Integrazioni a proposito di Ugento e dintorni in una carta del XVI secolo

di Luciano Antonazzo

A proposito di quanto riportato in questo sito dal prof. Polito circa il suo post su “Ugento e dintorni in una carta del XVI secolo”, riporto alcune mie considerazioni ed osservazioni, che vanno a completare

Ugento e dintorni in una carta del XVI secolo

Innanzitutto tengo a precisare che, contrariamente a quanto fin qui sostenuto da tutti gli studiosi locali, l’antica cattedrale gotica di Ugento non fu distrutta dai turchi nel 1537, ma che la stessa, benché danneggiata, sopravisse fino al 1735, anno in cui fu demolita per portare a compimento l’erezione dell’attuale.

Venendo ai toponimi indubbiamente quello di “Casato di Amore” si riferisce ai Marchesi di Ugento, mentre quello che sembra “lo Vicale” è da leggersi “lo Vitale”, chiaro riferimento alla facoltosa famiglia Vitale che, originaria di Otranto, verso il 1670 troviamo diramata in Ugento con l’UID Carlo Vitale.

Il toponimo che sembra “Abinienio” ritengo sia da leggersi “Abiniente”, nome di una nobile famiglia salernitana (denominata anche Abignente) alla quale apparteneva quel Marino che nel 1503 prese parte alla disfida di Barletta. Anche gli Abignente, come i Vitale, sono attestati in Ugento nella seconda metà del XVII secolo e sono menzionati da Giovan Battista Pacichelli (Il Regno di Napoli in prospettiva) tra le famiglie più in vista di Ugento.

Conseguentemente credo che anche il toponimo “il Grossa” faccia riferimento ad una qualche famiglia, ma comunque non di Ugento.

Per quanto riguarda la “Torre di Sansone” credo che corrisponda all’odierna Torre Sinfonò (in epoche precedenti detta anche Sanfono o Sonfono). L’attuale denominazione è a mio avviso dovuta ad una errata lettura della “s” minuscola che nella scrittura e nella stampa dei secoli passati veniva resa come una “f”.

Vengo ai toponimi “Scopulo detto del Barro”, “scopulo detto lo Fiorlito” e “Punta della volta”. I due scogli (dal lat. scopulus-i) di fronte a Torre Mozza[1] fanno parte del complesso di isolotti e bassi fondali che sono conosciuti come Secche di Ugento, denominate localmente “Scoglio di Pirro” in quanto, secondo la tradizione (o la leggenda), vi si incagliarono alcune navi di Pirro col loro carico di uomini, cavalli ed elefanti. E poiché “scopulo detto lo Barro” significa “scoglio detto l’elefante” (dal lat. Barrus-i = elefante) ne consegue che il toponimo potrebbe rimandare a detta tradizione. Non è da escludere però che lo stesso fosse così denominato perché la sua conformazione potrebbe vagamente richiamare la proboscide di un elefante[2].

Per quanto riguarda la “Punta della Volta”, tale toponimo si riferisce alla punta del promontorio di fronte all’isola Fiorlita e non alla stessa, come vorrebbe G. Battista Rampoldi. Così come probabilmente si sbaglia nel sostenere che il promontorio è “ugualmente chiamato della Volta”. A parte il suo testo da nessuna altra parte infatti si rinviene tale nome. Verosimilmente tale denominazione deriva dal fatto che i cavallari che controllavano la costa per prevenire incursioni dei Turchi, giunti all’altezza di questo sperone di scogliera “voltavano”, ossia invertivano il loro percorso. E’ quanto sembra potersi dedurre da alcuni atti notarili del maggio 1678 dai quali risulta che dall’Isola di “Pazze” e fino “alle Tre Fontane” (od. Fontanelle) il controllo della costa era demandato a cavallari di Ugento e che dalle “Tre Fontane” a “Pietra Lagna” il controllo era di spettanza dei cavallari di Presicce. E’ altresì precisato che i “posti” guardati dai cavallari di Ugento erano denominati Nervio e Pazze, mentre quelli di Torre Mozza, guardati dai cavallari di Presicce, erano denominati “della punta della vota[3], fiume grande, Petralagna”.

Tornando all’isola Fiorlita, essa indubbiamente corrisponde all’odierna Giurlita detta anche “Isola della Fanciulla[4] per via di una leggenda che Salvatore Zecca riporta nel suo Portus uxentinus vel salentinus.

Secondo questa leggenda “in tempi remoti” alcuni pescatori doppiando l’isolotto videro “arenato un corpo esanime di fanciulla, avvolta in una tunica bianca” indumento che, assieme ad altri indizi, indusse a ritenerla greca. Dai crostacei annidati nella sua veste si dedusse che il corpo era da molto tempo in mare, ma ciononostante “il suo volto era fresco e sorridente”. I pescatori la portarono a terra e poiché non dava segni di decomposizione, “la esposero all’altrui sguardo, adorandola come una Deità: poi la riportarono nei pressi dell’isola e ve la ancorarono su quei fondali”. In seguito diversi pescatori giurarono che “in qualche notte buia e tempestosa, nel doppiare il pericoloso isolotto, più di una volta avevano notato una tunica bianca garrire al vento, a monito del pericolo cui si andava incontro[5].

La stessa leggenda, con qualche lieve variante, viene riportata anche da Sofia Nicolazzo. Ella riferisce che in una notte del 1800 (!?) i pescatori della marina di Ugento, nel ritirare le loro reti videro galleggiare sull’acqua, illuminato dalla fioca luce delle loro lampade, il corpo di una fanciulla. Addosso “aveva un abito greco, conchiglie attaccate alla sua gonna ed ai suoi calzari dorati: erano documenti inconfondibili del lungo sostare nel fondo marino. Nella spalla sinistra uno squarcio nell’abito con un alone di sangue…”. Credettero che fosse una santa e portatala a terra la adagiarono in un’urna di cristallo e quando uscivano al largo per il loro lavoro si raccomandavano a lei. Nelle notti tempestose vedevano la fanciulla che indicava loro il cammino e ne udivano la voce che, accompagnata dal sibilo del vento, reclamava la restituzione del suo corpo. Fu così che “in un giorno calmo e sereno, i pescatori raccolsero tutti i fiori delle contrade, e adagiata sulla barca la cassa, la coprirono con questa coltre profumata”. I pescatori della barca con la salma a bordo, accompagnati da altre barche a loro volta piene di fiori, giunti sul posto dove il corpo della fanciulla era stato rinvenuto, calarono in mare la cassa di cristallo: “In un primo momento l’urna galleggiò in quell’onda fiorita: poi lentamente sprofondò[6].

Probabilmente deriva da questo particolare rito funebre che deriva la denominazione di Isola Fiorlita: il suo significato è infatti “ isola cosparsa di fiori” (dal lat. flos –is = fiore, e litum da lino, livi, litum, ere = stendere, cospargere).

 

 

[1] In una carta topografica realizzata presso la stamperia di Michele Luigi Mutio (Torino 1665 ca – 1722) sono invece rispettivamente denominati “Scoglio di Bare” e “Fiorlita”, sottinentendosi isola,

[2] Tale scoglio non è oggi più visibile per essere stato sommerso dall’acqua. Di contro sono numerosi i locali e ed i complessi turistici della zona denominati “Scoglio di Pirro”.

[3] Nel dialetto ugentino la stessa era definita “Punta della Ota”, da “utare” o “otare” = girare. (Cfr. S. ZECCA, Portus Uxentinus vel salentinus, Editrice Mariano, Galatina 1963, p. 39.

[4]Proprio come l’isoletta che sta di fronte alla marina di Torre Pali e la cui denominazione a sua volta deriva da una leggenda risalente al 1547.

[5] S. ZECCA, Portus uxentinus vel salentinus, cit. pp. 62-63.

[6] S. NICOLAZZO, Ausentum nell’Ausonia . Favolette-Leggende-Bibliografie, Tip. Marra, Ugento 1978, pp. 102-103.

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