Pasquale Cafaro. Una prestigiosa carriera alla corte di Re Ferdinando delle due Sicilie

Valente musicista galatinese

Pasquale Cafaro

Una prestigiosa carriera alla corte di Re Ferdinando delle due Sicilie

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di Rosanna Verter

Per poter acquistar nome in un più vasto spazio, che non era il suol natio molti giovani del sud dovevano recarsi in uno dei Conservatori di Napoli, capitale del Regno delle due Sicilie, per studiare musica o per completare gli studi. Perché San Pietro in Galatina varcasse i confini del Regno, ci pensò la musica di Pasquale Cafaro, il cui nome viaggia tra i personaggi più eminenti del Settecento, quali ad esempio: Giuseppe Mercadante, Giovanni Paisiello, Niccolò Piccinni e Leonardo Leo, che fu anche suo maestro. Inoltre il Cafaro si colloca a pari livello deimaggiori compositori settecenteschi napoletani di musica sacra, come Domenico Cimarosa, Giovan Battista Pergolesi e Francesco Durante.

Dai registri di battesimo conservati nell’archivio della nostra Matrice, che ho potuto consultare grazie alla collaborazione di don Antonio, è emerso che Francesco Pietro Paschale (il nostro Pasquale) nacque il 1° febbraio 1708 da Giuseppe e Isabella Bardaro e fu battezzato a dì 5 dal Reverendo parroco Don Giuseppe Tommasi. Risulta inoltre che compare fu Andrea Galluccio e comare Domenica De Pietro. Pertanto le varie supposizioni sulla reale data esatta della sua nascita credo siano definitivamente sfatate. Altra nota da chiarire è che il nostro compositore non è il Caffariello, come molti studiosi sostengono, ma è solo e soltanto Pasquale Cafaro.

Ad onor di cronaca il cosiddetto Caffariello è Gaetano Majorano, mezzo soprano evirato, nato a Bitonto nel 1710 e morto a Napoli nel 1783. Forse la contemporaneità dei due può aver ingenerato questa confusione, perché il maestro scopritore del Majorano fu tal Cafaro (Domenico e non Pasquale), cosicché Gaetano prese, per riconoscenza, il soprannome di Caffariello.

Dal Catasto onciario (1754 A.S.L.) di San Pietro in Galatina, alla carta 599, si legge che la famiglia d’origine, oltre a possedere diverse proprietà, avevaintitolata a suo nome una contrada e in più alcuni familiari erano anche ecclesiastici, come ad esempio il reverendo don Felice, Pascale maestro di cappella, cioè il nostro; Angela, sorella, che era monaca ed infine il reverendo don Giovanni Angelo Cafaro, che era uno zio. Si legge, infine: “Felice abita in casa propria. Possiede un pezzo di terra con orto uno e mezzo di vigna a santo Sebastiano; un pezzo di terra con orte 4 di vigna e orte 4 di terra seminatoria allo Inchianà; una casa affittata”. Questo spiega, forse, perché tra le opere del Cafaro domina la musica sacra.

Prima ancora di essere l’esimio compositore, Pasquale era stato indirizzato dai genitori agli studi del diritto, o, secondo alcuni studiosi, allo studio delle scienze. Dopo essersi laureato (la laurea era un ornamento prestigioso per tutta la casata), poiché egli non era predisposto per le aule forensi e sentendo in sé la passione per la musica, il 16 dicembre del 1735, davanti al notaio Giovanni Tufarelli, dichiarava di avere diciotto anni e si impegnava a pagare docati dodici per l’ammissione come figliuolo alunno al Conservatorio di S. Maria della Pietà dei Torchini e si impegnava a servire, come musico, per cinque anni tanto nella Chiesa del Conservatorio, quanto in tutte le altre missioni, e processioni che si fanno per dentro e fuori Napoli…

È da precisare che il termine Conservatorio, nel XIV e XV secolo, non era ciò che oggi si intende, cioè il luogo dove si insegna la musica nelle sue varie branche, ma era semplicemente un istituto di beneficenza, dove i trovatelli, i poveri o gli orfani venivano “conservati” negli asili, ospizi, orfanotrofi e coloro che avevano la predisposizione venivano avviati,oltre che all’istruzione primaria, alla cultura musicale.

In seguito furono ammessi altri allievi e così questi istituti benefici si trasformarono in vere e proprie scuole musicali. Celebri i quattro Istituti di Napoli: il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, quello di Santa Maria di Loreto, della Pietà dei Torchini e di Sant’Onofrio. Nel 1808, per ordine di Gioacchino Murat, furono tutti e quattro riuniti sotto il nome di Collegio Reale di Musica, oggi chiamato Real Conservatorio di San Pietro a Majella, punta di diamante del mondo musicale.

Ammesso, quindi, al conservatorio con o senza le pressioni del marchese Odierna, protettore del giovane galatinese, iniziò a seguire le lezioni di due pugliesi: Nicola Fago (di Taranto) e di Leonardo Leo (di San Vito degli Schiavi, oggi dei Normanni) che lo istruì nell’armonia e nel contrappunto per addestrarlo nell’arte di suonare a quattro parti, la quale da pochi fra tanti, che han nome di maestri, al dì d’oggi è posseduta.

Pasquale rimase in quel conservatorio anche dopo la scadenza del suo contratto per migliorarsi nella scienza armonica. Il 37enne compositore, dopo un decennio di studio immane, ritornò dal suo amico marchese e pubblicò l’oratorio Il figliol prodigo ravveduto, (1745) su libretto di Giovanni De Benedictis, di carattere prettamente liturgico. Successo incontrastato ebbe con il melodramma Ipermestra, esecuzione avvenuta al S. Carlo nel 1751.

Il 20 gennaio del 1756, sempre al Real Teatro, viene rappresentato il suo secondo melodramma La disfatta di Dario,su libretto di Carlo Morbilli, duca di Sant’Angelo, un nobile con aspirazioni letterarie, che riceve una lusinghiera accoglienza. Lo spettacolo richiese un allestimento sfarzoso ed accurato tanto che l’anno dopo venne rappresentato L’incendio di Troia, che fu un solenne fiasco. L’impresario, per soddisfare il pubblico desiderio, senza arrecaredanno al buon nome del Maestro, rimise in scena La disfatta di Dario, rappresentata anche al Teatro della Pergola di Firenze.

Dopo questi successi, oltre ai i nobili napoletani, tedeschi ed inglesi fecero a gara per averlo come insegnante di canto e di composizione. La sua fama cresceva di giorno in giorno tanto che nel 1759 venne chiamato per l’insegnamento di composizione nello stesso conservatorio che lo aveva avuto studente.

Lo stesso anno Girolamo Abos (compositore maltese di melodrammi), secondo maestro di cappella del conservatorio, rinunciò all’incarico, cosicché i governatori dell’istituto si riunirono in sessione plenaria l’11 luglio per scegliere il successore. Poiché nel Signor Pasquale Cafaro…concorreva somma perizia nell’arte della Musica, bontà di costumi, e carità nell’insegnarla alli figlioli del Regio Conservatorio lo nominarono, con lo stipendio di ducati cinque, successore dell’Abos. Quindi egli fu successore di Abos e non di Leo, (deceduto nel frattempo) come molti sostengono. Pasquale iniziò una brillante carriera al fianco di Lorenzo Fago, grande esperto di arte polifonica. Due anni dopo la Giunta del San Carlo, dovendo portare in scena l’Andromeda di Antonio Sacchini, chiese al Cafaro di assistere alle prove per giudicare il carente organico dell’orchestra.

Esperto uomo di teatro, nel 1763fu chiamato a dirigere negli anni Il trionfo di Clelia e Issipile di Adolfo Hasse, Armida e Didone di Traetta.  Nel luglio del 1765il Duca di York, giunse a Napoli e l’impresario del San Carlo incaricò il Cafaro di comporre una nuova opera per l’occasione. Nacque così Isacco su testo del Metastasio e due mesi dopo la giunta del teatro stipulò un contratto con il nostro per la stagione operistica e il 20 gennaio andò in scena Arianna e Teseo, ossia il Minotauro, melodramma in tre atti su libretto del poeta della corte di Vienna, Pietro Pariati. Il successo forse fu dovuto, più che alla musica, alle imponenti scenografie.

La sua fama varcò i confini del regno e il Cafaro chiese una licenza dal Conservatorio per recarsi a Torino, dove compose per il RegioTeatro il Creso,opera seria in tre atti su libretto di Giovanni Pizzi, rappresentata nel gennaio 1768. Il maestro napoletano, e non galatinese, riscosse un caloroso successo, ma gli impegni al Conservatorio lo costrinsero a rientrare nella sua Napoli. L’alto livello artistico e la fama di esperto compositore più quotato del momento gli aprirono le porte, nel 1768, del Palazzo Reale. Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, sedicenne sposa di Ferdinando IV, aveva tra le sue doti quella per le discipline musicali e, pertanto, il Re lo nominò, oltre che maestro soprannumerario della Real Cappella Borbonica (20 ducati mensili e non annui), maestro della Regina di suono (cembalo) e canto. Allieva che, per nulla appesantita dalla diciotto gravidanze, seguì sempre con impegno le lezioni del maestro galatinese. Intelligente e autoritariala figlia di Maria Teresa d’Austria apprezzava e stimava il maestro per la sua correttezza e per la bontà d’animo. Il Cafaro le dedicò lo Stabat Mater a quattro voci ed ebbe talmente successo da sostenere il confronto con il capolavoro del Pergolesi.

I tanti impegni di Pasquale (era divenuto già un affermato compositore di melodrammi) andarono a discapito degli allievi del conservatorio della Pietà dei Turchini. Egli dovette seguire la Regina nei suoi spostamenti, pertanto cominciò a rinviare le lezioni e si fece sostituire da uno dei suoi migliori allievi, quel G. Giacomo Tritto, di Altamura, successore del grande Pergolesi. I governatori del Pio Loco, avevano deciso di licenziarlo, ma l’intervento del Re fece sì che il Cafaro mantenesse l’incarico, sino alla morte, di uno dei più prestigiosi conservatori del regno.

In quegli anni, ogni 12 gennaio, in occasione del compleanno di sua Maestà, furono eseguite numerose Cantate a tre o quattro voci e per queste composizioni ricevette dei compensi notevoli, se confrontati con i suoi stipendi di Maestro. Tra gli interpreti delle Cantate troviamo quel Gaetano Majorano (Caffariello),il soprano beniamino del pubblico sancarliano, che si distingue per la sua consueta bravura.

Siamo nel gennaio del 1769 quando al San Carlo fu rappresentata l’Olimpiade, l’opera più importante di Pasquale che esprime ormai la matura personalità del nostro compositore, su libretto di Pietro Metastasio. Il successo fu tanto e tale che venne replicata per ben tre volte nella Reggia di Caserta, alla presenza dei Reali.

Qualche mese dopo l’imperatore Giuseppe II, durante una visita nella capitale, sentì cantare la sorella M. Carolina e volle conoscere il suo maestro. Con lui tenne discorso sopra vari punti della scienza armonica ed il nostro gli rispose con erudizione e dottrina. L’imperatore disse alla sorella che doveva essere ben contenta di avere a maestro un uomo così degno ed istruito.

L’anno dopo, il 13 agosto, egli curò l’allestimento di Antigono, del Metastasio, per onorare i diciotto anni della regale alunna. Nel dicembre del 1771, alla morte di G.De Majo e grazie alla stima della regina, Pasquale fu nominato, senza concorso, Primo Maestro della Real Cappella.

Nei suoi ultimi anni di vita, nonostante si disinteressasse del teatro, fu incaricato, in sostituzione di Bach, dalla giunta dei Teatri di Napoli, dal 1774 e sino alla morte, di presiedere le piazze degli strumenti addetti all’orchestra del Regio Teatro San Carlo, non avendo trovato persona più esperta ed onorata di lui, tanto che l’ultima consulta porta la sua firma un anno prima della morte.Il suo desiderio era quello di  rimanere nel ricordo dei posteri come compositore di musica sacra, la cui umiltà lo spinse a rispondere a Padre Giovan Battista Martini, (frate francescano compositore di musica sacra) che gli chiedeva un suo ritratto per collocarlo, nel conservatorio di Bologna, tra i gli insigni maestri, con una lettera datata 22 giugno 1779: “Di quel che Vostra Paternità Illustrissima e Reverendissima mi comanda riguardo al mio ritratto io per dirLe del vero mi arrossisco di stare tra questi ritratti di tanti valentuomini… ma non ho potuto fare a meno di non ubbidirla. Perlochè ho dato subito il recapito per darlo affare, e terminato che sarà si spedirà a Bologna”.

Il buon Pasquale si fece dipingere nell’atto di comporre un Gloria Patri scritto a Canone Infinito. Oggi quel quadro è nel Civico Museo Bibliografico Musicale di Bologna. Per quarantatré anni, egli diresse, fino alla morte, nella chiesa di San Pietro a Majella, le celebrazioni in onore di Sant’Oronzo, santo patrono della colonia leccese che viveva a Napoli.

Il pio Maestro si spegneva a Napoli il 23 (o 25) ottobre (settembre per altri) 1787, nella sua casa del Rione di Santa Maria di Ognibene, per una cancrena che gli si formò in pochi giorni da ostinata incuria, contro cui furono inutili i rimedi dell’arte salutare…

Altri invece lo vogliono morto di attacco apoplettico dietro un rimprovero della sua alunna Maria Carolina, per un anello di gran valore smarrito, che poi venne riportato fuori da un bacile della di lei toletta…

Il nostro umile e modesto concittadino di grandi virtù morali fu sepolto, dopo le solenni onoranze funebri, a cui parteciparono tutti i più grandi musicisti napoletani, nella Chiesa di Montesanto, nella Cappella di Santa Cecilia, presso l’altare alla cui erezione aveva contribuito economicamente, accanto alla tomba di Leo e del grande Scarlatti. Nella cappella, dedicata alla patrona dei musicisti, avevano l’onore di essere seppelliti solo i più illustri e veramente pii artisti.

Ai funerali furono eseguite opere del Maestro e brani liturgici scritti per l’occasione dagli alunni di quel Conservatorio che lo avevano avuto alunno e docente.

Tutte le sue composizioni profane e teatrali furono lasciate al suo amico Don Nicola Bosco, mentre alla Real Cappella le composizioni sacre; i suoi augustisovrani le fecero eseguire, in suo ricordo, per molti anni dopo la sua morte. Degno successore del maestro galatinese, con il compito di sovrintendere all’Orchestra del San Carlo, fu Giovanni Paisiello.

Ora mi chiedo che cosa Galatina abbia fatto in suo onore e ricordo,se non l’intitolazione di una breve strada adiacente la chiesa dei domenicani. Una rivalutazione del suo lavoro fu fatta dal maestro Luigi Adolfo Galluccio, in arte Galladol, all’indomani della seconda guerra mondiale, anch’egli studente di giurisprudenza a Napoli ed allievo del conservatorio di San Pietro a Majella.

Tanti spartiti del Cafaro sono conservati nella sua casa di Vico del Carmine, gelosamente custoditi dagli eredi. Il professore Bruno Massaro ha intitolato a lui il suo centro musicale e l’allora sindaco Beniamino de Maria, convinto del valore educativo della musica, lo volle ricordare conun concorso nazionale per giovani pianisti.

La sua grande personalità, inserita nella migliore tradizione della scuola napoletana,è in attesa, quindi, di essere rivalutata perché egli fu persona dignitosa e certamente non priva d’estro. Le sue composizioni e i suoi manoscritti sono conservati negli archivi e nelle biblioteche di tutta Europa a perenne ricordo del suo nome e della città che gli diede i natali.

 

(pubblicato su Il filo di Aracne)

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