Alimini: appunti per una storia del toponimo

di Armando Polito

immagine tratta da https://it.wikipedia.org/wiki/Laghi_Alimini#/media/File:Laghi_Alimini_Otranto.jpg
immagine tratta da https://it.wikipedia.org/wiki/Laghi_Alimini#/media/File:Laghi_Alimini_Otranto.jpg

 

 

Per la serie quandoque bonus dormitat Homerus, dopo quanto ebbi occasione di rilevare a proposito di una proposta etimologica del grande Rohlfs (https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/06/23/quando-il-rohlfs-inciampo-in-un-sassolino-del-salento/), mi permetto oggi, per quanto indegno di Omero, del Rohlfs e di chi sto per nominare,  di ricordare la proposta etimologica che di Alimini fece Giacomo Arditi (1815-1891) nella sua Corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto, Stabilimento tipografico “Scipione Ammirato”, Lecce, 1879-1885. Riproduco  da p. 301 la parte di testo che ci interessa e la relativa nota.

L’Arditi sembra mettere in campo un Λιμυις. Visto che non c’è ombra d’accento debbo rinunciare alla mia consueta lettura/trascrizione per chi non conosce il greco. Tuttavia, qualsiasi accento si ipotizzi, la voce in greco non esiste. Ipotizzando, invece, un errore di stampa (-υ– per –ο-) potremmo pensare in teoria ad una lettura Λίμοις (Lìmois) o Λιμοῖς ( Limòis). Ho detto in teoria perché in pratica Λίμοις non esiste e Λιμοῖς potrebbe essere solo dativo plurale del nome comune λιμός (leggi limòs), che significa fame. Ora, a parte il fatto che non si capisce che origine abbiano la A–  e il –ni– di Alimini, nemmeno λιμός potrebbe essere messo in campo perché in questo caso non si capisce come un dativo, per giunta plurale, per giunta di un nome astratto (anche se i suoi sintomi sono, eccome, concreti …), possa aver dato vita ad un toponimo. D’altra parte neppure l’ipotesi di uno scambio, sempre per errore di stampa, di -ν- con -u- porterebbe a nulla perché anche Λιμvις (qualunque sia l’accento) in greco non esiste.

Tuttavia, prima di prendercela con l’Arditi, non trascuriamo la nota 1, anche se tutto lascerebbe presagire il gioco dello scaricabarile o della fiducia cieca …

Galat. cit. oper. si riferisce al De situ Iapygiae di Antonio de Ferrariis alias Galateo (circa metà del XV secolo-1517), opera uscita postuma per la prima volta a Basilea per i tipi di Perna nel 1558.

Marciano, cit. oper. si riferisce a Descrizione, origine e successi della Provincia d’Otranto, di Girolamo Marciano (1571-1628), uscita postuma con le aggiunte di Domenico Tommaso Albanese (1638-1685) per i tipi della Stamperia dell’Iride a Napoli nel 1855.

Procedo al controllo e riproduco di seguito dall’edizione citata del Galateo il brano che ci interessa; per facilitare la comprensione di quanto dirò, prima della traduzione fornirò la trascrizione.

 

 

 

 

 

In ora Ionii, quarto ab urbe lapide lacus est piscosus, cymbis tantum piscatoriis nabilis, quem incolae afhuc Graecè λίμνην nominant; seu ut Galenus ait, Limnothalassan (ita enim ille appellat lacus qui in mare fluunt,  refluunt).

Lungo la riva dello Ionio a quattro miglia dalla città vi è un lago pescoso, navigabile solo da barche da pesca, che gli abitanti ora chiamano con nome greco λίμνην, oppure, come dice Galeno, Limnotalassan (così infatti egli chiama i laghi che affluiscono in mare e ne rifluiscono).

Intanto c’è da dire che nel Galateo non si trova Λιμοις ma λίμνην, accusativo di λίμνη, che significa acqua stagnante, palude, lago. La voce è legata al verbo λείβω (leggi lèibo), che significa stillare, versare, spandere , con cui è connesso a sua volta il latino libare che significa versare o spargere a terra o su un altare latte, vino e simili in onore degli dei o dei defunti oppure assaggiare oppure sfiorare leggermente, oppure, per traslato, conoscere superficialmente, oppure diminuire, intaccare. L’originaria valenza religiosa di libare, già traballante in latino, è scomparsa completamente nell’analoga voce italiana sinonimo di brindare, per non parlare del significato assunto da libagioni e da illibata, che oggi potrebbe definirre la donna che ha avuto contemporaneamente una decina di relazioni … Parenti stretti  di λίμνη sono λείμαξ (leggi lèimax), che significa prato, e λειμών (leggi leimòn)=luogo irriguo, prateria, con cui è connesso il latino limum=fanghiglia, da cui l’italiano limo , mentre limaccioso è da limaccio, a sua volta dal latino tardo limaceu(m), forma aggettivale dal citato limum. Per completare il commento aggiungo che Limnothalassan è trascrizione del greco  λιμνοθάλασσαv (leggi limnothàlassa), accusativo di λιμνοθάλασσα, composto dal già noto λίμνη+θάλασσα che significa mare.

Passo ora al Marciano col dettaglio di p. 198; lo riproduco più estesamente di quanto sarebbe necessario perché contiene una notizia interessante anche nel riferimento storico che la correda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ora è chiaro che dal punto di vista etimologico fa testo il Galateo, travisato, non riesco a capire per quale motivo, dall’Arditi; tuttavia il della Limini del Marciano è prezioso per l’Alimini attuale, perché costituisce la fase intermedia, come vedremo. Limini, infatti è da λίμνη con epentesi di una –i– per ragioni eufoniche. Ancora più vicino a λίμνη per la terminazione in –e si presenta il toponimo Lìmene (nel dettaglio che segue evidenziato in rosso) della carta del Mercatore del 1589.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una sorta di italianizzazione nella desinenza, invece, si nota nel Lìmina che si legge nella carta aragonese della quale mi sono occupato in diverse puntate (per la nostra zona vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/03/13/lecce-territori-sud-est-carta-aragonese-del-xv-secolo/).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nelle carte del secolo XVII si legge: la limine nel Bulifon

 

 

 

 

La Limina nell’Hondius e nel Magini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Limmene nel Castaldi

 

 

 

 

Andando avanti nel tempo: La Limana nel De Rossi (1714)

 

 

 

 

Gli Alimeni nell’atlante di Rizzi-Zannone (1789-1808)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A questo punto, col frettoloso processo di ricostruzione cui ho dato vita, non mi è stato possibile stabilire, per l’esiguità del materiale esaminato, la data di nascita precisa dell’attuale Alimini, anche se essa è presumibilmente da collocarsi verso la metà del XVIII secolo.

Ma dirà il lettore, come si è passati dal limne del Galateo ad Alimini?

Ecco la trafila completa: limne>lìmene (la già nominata epentesi di –e– per motivi eufonici)>la Lìmene>l’Alìmene (agglutinazione della –a dell’articolo1). A questo punto il nome è diventato Alimene e, siccome i laghi che compongono lo specchio d’acqua sono due, l’Alìmine è diventato prima Gli Alìmeni e poi gli attuali (ma il processo, come dimostra la storia, non è destinato ad interrompersi) Alìmini o Laghi Alìmini.

____

1 Fenomeni del genere appaiono di origine popolare, perché nascono da un fraintendimento che conduce ad un’errata grafia, la quale poi finisce per imporsi con l’uso, che nella lingua è sovrano, forse troppo sovrano per i miei gusti . Un esempio simile ad Alimini è quello di la radio>l’aradaio>aradio. Tuttavia non mancano casi in cui, al contrario,  la forma corretta si è conservata nella voce dialettale e la scorretta si è imposta nella lingua nazionale, sia pure con la complicità, forse, nell’esempio che farò, di un incrocio con altra parola. All’italiano lastrico corrisponde il salentino àstricu, che è dal latino medievale astracu(m), a sua volta dal greco ὄστρακον (leggi òstracon) che significa coccio, conchiglia (il pensiero corre, giustamente, al cocciopesto). Lastrico nasce proprio dall’incorporazione dell’articolo (l’astrico>lastrico) con lo zampino, forse, di lastra.

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