata/Livia, fortunam cui superasse datur./Hinc tu maior eras vivens super omnibus una,/praemia datque tibi nunc super astra Deus. 

In occasione della morte della medesima in onore della ruota simbolo degli Squarciafico

L’instabile dea che domina in tutto il mondo, alla quale obbedisce la turba dei re e quella numerosa dei duchi, come vide quanto Livia sia di forte animo, credette di poterla sottomettere al suo potere; a lei la superba dea ostentando la sua forza si mostrò ora terribile, ora giusta. Tuttavia ella confidando solo nell’altissimo cielo disprezzò i caduchi diritti dell’instabile dea. Allora la fortuna dolente ed indignata dice: – Solo la Squarciafico fu vittoriosa su di me; perciò vinta le do la ruota dalla quale si vede il mondo. L’ho voluto -. Così disse e le consegnò la ruiota. O grandemente felice, o tre e quattro volte beata Livia, alla  quale è concesso di vincere la fortuna. Perciò tu da viva eri la sola più grande su tutte e ora Dio  ti dà il premio in cielo.

Immagine tratta da Scipione Mazzella, Descrittione del Regno di Napoli, Cappelli, Napoli, 1586, p. 412

In obitu D. Cosmi Pinelli Ducis Acheruntiae

Marmora dùm Cosmo, solidoque ex aere metalla,/et virides laures terra benigna parat,/erigat ut statuas illi, aeternosque Colossos,/et caput ipsius serta decora tegant;/cuncta etenim meruit Cosmus; praestantior armis,/et pacis melior tempore nullus erat,/aequus syderea Altitonans prospexit ab arce,/et tales laeto rettulit ore sonos./Non sat Pinelli meritis coelestibus haec sunt/praemia (mortales) coelica ritè decent -./Dixit et exemplò conscendere ad aethera Cosmum iussit, ut aethereis gaudeat usque bonis.

In occasione della morte di Cosimo Pinelli duca di Acerenza

Per ora la terra benigna prepara per Cosimo marmi, metalli di solido bronzo e verdi allori per erigergli statue, eterni colossi e per coprirgli il capo con splendide corone. Infatti tutto ha meritato Cosimo; non c’era nessuno più prestante nelle armi e migliore in tempo di pace. Dio giusto dalla sua reggia ha guardato il cielo e con lieto accento ha pronunziato tali parole: – Questi premi, o uomini, non sono sufficiente  ai meriti celesti del Pinelli, giustamente si addicono i celesti -. Ha detto ed immediatamente ha comandato a Cosimo di salire in cielo perché goda per sempre dei beni celesti- 

In eiusdem obitu

Id quodcunque togae, et possunt concedere honoris/arma, in te visum est dum tua vita fuit./Turba ideò vatum te (Dux) deplorat ademptum,/belligerique omnes militIaeque Duces./Credibile est etiam Phoebumque, novemque sorores,/atque obitus Martem condoluisse tuos.

In occasione della morte dello stesso

Tutto l’onore che possono concedere le toghe e le armi fu visto in te, finché durò la tua vita. Perciò la schiera dei poeti piange, o duca, la tua morte, e (la piangono) tutti coloro che muovono guerre e i condottieri di soldati. È credibile anche che pure Febo e le nove sorelle e Marte siano rimasti addolorati per la tua morte.

In eiusdem obitu

Si sacra coelitibus, mansuraque ponere templa,/et largas inopi tradere saepe dapes/est gratum Superis, atque alto reddere Olympo/praemia digna solent, prò meritisque vicem/coelestis tibi, Cosme, datur modo Regia sedis,/dùmque peris Divum mensa parata tibi est; mille calent arae prò te, nam mille parasti/templa Deo, et sub te nullus egenus erat.

In occasione della morte dello stesso

Se è gradito agli dei del cielo costruire templi sacri e destinati a restare e donare spesso generose vivande al bisognoso, e sono soliti dall’alto Olimpo elargire degni premi, a te, o Cosimo, al posto dei meritti celesti è donata una sede regale e mentre muori viene apprestata per te la mensa degli Dei; a te si addicoo mille altari perché approntasti per Dio mille templi e sotto di te nessuno era bisognoso.

Flamma Galatonae stemma in obitu eiusdem loquitur

Ut Phoebe in coelo fraterno lumine fulget,/lux mea sic Cosmi splendida luce fuit;/hoc moriente tamen terris est splendor ademptus,/et mihi praefulgens deficit ecce nitor.

La fiamma, stemma di Galatone, parla in occasione della morte del medesimo;

Come Febo risplende in cielo con la sua luce fraterna, così la mia luce fu luminosa per la luce di Cosimo; mentre egli moriva lo splendore fu sottratto alle terre e a me ecco vien meno una brillantissima luminosità.

Eadem loquitur

Si dum Cosmus erat splendor praelustris in orbe/visa in me semper lux sinè nube fuit,/arce novum sydus quòd iam resplendet Olympi/lumina erunt multò lucidiora mihi.

Parla la stessa

Se mentre Cosimo era splendore illustrissimo nel mondo, in me  fu sempre vista una luce senza nubi, la nuova stella dell’Olimpo che già risplende sarà per me una luce molto più splendente.

E apriamo una parentesi  aggiungendo qualcosa proprio sullo stemma di Galatone . L’immagine che segue è tratta da immagine tratta da https://it.wikipedia.org/wiki/Galatone#/media/File:Galatone-Stemma.png

In Girolamo Marciano (1571-1628), Descrizione,origini e successi della Provincia di Terra d’Otranto uscita postuma con le integrazioni di Domenico Tommaso Albanese (1638-1685) per i tipi della Stamperia dell’Iride a Napoli nel 1855  a p, 488  si legge: … Giovanni Pietro D’Alessandro, suo cittadino, nel primo emblema della Centuria dottamente così si espresse: Dum fuit arce ludis tibi, gens Galatea, sed omni/labe carens, aderat lac tibi stemma et ovis/scilicet, et mores tua canaque nomina primus/respiciens huius stemmatis author erat./Ut vero ornavit maior sapientia cives,/nobile stemma tibi lucida flamma fuit./Et merito, ut flamma effulget, sic clara tuorum/fama nitet, sic et nomen, honosque tuus flammae perpetuo ut celsum super aethera tendit,/sic tua gens animo sydera scandit ovans.

Le parole del Marciano fanno intendere che i cinque distici elegiaci fossero parte di un gruppo di cento componimenti illustrativi di altrettante immagini simboliche. Si tratta di un filone letterario molto diffuso in quel tempo, ma di quest’opera del D’Alessandro, pubblicata o manoscritta che fosse, si ha notizia solo nel Marciano.1 Ad ogni modo, prima di procedere con la traduzione, il testo citato va emendato così: nel primo verso ludis va sostituito con rudis e la virgola dopo tibi va spostata  dopo gens.

Ecco ora la traduzione:

O Galatone, finché avesti un popolo rozzo per il suo isolamento ma privo di ogni macchia, era presente per te come stemma il latte e certamente una pecora e il primo che vide i costumi e il tuo biancheggiante nome fu l’autore di questo stemma. Veramente non appena maggiore saggezza ornò i cittadini, una lucida fiamma fu per te il nobile stemma. E giustamente, come la fiamma risplende, così brilla la chiara fama dei tuoi, così pure il nome ed il tuo onore come la cima della fiamma si protende per sempre  sopra il cielo, così il tuo popolo esultante nell’animo si eleva alle stelle.

Tutto, secondo noi, lascia credere che il vecchio stemma sia un’invenzione poetica del D’Alessandro (sempre supponendo che i distici siano suoi …), propiziata dal Galatea mediato e trascritto come nome latino di Galatone da quello greco della ninfa Γαλάτεια (leggi Galàteia) che significa “bianca come il latte”2, derivando da γάλα/γάλακτος (leggi gala/gàlaktos)=latte. E, laddove c’è il latte, non può mancare la pecora …

Insomma, un percorso di formazione che ricorda quello che probabilmente fu alla base del’idronimo Idrunte da parte di un altro letterato salentino dello stesso secolo.3

Oltre agli epigrammi riportati c’è da segnalare che il nome dei Pinelli compare pure in Academiae Ociosorum libri III, opera della quale riproduciamo il frontespizio prima di citare i versi in questione.

Libro II, p. 49

Gratia magna quidem, quam donat Iuppiter equus/paucis, quos ardens evexit ad aethera virtus,/Pinelli Ducis inde legis venerabile nomen,/qui Patris, qui maiorum studia alta secutus,/moresque innocuos non dùm iuvenilibus annis,/nec dum praecingens teneras lanugine malas/ad metam incipiens venit, quò tarda senectus/turba Ducum vix accedit molimine summo,/ecquid erit natura illi ut properaverit aetas?/Qualis honor? quantae laudes? quae gloria surget?/Tanto iure Duci laurum concessit Apollo,/cuius honorata decoraret tempora fronde/sivè toga, sivè armorum magis acta probaret,/utraque sivè simul, nunc otia tuta ministrat.

Grande grazia certamente (è) quella che il giusto Giove dona a pochi, che l’ardente valore elevò alle stelle. Perciò leggi il venerabile nome di Pinelli4 che, seguenso le nobili occupazioni del padre e degli antenati negli anni non ancora giovanili, quando non ancora non ornava di barba le tenere guance, vennee iniziando alla meta, dove giunge a stento con grandissimo sforzo la pigra vecchiaia, la schiera dei duchi.  Forse è naturale per lui come l’età si sia affrettata? Quale onore? Quante lodi? Quale gloria sorgerà? Giustamente Apollo concesse ad un tale duca l’alloro, per ornare con l’onorata fronda le tempie, per approvare di più le gesta o civili e militari o entrambe contemporaneamente; ora cura il tranquillo tempo libero.

_______

1 Da lui la riprese Giacomo Arditi in Corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto, Stabilimento tipografico Scipione Ammirato, Lecce, 1879, p. 203, ove non compaiono citati nemmeno i versi.

2 In Academiae Ociosorum libri III, opera della quale diremo dopo a p. 71, la definisce niveis Galatea lacertis (Galatea dalle braccia bianche come la neve).

3 https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/04/18/alle-fonti-dellidume-idronimo-inventato/

4 Galeazzo Francesco Pinelli (ii), cui il D’Alessandro aveva dedicato Hierosolymae eversae pubblicato per i tipi degli stessi editori napoletani (Gargano e Nucco) e nello stesso anno (1613). Non a caso i versi qui rioortati da Academiae Ociosorum libri III appaiono come una sorta di trascrizione poetica di parte della dedica iniziale di Hierosolymae eversae, dedica  che il lettore troverà integralmente alla nota 12 del post segnalato all’inizio.

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