Il nostro dialetto. STUTARE (SPEGNERE)

di Armando Polito

* Pensa piuttosto a chiamare i pompieri!

 

Chi ha un’idea distorta del dialetto, considerato pregiudizievolmente inferiore alla lingua nazionale, probabilmente avrà un sussulto sentendomi affermare che stutare è, linguisticamente parlando,  un nobile decaduto, vittima del tempo e dell’uso. Lo confermano, infatti, i dizionari, in cui non è qualificato come voce regionale, volgare o gergale ma obsoleta (addirittura nel vocabolario Treccani on line, in cui il lemma è puntualmente registrato, manca pure quest’ultima qualifica).

Sulla “nobiltà” di stutare, voce non esclusivamente “meridionale” credo sia sufficientemente eloquente quanto segue:

Iacopone da Todi (XIII secolo), Laude, LXX, 86): … cà ‘l tuo plagner me  stuta

Brunetto Latini (XIII secolo), La rettorica, I, 2 E 10:  … a stutare molte battaglie …

Guittone d’Arezzo (XIII secolo), Trattato d’amore, CCXLVIII, 12: … che per nulla copia si  stuta  fiore

Cino da Pistoia (XIII-XIV secolo), Rime, LXXXVIII, 22 (edizione dell’Itituto editoriale italiano, Milano, 1862): … e la cui vita a più a più si stuta

Giovanni Boccaccio (XIV secolo), Amorosa visione, VI, 10-12: … tra me dicendo: Deh, perché il foco/di Lachesis per Antropos si stuta/ in uomo sì eccellente e dura poco?” e Filocolo, II: … anzi che più s’accenda il fuoco, providamente pensate di stutarlo …

In altri autori toscani della letteratura delle origini, che qui per brevità non riporto, ricorre la variante astutare. La voce ebbe scarsa fortuna, tant’è che non son riuscito a trovare nessuna attestazione per i secoli successivi e lo stesso Vocabolario della Crusca registra il lemma solo nelle sue prime quattro edizioni (1612, 1623, 1691, 1729-1738) con due (Cino da Pistoia e Boccaccio)degli esempi datati che prima ho riportato.

La locuzione nel dialetto salentino, vista nei suoi significati diacronici,  è stutare lu fuecu (spegnere il fuoco del camino o di un incendio), stutare la candela (spegnere la candela), stutare lu lume (spegnere il lume a petrolio); poi, con la diffusione dell’energia elettrica, stuta la luce (premi l’interruttore per spegnere la luce della lampadina), stuta lu furnu (spegni il forno).

A questo punto chi è abituato a leggermi si sarà meravigliato perché sto tardando a dare l’etimo di stutare, ma  alla fine sarà chiaro quanto questa premessa fosse imprenscindibile. Mi pare, però, opportuno e doveroso cominciare dal maestro riconosciuto: il Rohlfs. Ecco come il lemma è trattato nel suo Vocabolario dei dialetti salentini, Congedo, Galatina, 1976:

Non mi lascia perplesso *extutare (voce latina ricostruita), ma quel guardare il fuoco coprendolo. Infatti questa definizione che oso definire sibillina, sembra tirare in campo contemporaneamente come secondo componente di extutare i verbi tueri (o tuere), che significa guardare) e tutari  che significa proteggere.

Prima di entrare nel merito dell’appunto è necessario dire qualcosa in più su questi due verbi.

Tueri è un verbo deponente (ha cioè forma passiva ma significato attivo) e il suo paradigma è tueor/tueris/tuitus sum/tueri. La sua variante tuere, invece, presenta forma e, naturalmente, pure significato, attivi e il suo paradigma è tueo/tues/tuere. Il lettore anche digiuno di latino noterà che nel paradigma di quest’ultimo manca al terzo posto quello che nel primo verbo è tuitus sum (cioè il perfetto, corrispondente al nostro passato prossimo o remoto). Ora è intuitivo che non esiste forma passiva di un verbo senza la sua forma attiva, perché è lo stesso concetto di passivo che nasce da quello attivo. E che tuere (forma e significati attivi) sia più antico di tueri (forma passiva ma significato attivo) lo mostra il fatto che tueri compare con significato passivo in due autori cronologicamente molto distanti tra loro: Vitruvio (I secolo a. C.) e Papiniano (II-III secolo d. C.). in altre parole nei verbi deponenti è legittimo supporre che all’origine avessero un significato passivo e che col passare del tempo abbiano assunto quello attivo, salvo, come abbiamo visto, in qualche autore.

Tutto ciò fa ritenere che tuere prima di essere soppiantato dal figlio tueri avesse anche lui se non la terza voce paradigmatica (perfetto), almeno la quarta prevista per i verbi di forma attiva  (detta supino) e che questa dovesse essere *tuitum, come si deduce dal tuitus che compare nel perfetto di tueri. Parente strettissimo di *tuitus è l’aggettivo tutus/tuta/tutum (che significa sicuro) come mostra tutus sum, cioè la variante di perfetto di tueri presente in Livio(I secolo a. C.-I secolo d. C.); il femminile tuta ha dato vita all’analoga  voce italiana, così come tutela, mentre da tutor è il nostro tutore.

E da tutus è nato prima tuto/tutas/tutare, che vuol dire proteggere, difendere e poi tutor/tutaris/tutatus sum/tutari  che significa vegliare su, proteggere e, in senso riflessivo, difendersi da, allontanare. Da notare, di passaggio, che anche tutare come tuere appare difettivo di perfetto e supino ma che quest’ultimo, analogamente a quanto rilevato in tueri  sarebbe stato tutatum, come mostra il tutatus sum di tutari.

Alla fine di questo lungo ragionamento mi pare di poter concludere che non è il caso di dannarsi l’anima per elucubrazioni fonetiche e tantomeno semantiche e che si può bypassare la diplomazia la del Rohfs che nella sua definizione unisce i due concetti, etimologicamente parlando, paralleli, come ho dimostrato, di guardare (tueri) e di coprire (tutare) sinonimo di proteggere, dicendo che che extutare è composto dalla preposizione ex (con regolarissimo esito in s– nel nostro stutare) con valore privativo e tutare, sicché lo stutare non è altro che privare il fuoco della vigilanza indispensabile perché esso non si spenga e, se si pensa alla sacralità del fuoco e alle Vestali, la definizione sembra affondare le radici in un atto blasfemo …

Se la definizione del Rohlfs non appariva troppo chiara, decisamente strano appare ciò che si legge nel Dizionario De Mauro al lemma stutare a proposito della sua etimologia: extutare, compostodi  ex- con valore intensivo, e tutari “estinguere”.

Come è conciliabile in tutari il significato attribuitogli di estinguere con quello di proteggere, cosa che ha costretto, fra l’altro, a dare alla preposizione ex un valore intensivo e non privativo? Quest’ultimo dettaglio è secondario perché in teoria ex col suo esito s– può avere valore privativo come in sbarbare, sbucciare, squagliareetc., etc., oppure intensivo, come in sbattere, spossare, strombazzare, etc. etc.  Ciò che appare strano è il significato di estinguere attribuito a tutari; il che ricorda tanto l’antica, sarcastica  locuzione neretina ti ògghiu tantu bbene ca ti cciu (ti voglio tanto bene che ti uccido), che oggi potrebbe essere tranquillamente messa in relazione, privata del suo significato sarcastico ma altrettanto drammatica, con l’eutanasia o messa in campo da qualche avvocato a corto di argomenti oltre che non aggiornato sull’evoluzione dei costumi, a difesa del cliente reo di aver ucciso il partner colpevole di averlo lasciato.

Il De Mauro evidentemente ha seguito l’opinione di alcuni filologi (REW 9018) che mettono in relazione con tutari il francese tuer, che significa uccidere, e l’italiano antico attutare (da cui l’attuale attutire) attraverso la filiera concettuale (sembra un climax ascendente) proteggere da >attutire il pericolo>eliminare il pericolo>eliminare l’autore del pericolo>uccidere. A parte la rocambolesca filiera che ho dovuto mettere in campo c’è da chiedersi, sul piano fonetico, che fine abbia fatto la seconda t di tutari, che apparirebbe aspirata solo nel catalano atuhir.

Comunque stiano le cose, mezzanotte è passata da un pezzo e, almeno per me,  è ttiempu cu stutu lu compiuter e cu vvo mmi corcu (tempo di spegnere il computer e di andarmi a coricare) …

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10 Commenti a Il nostro dialetto. STUTARE (SPEGNERE)

  1. Lì per lì la sua domanda sembrerebbe sibillina, cioè porre problemi interpretativi, ma molto probabilmente, visto che “stutare la luce” non è un nesso dialettale, lei intende riferirsi ai rapporti tra quest’ultimo e “smorzare la luce”. L’unica differenza sta nel significato attenuato di “smorzare”, sinonimo di “ridurre d’intensità”, mentre “stutare” è sinonimo di “spegnere”. Tuttavia nell’uso corrente “smorzare” è usato pure nel senso di “spegnere”: per esempio, “smorzare la sete”, a meno che il povero malcapitato abbia a disposizione meno di un bicchiere …
    E pensare, capricci dell’uso!, che “smorzare” è fratello dell’obsoleto “ammortare” che era sinonimo di “uccidere” ma era anche sinonimo di ” attutire”, dunque, in pratica, variante di “ammortare”. È rimasto, però, come termine tecnico, il sostantivo derivato “ammortamento” (graduale ripartizione nel tempo di un onere finanziario), insieme con il verbo derivato “ammortizzare”, da cui il sostantivo “ammortizzatore” (dispositivo per attutire urti o vibrazioni), che, dal campo meccanico, è passato a quello del lavoro (“ammortizzatori sociali”) sostituendo, senza risolvere il problema, “cassa integrazione”, come a suo “diversamente abile” … sostituì “handicappato” … La diluizione nel tempo della soluzione del problema e non la sua eliminazione di colpo appare abbastanza evidente dagli esempi appena fatti.
    Tutte le parole fin qui ricordate ruotano attorno al nucleo che è “morte”, cui cui si è aggiunta in testa la preposizione “ad” (=presso, vicino a) in “ammortare” e derivati e la preposizione “ex” con valore intensivo in “smorzare”.
    Per farla completa: “spegnere”, come mostra meglio la variante letteraria “spengere”, è dal latino “expingere”= scolorire, composto dal solito “ex” (questa volta con valore privativo) e “pingere”=colorare”.
    Spero di essere stato, per restare in tema, se non brillante, almeno sufficientemente chiaro e di non aver “stutato” la fioca luce che, senza illusioni, pensavo illuminasse il mio post.

    • La ringrazio per l’integrazione, che mostra l’ampio adattamento di “stutare” e che mi permette di fare ulteriori osservazioni.
      Mi pare di capire (da “dis-studà” collocato in parentesi tonde) che per lei la voce friulana derivi da “dis”+”studà” . “Dis-“(da “de”+”ex”) è la particella latina usata come primo termine di composti, con valore di distinzione (“dis-pònere”=disporre, porre qua là) o di negazione (“dis-placère”=dispiacere). Se così fosse avremmo nella “s-” di “studà”, che è dal latino “ex”, un’inutile ripetizione della “s-” (sempre da “ex”) già presente in “dis-“. Per questo in “distudà” la divisione sillabica coincide con quella etimologica: “di-studà”, in cui “di-” è dal latino “de”.
      Peccato che nel dialetto salentino non è usato “stuta-fuecu”, perché sarebbe stato l’esatto corrispondente di “studa-foec”.

  2. Nella città di Novoli conosciuta nel mondo per la sua maestosa Fòcara faro del Mediterraneo,questi vocaboli sono nel linguaggio comune “Mpicciare”=”avvicinare alla pece , alla resina” (sostanza che infiamma) Stutare = ex-tutare (ex = allontanamento; tutus = sicuro); quindi mettere al sicuro, allontanando (dal fuoco, evidentemente!).
    Scopriamo che, rispetto ad accendere e spegnere (o estinguere) dove si insisteva sugli effetti luminosi delle due operazioni dell’accendere o dello spegnere il fuoco, i vocaboli Salentini di mppicciare e di stutare evidenziano invece l’atto di avvicinare la sostanza infiammabile (nel caso di mppicciare), e quello di mettere al sicuro il focolaio (stutare) con l’allontanamento della fiamma. Ciò dimostra che nella formazione del significato si è passati da una percezione sensoriale dei fenomeni alla rappresentazione di una operazione meccanica.

    Una rappresentazione del premio Scòla al teatro comunale di Novoli,qui tutto ricorda DANTE ALIGHIERI E FEDERICO II ALLA FÒCARA DI NOVOLI . Il “Premio Scòla Federiciana”, che recupera le origini siculo-calabro-salentine della lingua italiana es.. Stutare.

    un cordiale saluto da Torino Ersilio Teifreto

  3. “Stutare=ex-tutare (ex=allontanamento; tutus=sicuro); quindi mettere al sicuro, allontanando (dal fuoco, evidentemente!)”.

    Cercherò di fare chiarezza, una buona volta per tutte, anche se nel post mi illudevo di aver raggiunto, sia pure non completamente, lo scopo.
    Partendo, per l’ennesima volta, da *extutare (e da “stutare lu fuecu”, ma il discorso vale anche per tutte le espressioni italiane in cui compare l’obsoleto “stutare” o l’attuale “spegnere” o la sua variante letteraria “spengere”) è incontrovertibile che la voce è composta da “ex”=lontano da e “tutari”=proteggere. La preposizione ex (partendo proprio dal suo significato unico di allontanamento) può nei composti assumere valore privativo o, al contrario, intensivo. Per essere più chiaro e diretto faccio degli esempi in italiano (in cui s- è proprio ciò che resta dell’originario “ex”): in sbilanciare s- è privativo (lontano da), in sbattere è intensivo (lontano sì, ma dalla misura normale, cioé al di fuori della norma, da cui il valore intensivo).
    Chiedo, tornando ad *extutare (e tenendo sempre presente “stutare lu fuecu”): in questa voce “ex” ha valore intensivo o privativo? Se avesse valore intensivo alla lettera significherebbe “proteggere il fuoco oltre il normale), se avesse valore privativo significherebbe “privare il fuoco della protezione”. Giunti a questo punto appare incontrovertibile che “ex” ha valore privativo, cioé quello che io ho sottolineato nel post tirando in ballo il carattere prezioso e sacrale di questo elemento.
    Nel ragionare, perciò, anche a livello etimologico, bisogna essere coerenti e non far diventare attivo ciò che è originariamente passivo, o viceversa, magari per corroborare una nostra ipotesi. In tutte le espressioni in cui in passato “stutare” (ed oggi “spegnere”) reggeva un complemento oggetto era questo il destinatario della interrotta protezione, anche quando si trattava di persona “stutare il nemico”=uccidere il nemico.
    La frase virgolettata che ho “incriminato” all’inizio andrebbe, perciò, corretta nel modo che segue (in parentesi tonde le motivazione sinteticamente espresse).

    Stutare=*ex-tutare; ex=lontano da (con valore privativo); tutare o tutari=proteggere (e non tutus=sicuro, perché in esso c’è già stato il passaggio dal concetto attivo di “proteggere” a quello passivo di “sicuro”, il che ha finito per “inquinare” l’intero periodo). “Stutare”, perciò, vuol dire “privare della protezione”. “Stutare lu fuecu”=privare il fuoco della custodi>lasciarlo spegnere>”ucciderlo”; “stutare la sete”=non mantenere più la sete>farla spegnere>”ucciderla” bevendo.

  4. le sue – sono sempre accurate grandiosità – se mi permette: inserirei al Suo citato proverbio neretino il nostro ; pè llu bbene ca me uei ten/de cacciu le musche cu nu magghiu – detto in agro di Arnesano – Monteroni – Magliano – Carmiano – Novoli – grazie sempre e cordialità -peppino

  5. Se le mie sono “accurate grandiosità”, che cos’è la testimonianza che lei ci ha dato di un detto che è un capolavoro di ironia ancora più spinta rispetto a quello neretino, visto che l’offesa (senza, fra l’altro, giungere necessariamente all’uccisione) avviene contestualmente ad un gesto spacciato per favore?

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