LO STEMMA DEL PALAZZO BASILE DI FRANCAVILLA FONTANA: UN CURIOSO CASO DI ARMA PARLANTE

di Marcello Semeraro

PREMESSA

Uno degli aspetti più interessanti ricavabili dallo studio del blasone delle famiglie storiche francavillesi – notabili o nobili che siano, il confine spesso è molto labile – è lo stretto rapporto che intercorre fra araldica e antroponimia. Ci riferiamo, in particolare, a quella tipologia di armi che recano una o più figure che richiamano il nome del titolare e che gli araldisti chiamano, non a caso, parlanti. Classificarle non è facile. Grossomodo si può dire che la relazione che si stabilisce tra le figure dello scudo e il cognome può essere di tipo diretto (armi parlanti dirette), allusivo (armi parlanti allusive), oppure può articolarsi su un gioco di parole (armi parlanti per gioco di parole). Considerate dagli araldisti dell’Ancien Régime meno nobili e meno antiche, queste armi esistono in realtà sin dalla nascita dell’araldica e furono adoperate da dinastie di grande importanza.

Basti pensare ai sovrani di Castiglia e León, che a partire dalla seconda metà del XII portarono uno scudo raffigurante un castello e un leone, ai conti di Bar, che innalzarono due branzini (bar) addossanti, oppure, per restare in ambito italiano, ai Colonna (una colonna), ai Della Rovere (una rovere), ai Della Scala (una scala), ecc. L’indice di frequenza di questa categoria di armi è molto elevato, sia nell’araldica gentilizia che in quella civica. Si calcola che circa un 20% di armi medievali siano qualificabili come parlanti. Ma questa percentuale è destinata a crescere alla fine del Medioevo e in epoca moderna, grazie soprattutto alla diffusione che esse ebbero fra i non nobili e fra le comunità. D’altra parte, se ci pensiamo bene, l’impiego di figure parlanti è il procedimento più semplice per crearsi uno stemma.

Ma veniamo all’araldica francavillese – i cui usi, è bene ricordalo, si iscrivono nel più ampio quadro dell’araldica del Regno di Napoli – e al suo rapporto con l’antroponimia familiare. Dallo studio degli esemplari araldici di cui è disseminato il centro storico francavillese emerge chiaramente che le famiglie nobili e notabili che fecero uso di armi parlanti adoperarono varie formule per rappresentare la relazione fra le figure dello scudo e il nomen gentilizio. Manca lo spazio per approfondire la questione. In questa sede ci limitiamo a dire che il rapporto fra il significante (la figura) e il significato (il cognome) può costruirsi su una o più figure associate fra loro e svilupparsi in modo diretto (un cane per i Caniglia, ad esempio), allusivo (come nello stemma dei Carissimo, raffigurante un cuore sormontato da tre stelle) o attraverso un gioco di parole, come nel caso dello stemma oggetto di questo studio. Si tratta, comunque, di un corpus molto interessante di stemmi che ci auguriamo divenga oggetto di uno studio organico che sia in grado di offrire una visione d’insieme del fenomeno, così da valutarne meglio la portata.

 

LO STEMMA DELLA FAMIGLIA BASILE

Fra gli esempi più curiosi di armi parlanti riscontrabili nel blasone francavillese, un posto di primo piano spetta sicuramente allo scudo innalzato dalla famiglia Basile. L’insegna è scolpita al di sopra dell’elegante portale con fornice ad arco a tutto sesto che nobilità la facciata dell’omonimo palazzo (oggi di Castri) ubicato in via Roma, l’antica via Carmine (fig. 1).

Fig. 1. Francavilla Fontana, via Roma, portale d’ingresso del palazzo Basile (ora di Castri).
Fig. 1. Francavilla Fontana, via Roma, portale d’ingresso del palazzo Basile (ora di Castri).

 

La costruzione del palazzo risale alla fine del XVIII secolo, datazione che viene confermata anche dall’analisi stilistica del manufatto araldico. La composizione, di fattezze tipicamente settecentesche, reca uno scudo perale con contorno a cartoccio, timbrato da un elmo aperto, graticolato e posto in terza, ornato di svolazzi e cimato da una corona nobiliare.

Per quanto riguarda il contenuto blasonico, la composizione presenta varie figure, delle quali hanno una natura parlante che si evince solo da un’attenta analisi dell’iconografia araldica. Lo scudo raffigura, infatti, un basilisco (il mostruoso gallo serpentiforme con il corpo intriso di veleno, capace di uccidere con il solo sguardo), ardito su una pianura erbosa, tenente con la zampa destra un vaso nodrente una pianta di basilico, accompagnato nel cantone sinistro del capo da una cometa ondeggiante in sbarra e attraversato da una banda diminuita e abbassata rispetto alla sua posizione ordinaria (figg. 2, 3 e 4).

Fig. 2. Francavilla Fontana, via Roma, palazzo Basile (ora di Castri), particolare dello stemma.
Fig. 1. Francavilla Fontana, via Roma, portale d’ingresso del palazzo Basile (ora di Castri).

 

Fig. 3. Il basilisco, creatura mostruosa che si voleva generata da un uovo deposto da un gallo anziano, ma covato da una bestia velenosa come il rospo, l’aspide o il drago. Figura ibrida, ha la testa, le ali e le zampe di un gallo, ma il corpo termina a forma di serpente. E’ sormontato da una cresta carnosa simile ad una corona (da cui il nome che significa “piccolo re”). E’ il “re dei serpenti” e tutti lo temono, tranne la donnola, come si vede in questa splendida miniatura. Londra, British Library, Royal MS 12 C XIX, fol. 63v.
Fig. 3. Il basilisco, creatura mostruosa che si voleva generata da un uovo deposto da un gallo anziano, ma covato da una bestia velenosa come il rospo, l’aspide o il drago. Figura ibrida, ha la testa, le ali e le zampe di un gallo, ma il corpo termina a forma di serpente. E’ sormontato da una cresta carnosa simile ad una corona (da cui il nome che significa “piccolo re”). E’ il “re dei serpenti” e tutti lo temono, tranne la donnola, come si vede in questa splendida miniatura. Londra, British Library, Royal MS 12 C XIX, fol. 63v.

 

Fig. 4. Stemma parlante della famiglia Basilicò (da V. Palazzolo Gravina, Il Blasone in Sicilia, Palermo 1871-75, tav. XVIII, n° 11).
Fig. 4. Stemma parlante della famiglia Basilicò (da V. Palazzolo Gravina, Il Blasone in Sicilia, Palermo 1871-75, tav. XVIII, n° 11).

 

Come si vede dal blasone, la relazione fra le figure parlanti e il nome di famiglia è di tipo indiretto e si ottiene associando nello scudo due figure diverse che richiamano il cognome attraverso un gioco di parole (Basile/basilisco/basilico). Ma questa relazione nasconde anche una comune radice etimologica, giacché sia la forma cognominale Basile (come vedremo più avanti), sia i lemmi basilisco (gr. βασιλίσκος, lat. basiliscus, “piccolo re”) e basilico (gr. βασιλικόν, lat. basilicum, “pianta regale”) derivano da βασιλεύς (lat. basileus), nome che nell’antica Grecia designava il re. Tuttavia, questa connotazione parlante dello stemma Basile non è stata colta né dagli studiosi di storia locale che se ne sono occupati, né dagli araldisti che ne hanno fornito il blasone.

Lo storico francavillase Pietro Palumbo, ad esempio, in una pagina della sua celebre Storia di Francavilla nella quale descrive l’arma Basile, scambia erroneamente il basilisco per un “gallo coronato” e la pianta di basilico per dei “fiori”. Lo stesso dicasi per un araldista attento come Edgardo Noya di Bitetto, che nel suo Blasonario generale di Terra di Bari assegna ai Basile, nobili di Molfetta e originari di Bisceglie, uno scudo d’azzurro, al gallo d’oro, crestato e barbato di rosso, ardito su una pianura erbosa al naturale, mostruoso con la coda attorcigliata di serpe, tenente con la zampa destra un vaso d’oro, ansato con mazzo di fiori, al naturale, nudrito nel vaso; alla banda di rosso attraversante. Il blasone riportato dal Noya di Bitetto, che differisce da quello francavillese per l’assenza della cometa, ha tuttavia il merito di restituire allo stemma Basile la sua cromia originaria. Cosa non di poco conto se si pensa che, contrariamente a quanto doveva essere in origine, il manufatto scolpito sul portale d’ingresso del palazzo di via Roma si presenta oggi acromo. Assodata l’origine parlante dello stemma in esame, resta da sciogliere una questione: è stato il nome a generare l’arma o viceversa?

Benché manchi un repertorio cronologico-figurativo attraverso cui poter studiare l’origine e l’evoluzione della suddetta insegna, ci sentiamo di poter rispondere a questa domanda mettendo in campo considerazioni di natura etimologica e antroponimica.

Il gentilizio Basile è la cognominizzazione del nome Basilio, continuazione del latino Basilius – che a sua volta è l’adattamento del personale greco Βασίλειος, che propriamente significa regale – affermatosi in Italia già in epoca altomedievale soprattutto per il prestigio e il culto di San Basilio il Grande di Cesarea, vissuto nel IV secolo d.C. Essendo il nome di famiglia derivato da un nome proprio, è lecito quindi pensare che sia stato il cognome a precedere lo stemma parlante, non il contrario. Del resto l’impiego di figure parlanti era il modo più semplice che ebbe questa famiglia per dotarsi di uno stemma gentilizio.

Un analogo procedimento di trasformazione grafica del nome, d’altronde, si riscontra anche altrove, sia dentro che fuori lo scudo: la famiglia siciliana Basilicò, ad esempio, porta un vaso nodrente una pianta di basilico (fig. 4.); i napoletani Basile, un basilisco su un monte di tre cime all’italiana (fig. 6); la città di Basilea, sempre un basilisco, ma impiegato come supporto parlante all’esterno dello scudo (fig. 5).

Fig. 5. Basilisco che fa da supporto all’arma civica di Basilea. Stampa del XVI secolo, archivio personale dell’araldista Ottfried Neubecker.
Fig. 5. Basilisco che fa da supporto all’arma civica di Basilea. Stampa del XVI secolo, archivio personale dell’araldista Ottfried Neubecker.

 

Fig. 6. Arma dei Basile di Napoli (da V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano 1935, suppl. 1°, p. 302).
Fig. 6. Arma dei Basile di Napoli (da V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano 1935, suppl. 1°, p. 302).

 

Sulle origini della famiglia Basile di Francavilla poco si sa. Le informazioni tramandate dagli storici locali sono parziali e lacunose e i non pochi casi di omonimia rendono la ricerca più difficoltosa. Tuttavia, lo stemma in esame è uno dei quei casi in cui l’araldica diventa un prezioso ausilio della genealogia, permettendo, in base al blasone, di distinguere o accomunare le famiglie omonime. Il Palumbo vuole i Basile originari di Martina Franca, ma sulla base del comune blasone dobbiamo ritenere che appartenessero allo stesso ceppo dei Basile “originari di Bisceglie” di cui parla il Noya di Bitetto. Ulteriori ricerche, miranti all’individuazione di un solido aggancio genealogico, fornirebbero alla nostra tesi i necessari riscontri. Come gli altri palazzi presenti in via Roma, l’edificio sulla cui facciata è collocato lo stemma fa parte del sistema dei palazzi signorili costruiti a seguito della sistemazione urbanistica voluta dai principi Imperiali nel XVIII secolo. Vera e propria firma della committenza, l’arma in questione è una testimonianza importante che si iscrive nel più vasto ambito dei sistemi di rappresentazione dei segni d’identità di cui si servirono le maggiori famiglie francavillesi parallelamente all’affermazione e al consolidamento del proprio status, in un lasso di tempo che va dal XVI al XVIII secolo. Si tratta di un linguaggio importante, poco investigato ma ricco di contenuti e di implicazioni su più fronti (storia della mentalità, gusti e tendende artistiche dell’epoca, modi di presentarsi al pubblico, ecc.) che ci auguriamo sia fatto presto oggetto di uno studio specifico. Nonostante il cambio di proprietà e i rimaneggiamenti cui è stato sottoposto il palazzo in questione nel corso del tempo, l’arma innalzata dai proprietari originari (non sappiamo esattamente da chi all’interno della famiglia) è ancora lì a perpetuarne la memoria e a tirare fuori molti fili rossi di una storia a lungo trascurata dai cultori di memorie patrie.

 

Bibliografia

– E. De Felice, Dizionario dei cognomi italiani, Milano 1978.

– G.B. Di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, Pisa 1886-1890.

– E. Noya di Bitetto, Blasonario generale di Terra di Bari, Bologna : A. Forni, 1981.

– P. Palumbo, Storia di Francavilla Fontana, Bologna : A. Forni, 1974.

– M. Pastoureau, Bestiari del Medioevo, Torino 2012.

– M. Pastoureau, Medioevo simbolico, Bari 2014.

– V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana. Famiglie nobili e titolate viventi riconosciute dal R° Governo d’Italia. Compresi: città, comunità, mense vescovili, abazie, parrocchie ed enti nobili e titolati riconosciuti, Milano 1928-1935.

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16 Commenti a LO STEMMA DEL PALAZZO BASILE DI FRANCAVILLA FONTANA: UN CURIOSO CASO DI ARMA PARLANTE

  1. A PROPOSITO DI FILI ROSSI DI UNA STORIA A LUNGO TRASCURATA, io solleciterei a riflettere anche sul “Vasilicò” – sul “Vaso” che contiene la terra e il “Basilicò”! L’arma parlante, così, non appare un caso curioso, ma dice proprio la sostanza della “cosa” e del messaggio della “casata”: questa terra è mia, l’ho coltivata io, è un piccolo “paradiso”, io ne sono il re. e io la difendo e la custodisco con tutte le mie forze.

    Ma su tutto questo, confortante sarebbe un parere del saggio prof. Armando Polito.

    Ad ogni modo, sul tutto, i miei più vivi complimenti. Buon lavoro!

    Federico La Sala

  2. Consapevole di deludere le aspettative di saggezza in me troppo fiduciosamente riposte da Federico ed associandomi a lui nel formulare i miei complimenti all’autore del post, mi limito a fornire solo un esempio pertinente al nostro caso di coabitazione tra scienza e poesia. Per brevità non riporto i testI originalI ma la mia traduzione (in parentesi quadre le necessarie integrazioni). I due autori sono pressoché contemporanei (I secolo d. C.) ed è impossibile stabilire nella fattispecie la priorità dell’uno rispetto all’altro, a parte il fatto che molto probabilmente entrambi riprendono una leggenda molto diffusa, presumibilmente da molto tempo.

    Plinio, Naturalis Historia, VIII, 36-79:
    Medesima [rispetto a quella di un altro animale, chiamato catoblepas, pericolosissimo perché basterebbe guardarlo negli occhi per morire] è la natura del serpente basilisco. Esso nasce nella provincia di Cirenaica, non è più grande di dodici dita [sarà la versione miniaturizzata dell’animale come generalmente è noto e raffigurato …; ironia a parte va detto che nei Theriaca di Nicandro, autore greco del II secolo a. C. esso viene descritto come una specie di serpente di dimensioni ridotte], sul capo ha una macchia bianca a mo’ di diadema. Col suo sibilo mette in fuga tutti i serpenti né si muove, come gli altri serpenti, con un intenso movimento avvolgente ma procede eretto dalla parte mediana in su. Fa appassire le piante non solo per contatto ma anche col semplice fiato, brucia le erbe, frantuma i sassi, tanta è la forza di questa bestia. Si crede che una volta, dopo che uno era stato ucciso da un cavaliere con l’asta, il veleno, risalendo uccise cavallo e cavaliere.

    Lucano, Pharsalia, IX, 828-933):
    Che giova al povero Murro il basilisco trafitto dalla lancia? Il veleno corre veloce attraverso l’arma e invade la mano: immediatamente egli, snudata la spada, vibra un colpo, la stacca dal braccio e con questa morte parziale si illude di aver salvato la vita.

    C’è da giurare che il povero cavaliere per colpa di quel basilisco per giunta morto, non ebbe nemmeno la possibilità di diventare mancino come Muzio Scevola e bisognerà aspettare qualche secolo perché san Giorgio prima e san Siro poi vendichino i loro sfortunati colleghi …
    Non so dove potrei arrivare se dovessi continuare, perciò chiudo con una nota animalesca: il Palumbo ed il Noya potrebbero essere stati indotti in errore dall’avere scambiato per piume quelle che in realtà sono scaglie e dalla mancanza di fortuna, consistente nel fatto che a nessuno dei due è balenato il possibile collegamento tra l’animale e il nome della famiglia e nessuno dei due si è ricordato della leggenda bediana che vuole il basilisco nato dall’uovo deposto di tanto in tanto da un gallo anziano (altro che fecondazione assistita ed utero in affitto …) e covato da un serpente velenoso. Per una rivisitazione tutta neretina di questa leggenda: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/03/23/attenti-al-basilisco/.
    Per il basilico, invece, se il tempo non è tiranno, segnalo https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/12/11/il-basilico-dannoso-inoltre-soprattutto-alle-donne-avendo-contro-di-loro-una-tale-naturale-ostilita/.

    Sul suggestivo rapporto tra basilico e vaso (che può essere solo di natura allusiva (essendo l’etimo completamente diverso) non mi pronuncio (nel senso che nessuno può dire con certezza cosa frullasse al momento nella testa degli interessati) ma la cosa, continuando a sfruttare il dialetto napoletano (sono graditissime le inevitabili correzioni …), m’ispira una scenetta che ha per protagonista un uomo (lo chiamerò Armando) ed una donna dalla bocca poco attraente, soprattutto, quando la apre, per via della dentatura quasi inesistente (la chiamerò, ricordando il famoso detto sul cavallo omonimo …) Donata (la scena si svolge in pieno giorno):

    DONATA – Ramm ‘nu vaso ! –
    ARMANDO (porgendole un vaso) – Pigliate ‘ sto vase! –
    DONATA (protendendo due labbra a canotto, socchiuse sufficientemente a mostrare lo sfacelo) – Mo te ‘o rong io ‘o vase !-
    ARMANDO (rassegnato) – E ramm chistu vase ‘e notte! –

  3. Gentile Sig. La Sala, innanzitutto la ringrazio per il suo intervento e per i complimenti. Le dirò di più. Nel corso delle miei ricerche onomastiche sui Basile, non ho potuto fare a meno di notare che esiste anche una variante cognominale con la grafia Vasile. Dunque Vasile/vaso. Tuttavia, inserire tale variante come spiegazione dell’origine parlante dell’arme dei Basile di Francavilla mi sembrava una forzatura, tanto più che in araldica la pianta di basilico appare sempre nodrita su un vaso. Inoltre, i documenti che ho potuto consultare presentavano sempre la forma Basile. Per quanto riguarda la seconda osservazione che lei ha fatto (quella relativa al messaggio della casata), è un’ipotesi suggestiva ma priva di riscontri. Lei ipotizza una sorta di allegoria familiare contenuta nell’arma. Tuttavia, le raffigurazioni araldiche non sono simboli, ma emblemi e tali sono soprattutto le armi parlanti.

  4. Complimenti Marcello per questo altro prezioso lavoro di cui ci hai fatto dono. Sono pagine che resteranno, per la qualità e per la ricchezza di informazioni che hai inserito, con la tua grande competenza che oramai ci è nota. Come sempre ti dico, non ti fermare mai, perché l’araldica è tua e hai ancora tanto altro da dirci… Alla prossima!

  5. PIù che confortato dagli autorevoli e rapidi interventi, non ho che da ringraziare vivamente il prof. Polito, e l’Autore dell’articolo, per la generosità e la ricchezza della loro personale risposta. E inviare a tutti e Tre, compreso il direttore della Fondazione, i miei auguri di “buon lavoro!” e i miei più cordiali saluti.

    Federico La Sala

  6. Ti ringrazio io, Marcello. E ringrazio il Sig.Polito per la sue interessantissime considerazioni. Soprattuto il passo di Plinio ebbe un’enorme influenza sulla rappresentazione del basilisco nell’arte, nei bestiari e negli stemmi. Marcello, non so tu, ma io ritengo lo stemma Basile fra i più originali di Terra d’Otranto.

  7. UN “VASO” DI BASILICO, SENZA “STELLA” E SENZA “BASILISCO” …

    TUTTAVIA PROPRIO PER RENDERE più brillante l’analisi fatta, anche alla luce degli ulteriori dati messi a disposizione nelle risposte, credo che la questione del “vaso” (che, in generale, è anche la “casa” del basilico) non sia da sottovalutare: ciò che il BASILISCO mostra, “offre”, e “custodisce” è proprio il VASO con il BASILICO, sotto la buona STELLA (se non sbaglio, con otto punte) cometa.

    ALLA LUCE DELLE MOLTEPLICI E PREZIOSISSIME informazioni fornite dal saggio prof. POLITO, forse non è inutile richiamare alla memoria quanto il BOCCACCIO in un “passaggio” del “Decameron”, nella “novella quinta” della “giornata quarta” – “I fratelli d’Ellisabetta uccidon l’amante di lei; egli l’apparisce in sogno e mostrale dove sia sotterrato. Ella occultamente disotterra la TESTA e mettela in un TESTO di BASSILICO” – narra: “Poi prese un grande e un bel testo, di questi ne’ quali si pianta la persa o il basilico, e dentro la vi mise fasciata in un bel drappo; e poi messavi sù la terra, sù vi piantò parecchi piedi di bellissimo BASSILICO salernetano, e quegli da niuna altra acqua che o rosata o di fior d’arancio delle sue lagrime non innaffiava giammai (…) Il BASILICO, sì per lo lungo e continuo studio, sì per la grassezza della terra procedente dalla testa corrotta che dentro v’era, divenne bellissimo e odorifero molto(…)”.

    Federico La Sala

  8. E’ possibile che lo stemma dei Basile abbia una funzione “totemica”, che assolva a un ruolo di “memoria” e di coesione familiari, espressi attraverso le figure dell’arma in una sorta di autentico patrimonio emblematico. Ripeto, la spiegazione allegorica è molto affascinante. Io mi sono attenuto a quella emblematica e semiotica perché evidente e chiaramente dimostrabile. Gli studi statistici dimostrano come negli stemmi gentilizi, la dimensione allegorica o simbolica sia poco frequente. Sono perlopiù emblemi: la loro funzione è quella di indicare il nome del titolare piuttosto che un’idea, un concetto. Tuttavia, ci sono casi in cui lo stemma è sia simbolo o allegoria, sia emblema. Purtroppo non potremmo mai sapere se vi furono motivazioni allegoriche dientro la scelta delle figure dell’arma Basile, tanto più che non abbiamo un repertorio cronologico-figurativo attraverso cui valutarne le origini e gli sviluppi.

  9. IL SEME RARO DI UNA ARALDICA NUOVA …

    ***E’ possibile che lo stemma del Basile abbia una funzione ” totemica”, che assolva a un ruolo di “memoria”*** – Che questo possa essere “possibile”, è proprio una considerazione brillantissima, BASILA-RE, che rende ONORE a chi SA e SAPEVA (seguendo la strada indicata dalla STELLA cometa) GOVERNA-RE le proprie forze “bestiali”, COLTIVA-RE la terra del “proprio” GIARDINO, e DIVENTA-RE chi si è (chi si era):UN RE, UNA REGINA. Un “BASILE-O”, una “BASILE-A” con il proprio “BASILISCO”, la propria “STELLA”, e il proprio BACILE (vaso!), in cui far CRESCE-RE la propria “erba”, il proprio – legale e regale – BASILICO!

    “CHI SIAMO” E’ “CHI ERAVAMO”! Al di là di ogni nobiltà di spirito MEDIEVALISTICHEGGIANTE, di TERRA e SANGUE, E di ogni FAMILISMO AMORALE. BASILICA-MENTE!!!

    Federico La Sala

    • NOBILISSIMO SEMERARO,

      il mio intervento e la mia sollecitazione a forzare la logica strettamente tecnica della ARALDICA e ad aprire il campo a connessioni inedite, è nata dall’entusiasmo di una ricerca “ARCHEOLOGICA” ben condotta e dalla mia convinzione che dovesse essere portata avanti a meglio ILLUMINARE tutti gli elementi dell’oggetto in esame: lo stemma del Palazzo BASILE di Francavilla Fontana.

      *** INSOMMA, PAROLA CHIAVE*** – SI’, SI TRATTA DELLA PAROLA CHIAVE DELLA PRESENTE SOCIETA’, QUELLA DELLA PAROLA PERDUTA, quella con la “TESTA” finita nel “TESTO” – rileggere sopra la nota su BOCCACCIO, che sapeva di “Lisabetta da Messina” e aveva cominciato a imparare il greco da LEONZIO (non Ponzio!) PILATO di Seminara (https://it.wikipedia.org/wiki/Leonzio_Pilato). QUELLA CHE NON SA PIU’ del FILO che connette il “RE” della cucina mediteranea, il BASILICO, con il “RE” del Palazzo di GIUSTIZIA, la “BASILICA”, dell’intera Società!

      SIAMO PARLATI dalle parole, non sappiamo più cosa ci dicono! Parliamo, parliamo, ma che cosa ci stiamo dicendo?! Di che cosa parliamo?! La parola “BASILICA” – DOPO COSTANTINO – è diventato sinonimo dell’edificio “CHIESA”. DOVE è finita la nostra connessione con la Legge, con il Re, e … con il “Basilico”, il “Basilisco”, e la “Stella” cometa?!

      ***GIOCO DI PAROLA*** – Sì, è un GIOCO, ma ciò che qui è IN GIOCO è addirittura (non sembri strano e non sembri offensivo!) qualcosa di connesso alla Via, alla Verità, e alla Vita. Alla propria vita, alla propria via, alla propria verità – non di qualche altro! Se no, che stiamo facendo, veramente? Stiamo solo giocando?!

      I MIEI PIU’ VIVI RINGRAZIAMENTI PER LA SUA GENEROSA ATTENZIONE.

      Federico La Sala

  10. Complimenti per questo interessantissimo studio, condotto con il solito impeccabile rigore. Mi ha sempre incuriosito questo palazzo (discendo dai di Castri, per mia nonna materna) purtroppo non ho mai visitato l’interno. Francavilla e’ piena di tesori architettonici mai troppo studiati…grazie Marcello.

  11. ALLA LUCE DELL’OGGI: BASILE, BASILICO, BASILICA, E “BUON-MESSAGGIO” …

    NOBILISSIMO SEMERARO

    Ieri ho letto un brillante articolo sul capo dei clavigeri dei musei della Santa Sede (cfr. L’uomo che apre le porte dei capolavori vaticani: “Ho le chiavi del paradiso”: http://www.repubblica.it/vaticano/2017/01/29/news/l_uomo_che_apre_le_porte_dei_capolavori_vaticani_ho_le_chiavi_del_paradiso_-157112164/?ref=HREC1-10) e la mia attenzione è stata richiamata da questa citazione:

    “Due chiavi decussate, cioè incrociate a X, appaiono negli stemmi ed emblemi dei papi – scrive Tiziana Lupi su “Il mio Papa” – Sono una d’oro (potere spirituale) e una d’argento (potere temporale); hanno i congegni traforati a croce e sono unite da un cordone, simbolo del legame tra i due poteri”.

    CONSIDERATO il suo “impeccabile rigore”, e NON VOLENDO DI NUOVO E ANCORA ritrovarmi in una situazione simile alla precedente (vale a dire, “forzare la logica strettamente tecnica dell’ARALDICA”), sarei molto onorato se volesse RIPRENDERE IL DISCORSO e CHIARIRMI alcune perplessità su quel “curioso stemma parlante” che è “l’emblema araldico dello Stato indipendente della Città del Vaticano”:

    Esso è descritto ufficialmente all’articolo 20 della Legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano, in vigore dal 22 febbraio 2001, che riprende il contenuto dell’articolo 19 della Legge Fondamentale originale della Città del Vaticano, adottata il 7 giugno 1929 con effetto immediato. Entrambi questi documenti ufficiali presentano l’illustrazione dello stemma dello Stato accompagnato dalle parole «Chiavi decussate sormontate dal triregno in campo rosso» sotto la voce “Allegato B. Stemma ufficiale dello Stato della Città del Vaticano” (cit. senza note, cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Stemma_della_Citt%C3%A0_del_Vaticano)

    “Dal secolo XIV le due chiavi, poste in decusso, sono insegna ufficiale della Santa Sede. Quella d’oro, a destra, allude al potere sul regno dei cieli, quella d’argento, a sinistra, indica l’autorità spirituale del papato in terra. I congegni sono il alto, ovvero verso il cielo e le impugnature in basso, ovvero nelle mani del Vicario di Cristo. Il cordone con fiocchi che unisce le impugnature allude al legame dei due poteri” (cfr. http://www.vatican.va/news_services/press/documentazione/documents/sp_ss_scv/insigne/sp_ss_scv_stemma-bandiera-sigillo_it.html#Emblema%20della%20Santa%20Sede).

    La simbologia è attinta dal Vangelo ed è rappresentata dalle chiavi consegnate da Cristo all’Apostolo Pietro. E le due chiavi vengono sormontate dalla tiara o triregno. Il triregno, o tiara, è il copricapo proprio del Papa: rappresenta la triplice Chiesa (militante, sofferente, trionfante), ma anche i tre poteri del Papa, padre dei re, rettore del mondo e vicario di Cristo.

    MA NON TUTTO mi è chiaro. DOPO COSTANTINO, DOPO DANTE, e alla luce dell’OGGI, non è forse il caso di fornire qualche chiarimento supplementare su questo strano “curioso stemma parlante” ed, eventualmente, proporre qualche idea sulla sua buona-interpretazione?

    PER LA SUA GENEROSA ATTENZIONE, UN VIVO “GRAZIE”!

    Federico La Sala

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