di Armando Polito
Qualche settimana fa (per la storia il 19 settembre) l’amico Massimo Vaglio in un post sul suo profilo Facebook così scriveva: Crai, puscrai, puscriddhri, puscriddhrinu, puscriddhrozzi; niente male per un dialetto (quello di Nardò) che non coniuga i verbi al futuro!!!
E, probabilmente a causa di un commento che esprimeva, se non incredulità, meraviglia, il buon Massimo ha ritenuto opportuno documentare anche il passato con ieri, nusterza e nustirzignu.
Cominciamo dal futuro, ignoto, come ci ricorda Massimo, alla nostra coniugazione e il cui concetto è affidato all’avverbio temporale che accompagna il presente (crai parlu: alla lettera domani parlo). Su tale assenza rinvio il lettore al post di Gianni Ferraris in https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/12/02/in-salento-manca-il-futuro/, dove, fra l’altro, nel mio commento il lettore troverà un sinteticissimo tentativo di interpretazione antropologica (!) di tale fenomeno.
In un commento al post di Massimo un lettore (si dice il peccato, non il nome del peccatore …) mi chiamava in causa per un eventuale approfondimento. Ho già iniziato qui ed al già detto aggiungo solo note etimologiche, che, poi, credo fossero quelle richiestemi.
crai: dal latino cras (=domani). La i finale probabilmente è dovuta ad analogia con mai, che è dal latino magis. Da Cras in latino è derivato l’aggettivo cràstinus/a/um =del giorno dopo, da cui l’italiano letterario cràstino (Dante, Paradiso. XX, 54: fa crastino là giù de l’odïerno) e il derivato composto verbale procrastinare.
puscrai: da pus– (dal latino post=dopo)+crai. Corrisponde all’italiano posdomani o dopodomani.
puscriddhi: da post+cras+illud, alla lettera dopo domani quello (altro). L’taliano è costretto ad usare tre parole (fra due giorni), per cui vien da dire che il salentino, almeno in questo, fa concorrenza all’inglese …
puscriddhignu: da puscriddhi+il suffisso anche e soprattutto psicologicamente attenuativo (come in asprigno rispetto ad aspro), perché la scadenza diventa meno impellente (tant’è che è pià facile dimenticarsene …). In italiano si continua con l’espediente precedente e si dice fra tre giorni.
puscriddhuzzi: da puscriddhi+un suffisso diminutivo (come in italiano animale>animaluccio) con effetto attenuativo ancora più spinto di quello della voce precedente.
Non si deve pensare, tuttavia, che crai e puscrai siano esclusivi del nostro dialetto, perché crai è attestato non solo in parecchi poeti anonimi appartenenti alla scuola siciliana (XII-XIII), ma anche in altri autori delle origini appartenenti ad ambito fiorentino: Guittone d’Arezzo (XIII secolo): ma no lasciava già per ciò lo crai; Jacopone da Todi (XIII-XIV secolo): attènnite a noi,ché ‘l farim crai.
Una serie quasi completa come quella salentina compare in Luigi Pulci (XV secolo), Morgante, XXVII, 55, 4: crai e poscrai e poscrigno e posquacchera, in cui poscrigno e posquacchera sembrano formazioni legate al carattere giocoso dell’opera.
Passo ora agli avverbi del passato, soprassedendo su ieri che ha la stessa etimologia della voce italiana: dal latino heri, non senza aggiungere (e meno male che dovevo soprassedere! …), anche se non rientra nella dimensione temporale qui trattata, che anche osce (come il corrispondente italiano oggi) è dal latino hodie (a sua volta da hoc die=in questo giorno).
nusterza: dal latino nudius (=è ora il giorno, a sua volta composto da nunc=ora+dius per dies=giorno)+tertia=terza (dies in latino può essere maschile o femminile; qui è femminile, percio tertia, a differenza del latino classico dove è maschile e la locuzione è nudius tertius). In italiano alla lettera, contando anche il giorno di partenza com’era la regola per i latini, il tutto va tradotto ora (è) il terzo giorno. Tale significato letterale,però, non si adatta all’uso corrente di misurare il tempo, per cui nusterza è, partendo da ieri e non da oggi e procedendo a ritroso, non il terzo ma il secondo giorno e corrisponde all’italiano l’altro ieri o ier l’altro o due giorni fa.
nustirzignu: da nusterza+il suffisso di cui sì è detto a proposito di puscriddignu. Corrisponde,perciò, a tre giorni fa.
Mi auguro che il niente futuro del titolo si riduca solo al campo grammaticale, senza l’intervento (non in questo campo nel quale annegherebbero miseramente …) di personaggi come Flavio Briatore, perché il suo futuro futuro non vale una cicca, secondo me, del nostro attuale niente futuro. Pure il suo nome anagrammato dà questo responso, che per essere capito non ha bisogno dell’intervento della Sibilla: Oliveti? Farò bar!
Articolo interessantissimo.
Foggiana, trovo, con le inevitabili variazioni di pronuncia dovute alla spirantizzazione di tutte le vocali atone A esclusa, i medesimi termini, con identico significato per quanto concerne il futuro (kré, pskré, pskriddín).
Oltre a questo nella Capitanata è invalso l’uso della perifrastica attiva (avere piu infinito) per rendere l’idea del futuro.
Es.: hama scì (andremo), l’ho dicë (lo dirà), ecc.
Esiste qualcosa di analogo in salentino?
La ringrazio perché, tutto concentrato sugli avverbi, mi ero dimenticato proprio dell’altra formazione verbale perifrastica, oltre a quella formata da avverbio del futuro+presente indicativo (crai parlu). Anche noi, infatti, diciamo “imu sscire” corrispondente proprio al vostro hama sci .Imu è ciò che rimane del latino habemus,(habemus>aemo>emo>imu) mentre sscire corrisponde all’italiano gire (da un latino *jire parallelo al classico ire=andare).Il raddoppiamento della s iniziale sicuramente è dovuto a compensazione della caduta della vocale della preposizione ad (habemus ad jire >imu ad scire>imu sscire). Il raddoppiamento infatti non compare laddove la preposizione non avrebbe avuto motivo di esistere: imu fattu (e non imu ffattu)=abbiamo fatto. Da escludere che sscire sia ciò che rimane del latino exire (composto da ex+il ricordato ire) perché questo nel salentino ha dato issire, con regolare esito x>ss. Gradirei sapere se la grafia sci (e non ssci) del nesso da lei ricordato corrisponde alla reale pronuncia e se hama, come il salentino imu, si conserva tal quale in tutti i nessi in cui equivale all’italiano abbiamo.
Grazie a lei della risposta e delle ulteriori preziose osservazioni.
“Hama” si conserva in tutti i nessi.
La affricata postalveolare sorda di “scì” (da *jire) mantiene sempre grado tenue e non intenso.
In foggiano ex-ire ha dato luogo ad “assire”.
Grazie anche per quest’ultima informazione.