PROCUL OMNE VENENUM. Facebook (si fa per dire…) chiama, Fondazione Terra d’Otranto risponde (si fa per dire …)

di Marcello Gaballo e Armando Polito

Sgombriamo preliminarmente il campo da qualsiasi equivoco in cui il titolo, lì per lì, potrebbe far incorrere. Mark Zuckerberg non si è messo in contatto con questo blog per porgere anche ad esso le sue scuse per qualche trafugamento di suoi dati, come ha fatto da poco col Congresso americano, i cui cervelli (come quelli di qualsiasi altro organo governativo di rappresentanza avrebbero dovuto da tempo quanto meno sospettare l’inconveniente. Invece,come al solito, si tenterà di chiudere, magari maldestramente, la strada dopo che le vacche sono fuggite e sono state messe e vendute sul mercato …

Eppure, senza Facebook, quanto stiamo scrivendo non avrebbe avuto occasione o ragione di esistere, perché esso nasce da una semplice richiesta di aiuto che Mario Cazzato ha rivolto in un commento ad un suo recentissimo post apparso, sul suo profilo facebookiano, l’11 aprile u. s.

Tutto ciò spiega il primo si fa per dire … del titolo; per quanto riguarda il secondo, esso si riferisce ai magri risultati del nostro tentativo di risolvere il quesito che poneva e che può condensarsi nella lettura dell’immagine che segue.

Il lettore che abbia interesse troverà notizie sul contesto nel post prima ricordato.

Cominciamo dalla parte testuale.

Nel cartiglio superiore si legge  PROCUL OMNE VENENUM, la cui traduzione è Lontano (da noi) ogni veleno. Si direbbe il motto riportato a caratteri maiuscoli sulla lista accartocciata che sovrasta lo stemma nobiliare, che araldicamente è ineccepibile e completo nelle sue diverse parti: lo scudo a testa di cavallo, sulla cui immagine interna torneremo tra poco, l’elmo, il cimiero (in questo caso una testa di cavallo o di liocorno) e gli svolazzi. Il tutto egregiamente intagliato ed evidente realizzazione di esperte maestranze. L’unica perplessità è suscitata dalla collocazione del motto che generalmente si tende a posizionare in basso rispetto allo scudo.

Le indagini fatte, anche per il poco tempo ad esse dedicato, non hanno consentito di sapere a quale famiglia il motto appartenesse, ma solo di ricostruire, in qualche modo, la sua origine. I testi citati di seguito sono stati trascritti fedelmente, errori di stampa (o meno …) compresi. Sulla famiglia alla quale sarebbe da ascrivere lo stemma torneremo alla fine.

In Advento del P. Maurilio di S. Britio, Vigone, Milano, 1665 a p. 92 inizia una predica sulla concezione di Maria Vergine dal titolo Monte Olimpo o l’altezza di Maria sopra tutte le Creature. Al suo interno (p. 1069 si legge: “Che nella cima dell’Olimpo non vi siino animali nocivi, alcuni, (non sò se vera, ò favolosamente) l’affermano; ma dell’Olimpo della Vergine posso ben dire procul omne venenum, mercè che Iddio nell’sstante della sua Concettione gli diede in dote Caelum, una cum Paradiso, come attesta Epiffanio.”.

Il concetto e la locuzione sono ribaditi in Teatro morale di Giovanni Battista Bovio da Novara, Bernabò e Lazzarini, Roma, Roma, 1749, p. 20: “Egli è volgato quel detto dell’Olimpo, qual’è situato tra la Macedonia, e la Tessaglia, Nubes excedit Olimpus. Fu effigiato con altri monti più bassi, che gli formano intorno umile, ed ossequiosa corona, col motto Ultra omnes, affinchè s’intendesse, che non ha superiore, ne pari. Nella cima di lui non vi sono animali nocivi,onde porta nel capo il motto: Procul omne venenum.”

La locuzione stessa, però, appare come la riduzione di una più estesa e che costituisce il motto della marca tipografica di Girolamo Cartolari attivo a Roma dal 1543 al 1559. Ecco come appare (invertita) in una pubblicazione del 1546.

Intorno ad un liocorno impennato; con in alto sole, luna e stelle e sullo sfondo un paesaggio, si legge, procedendo per ogni sIngola parola da destra verso sinistra:

SINT PROCUL OBSCURAE TENEBRAE ET PROCUL OMNE VENENUM (Siano lontano le oscure tenebre e lontano ogni veleno).

È un esametro, come appare evidente dalla scansione (in rosso la fine di ogni piede (I) e la cesura (II).

La èrima parte sembra riecheggiare un esametro di Tommaso di Kempes (1380 circa-1471), De imitatione Christi, XXI, 61: Sint procul invisae tardis de nubibus umbrae (Stiano lontano le odiate ombre che scendono dalle lente nuvole).

Difficile dire se ci sia un collegamento tra questo imotto  e il liocorno da una parte e, dall’altra, la sua presenza parziale e quello che si direbbe una viverna, cioè un drago con due zampe d’aquila, ali e, all’estremità della coda di serpente, un pungiglione in grado di iniettare, secondo la leggenda, un veleno mortale o, nel migliore dei casi, paralizzante. Se è così, all’immagine andrebbe attribuita una valenza apotropaica o scaramantica, anche se il motto ben si sarebbe adattato pure se il mostro fosse stato un generico drago, simbolo di vigilanza e protezione.

Chiudiamo con la trascrizione e traduzione dell’epigrafe sottostante.

LUCIAE BONATAE FOROIULIENSIS/ALOISII FIDELIS E MEDIOLANENSI NOBILITATE/OLIM CONIUGIS SACELLUM HOC AERE EX/CITATUM ET S(ANCTO) IO(ANNI) BAPTISTAE DICATUM/DIRUTUMQUE POSTEA AB EADEM FIDELI FAMI/LIA RESTITUTUM COENOBITARUMQUE DILI/GENTIA EXORNATUM UT PIO POSITUM/EST ANIMO ITA GRATO ADVERSUS VIRTUTE MULIEREM INSTAURATUM EST

Questa cappella di Lucia Bonati friulana1, già moglie di Luigi Fedele2, di milanese nobiltà, danneggiata da eventi atmosferici e dedicata a S. Giovanni Battista e andata in rovina, dalla medesima famiglia Fedele poi ricostruita e decorata  a cura dei cenobiti, come fu con pio animo costruita così  con (animo) grato nei confronti di una donna di virtù fu dedicata.

Sulla famiglia Bonati abbiamo trovato quanto segue. Esso è poco, ma ne confermerebbe, almeno l’origine lombarda.

Giovanni Battista Pacichelli in Il regno di Napoli in prospettiva, Parrino e Mutio, Napoli, 1703, p. 254 registra i Bonati fra le famiglie nobili di Milano, a p. 262 tra quelle di Orvieto

‘Vincenzo Lancetti in Biografia cremonese, Tipografia di Commercio al boschetto al commercio, Milano, 1820,, v. II, pp. 391-392, scrive:

“BONATI Traco, ed Albino, chiari nella storia di Crema del duodecimo secolo. Nell’assedio che Federico I pose a quel castello l’anno 1559, avvenne che i Cremaschi, presa di mira co’ loro mangani, un’alta macchina che secondo l’uso di quei tempi aveva fatto costruire per approcciare il castello, e non sapendo l’Imperatore come far cessare la tempesta di que’ massi, ordinò che parecchi prigionieri Cremaschi venissero alla macchina legati, acciò il timor di uccidere i loro parenti rallentasse la furia degli assediati. Ma in essi la carità della patria ad ogni altri riguardo prevalse, così che ove de’ loro rimasero uccisi, tra i quali fu il povero Tacco. Ridotte però le cose all’estremo, e convenendo trattare una capitolazione, la quale venne stipulata il giorno 25 di gennaio dell’anno 1160, ALBINO de’BONATI fu uno de’ due Comaschi, che il Consiglio elesse a parlamentare. Così il Fino nel primo libro della sua Storia,  i quale anche nell’atto di investitura della sovranità accordata al Benzoni nel 1403 offre un ZANINUS DE BONADIE Ttra gli accettanti. Egli è quindi probabile che da questa famiglia Cremasca sia discesa la linea tuttor fiorente de’ BONATI di Cremona; de’ quali (per non parlar dei viventi) nessun altro so ricordare che il prete ANTONIO morto nel 1718, di cui dà notizia l’iscrizione che Vaivani riporta al n. 438.”.

Ci rendiamo perfettamente conto che, anziché rispondere compiutamente alla domanda principale, di averne suscitate altre, e non poche; ma per questa colpa (se di colpa si tratta …)  il lettore se la prenda, eventualmente, con Mario Cazzato e, ancor prima, con Facebook …

__________

1 Anticamente Forum Iulii (mercato di Giulio Cesare) era l’attuale Cividale; poi il nome derivato, Friuli, pasò ad indicare l’intera regione. Appare perciò errata la traduzione da Forlì che si legge in http://www.artefede.org/public/ArteFede/santacroce_apparato1.html; Il nome omano di Forlì era Forum Livii, la cui forma aggettivale sarebbe stata, nell’iscrizione, FOROLIVIENSIS.

2 Così in Giulio Cesare Infantino, Lecce Sacra, Micheli, Lecce, 1634, p. 120:”Vi è ancora dentro la medesima Chiesa [S. Croce] una Cappella della famiglia Fedele, ove si vede una bella dipintura in tela di San Giovanni Battista: opera di Girolamo Imperato Napolitano.”.

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