La culia (lo spicchio)

di Armando Polito

Mi è capitato spesso di non poter rispondere nello spazio riservato ai commenti a qualche gentile lettore che si è degnato, suscitando in me una gratitudine di gran lunga superiore a quella che di solito accompagna un mi piace facebookiano, di fare le sue critiche e fondate affermazioni o di dare il suo prezioso contributo integrativo. Anche questa volta sono costretto a ricorrere ad un post ad hoc non solo e soprattutto perché il tema che ora svilupperò richiedeva adeguata riflessione e qualche indagine, in parole povere un po’ di tempo, ma anche perché esso meritava, almeno, credo una visibilità, che mi auguro comporti ulteriore partecipazione, difficilmente assicurabile da una semplice risposta ad un commento.

Per chi fosse interessato segnalo come punto di partenza la lettura (o rilettura) del post in https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/03/23/lu-giunculu-lo-spicchio/ dove troverà il commento che di seguito riproduco in formato immagine.

Dato per scontato che il signor Fernando non è un buontempone che vuole divertirsi alle spalle del sottoscritto e che la voce nevianese esiste veramente, la prima tappa, scontata o quasi, per chi si occupa di queste cose è consultare il Vocabolario dei dialetti salentini del Rohlfs. Ed è stata la prima doccia fredda: nell’opera citata la voce è assente. Ma, si sa, le docce fredde sono estremamente stimolanti …

Il secondo passo è consistito nel prendere in mano il vocabolario di greco. Seconda doccia fredda (nessun vocabolo che potesse candidarsi come padre di culia), ancora più stimolante della prima …

Infatti di colpo mi è venuto in mente che parecchie parole dialettali (ma anche italiane, per esempio rena da arena) sono il frutto di un’aferesi (perdita della sillaba iniziale) dovuta ad un’errata discrezione dell’articolo (per rena: l’arena>la rena>rena). Immaginando che culia sia frutto dello stesso processo, verrebbe fuori un originario *aculia, il quale, a sua volta, fa pensare immediatamente all’italiano aguglia (il pesce) che è dal provenzale agulha, a sua volta dal latino tardo acùcula, diminutivo di acus=ago (evidente il riferimento alla forma del muso). E proprio da aguglia, per aferesi dovuta all’errata discrezione dell’articolo, si è sviluppato in italiano guglia: l’aguglia>la guglia>guglia.

Che il corrispondente italiano del nevianese culia sia proprio guglia? Sul piano semantico tutto procede perfettamente. Ogni spicchio, infatti, ha non una ma addirittura due estremità appuntite. Sul piano fonetico, però, se culia derivasse direttamente da guglia, mi sarei aspettato un cugghia, come in magghia da maglia.

Cerco aiuto nel glossarro del Du Cange, dove per il latino medioevale vedo registrato il lemma acùlea che di seguito riproduco in formato immagine con a fronte la mia traduzione.

Il nostro culia potrebbe più agevolmente sul piano fonetico discendere da aculea (anche lui da acus).

Più in basso nello stesso glossario vi è registrato il lemma aculium.

Per completezza di documentazione riporto pure beccusfredus.

 

Al di là della traduzione leggermente differente dello stesso testo per via di marinus nel lemma precedente accordato con ferrus, qui diventato marinas che si accorda con naves, il beccusfredus (parola composta da beccus=becco e fretum=mare) sembra essere la versione manuale e portatile del rostro.

Ritornando al nostro culia, esso potrebbe derivare da acùlia, plurale di acùlium; la conservazione fonetica sarebbe più spinta ed il plurale spiegherebbe il doppio becco che ogni spicchio presenta.

Tutta questa ricostruzione che ha coinvolto aghi, pesci e macchine da guerra sarebbe perfetta se, segnando l’accento (che con le parole dialettali andrebbe sempre posto, anche quando si trova sulla penultima sillaba, il culia del gentile lettore dovesse leggersi cùlia e non culìa. In quest’ultimo caso in riferimento a quanto fin qui (spero chiaramente …) esposto e, in particolare, alle aguglie nominate all’inizio, sarei il primo ad esclamare: – Certi pesci! -.

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6 Commenti a La culia (lo spicchio)

  1. Ciao Armando, in piemontese lo spicchio (d’arancia, mandarino o aglio) si dice “fisca”. penso possa derivare dal verbo latino Findo,is,fidi, fissum, ere (fendere, aprire, spaccare in due, spezzare) in particolare da “fissa”. Ti chiedo, tu che meglio di me sai di queste e di tante altre cose… può essere una interpretazione possibile?

  2. Caro Sergio, è un grande piacere rileggerti, anche se (ma forse ancor più per questo…) il quesito che mi poni non è di soluzione facile ed immediata.

    Non credo, comunque, che “fisca” derivi da “fissa” (participio passato femminile di fìndere) perché, pur essendo la cosa impeccabile sul piano semantico, sarebbe arduo spiegare l’esito -ss-> -sc-. Si potrebbe però sospettare, ma come extrema ratio, che sia forma eufemistica di “fessa” (che è sempre dal latino “fissa”), analogamente a quanto succede col neretino che per “sono stato un fesso” usa “so’ statu nnu fessa” [in cui “fessa”, una volta tanto per la par condicio, sta nel senso di “vulva” accompagnato da nnu che è l’articolo indeterminativo maschile!] col verbo coniugato in tutti i modi, i tempi, le persone e i numeri; però, quando ci si riferisce ad un altro, in forma di riguardo usiamo dire per “quel fessacchiotto” “qiddhu fiscalire!”, in cui “fiscalire” è chiaramente deformazione eufemistica di “fessa”con l’intervento/sostituzione di “fisca” (variante di “fesca”=fiscella), attraverso una forma aggettivale “fiscale”+il suffisso -ire, come, in una forma eufemistica meno mascherata, in “minchialire” da “mìnchia”.

    Penso, invece, che “fisca” potrebbe essere deformazione del francese “fiche” nel suo originario significato di chiodo (ogni spicchio rispetto ai due confinanti è come un chiodo e tutti gli spicchi servono per “assemblare” l’aglio, l’arancia e simili. “Fiche” è da “ficher” e questo da un latino “*figicare”, intensivo del classico “fìgere”=ficcare.

    Nel Dizionario Piemontese-Italiano di Giovanni Pasquali, Moreno, Torino, 1869 leggo: “Fiosca e fisca, d’aglio e simili, spicchio (idiotismo dal latino fisca, fiscella, buccia)”.
    Siccome in neretino “fiosca” è la pula e “fesca” è, come ho detto, la fiscella, sono quasi obbligato a dedicare, non appena avrò un po’ di tempo, un post a queste due voci. Nel frattempo, l’avrai già capito, l’etimo proposto dal Pasquali nu’ mme convince mancu pe’ nniente sul piano sematico: che rapporto c’è tra lo spicchio e la buccia se non quello che per staccare lo spicchio devi prima sbucciare l’aglio, l’arancia e simili? Mi pare decisamente troppo poco.

    Un caro saluto.

  3. Nel feudo di Novoli si usa dire tamme nnu cùcaru te portacallu,
    invece negli ortaggi tipo le cicorie o i finochhi si chiedeva tamme nnu fijulu
    nella cicoria si trovano all’interno, mentre nel finocchio sono esuberanze esterne.
    I migliori saluti dalla Sindone di Torino
    Ersilio Teifreto http://www.torinovoli.it

  4. Aggiungo che culi’a è in uso anche a Parabita. Secondo il mio parere è connesso con forma grika skuli’ta.
    Fabio

    • Dopo aver constatato che i pesci, sia pure in ritardo, sono arrivati (culìa e non cùlia), le sono ulteriormente grato perché lo sculìta del suo secondo intervento consente di risolvere il problema con certezza quasi assoluta di averla imbroccata giusta. La voce da lei suggerita, infatti, mi ha spinto a controllare sul vocabolario del Rohlfs che, come ho già detto, non registra culìa. Colpevole di non aver immaginato che qualcosa all’inizio potesse essere caduto, ho notato che il Rohlfs non solo registra il grico sculìta ma anche le varianti sculìda, sculìna, sculiddha e ulìa, tutte ricollegate, e giustamente, al classico σκελίδα, accusativo di σκελίς=costola.
      Si sa che in un vocabolario non c’è spazio per dar conto di tutti i passaggi che stanno alla base di un etimo. Il suo sclulìda mi permette di farlo in modo chiaro e completo, almeno spero …
      Va detto anzitutto che σκελίς (in alcuni codici anche σκελλίς) è forma posteriore rispetto ad una precedente σχελίς e non è cosa di poco conto la presenza dell’aspirata χ invece di κ. Ne è conferma l’ultima variante riportata ulìa (nulla a che fare, naturalmente con l’omografo ed omofono ulìa=olivo/oliva) che suppone una trafila σχελίδα>*σχουλίδα>*χουλίδα>*ουλίδα (lenizione e scomparsa dell’aspirata iniziale; sarebbe interessante ascoltare dalla pronuncia di ulìa l’eventuale suo residuo …)>*ulìda>ulìa (non so dire se la scomparsa di d sia dovuta ad un fenomeno lenitivo indotto da quella di χ o da un qualche influsso, per quanto ingiustificato, dell’omofono ed omografo ulìa)
      Va da sé che sculìda ha seguito, invece, la trafila σκελίδα>*σκουλίδα>sculida; lo stesso pure per sculiddha e sculìna per le quali io ipotizzerei l’influsso semantico, se non l’incrocio, con asculeddha.
      Grazie ancora.

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