L’incendio del deposito dell’Archivio di Stato di Napoli

Articolo 2.1 260px-Hatra_ruins[1]

di Giovanna Falco

In queste giorni si vivono con sconcerto le notizie che arrivano dall’Iraq e dalla Siria: l’annientamento di un popolo tramite eccidi e l’azzeramento dell’identità culturale. I libri di storia sono pieni di episodi simili e si sperava che fossero relegati al passato, invece proprio in quella che può essere considerata la culla della cultura, l’arroganza dell’invasore compie un atto che, seppure frutto di una determinata strategia politica e non dell’ignoranza, è fine a se stesso e si ritorce non solo sulla povera gente sterminata ma anche sulle generazioni a venire, quando questi individui saranno ricordati solo come autori di un gesto barbarico. Pur se nello sconcerto, a fianco di chi è preposto a mettere fine agli stermini in concorso, sicuramente sono già all’opera archeologi e storici di tutto il mondo, per ricordare e divulgare quello che è diventato un ricordo che non sarà mai cancellato dalla storia.

La distruzione dell’eredità culturale irachena e siriana ricorda un episodio simile avvenuto una settantina di anni fa in Campania, quando un ufficiale tedesco pensò di passare alla storia ordinando di bruciare gran parte del patrimonio documentario dell’Italia meridionale. In Germania l’autore di questo scempio non è ricordato come eroe e la sua identità è stata mantenuta segreta. In Italia, finita la guerra, gli archivisti napoletani si sono messi all’opera, intraprendendo un lavoro di recupero, ancora in corso[1].

Articolo 2.2 Montesan[1]

La mattina del 30 settembre 1943, gli abitanti di San Paolo Belsito videro innalzarsi dalla collina di Montesano una colonna di fumo che si sparse per la campagna nolana: bruciava villa Montesano, l’antica residenza dei Mastrilli marchesi di San Marzano, ristrutturata nel Seicento dal noto architetto napoletano Cosimo Fanzago. Nella dimora, luogo di riposo per artisti e nobili (passò dai Mastrilli ai Capecelatro, e poi alla famiglia Della Valle marchesi di Casanova, e infine, dal 1913 alla famiglia Contieri), soggiornò, ospite dei Della Valle, il compositore Domenico Cimarosa (1749-1801), che qui vi compose il Matrimonio segreto. Si narra che, a causa di questo soggiorno, le truppe del Cardinale Ruffo saccheggiarono la villa, perché il musicista nel 1799 aveva scritto un inno in onore della Repubblica Partenopea.

L’incendio del 1943 fu appiccato dai tedeschi, perché nella villa erano custoditi i documenti storici dell’Archivio di Stato di Napoli.

Si sperava di preservare le carte dai bombardamenti su Napoli. Nel 1941 la sede centrale dell’Istituto, l’ex monastero di San Severino e Sossio al Pendino, era stata danneggiata da alcune bombe, con la conseguente distruzione di documenti. Nel corso del 1943, inoltre, i bombardamenti causarono la distruzione delle carte raccolte nell’archivio militare a Pizzofalcone e di altre, conservate presso il deposito di scritture al Divino Amore e ancora una volta presso la sede centrale[2].

Riccardo Filangieri di Candida
Riccardo Filangieri di Candida

Nonostante il parere sfavorevole di Riccardo Filangieri, soprintendente dell’istituto dal 1934 al 1956 – che sin dal 1935 aveva consigliato alle autorità competenti la costruzione di un deposito di sicurezza a Napoli nella sede di San Severino -, nei primi mesi del 1943 i documenti furono trasportati a San Paolo Bel Sito: 31.606 tra fasci e volumi e 54.372 pergamene, stipati per lo più in 866 casse, ammassate in quattro ordini sovrapposti, affidati al direttore del deposito Antonio Capograssi e a personale dell’Archivio. Si salvarono dal rogo solo 11 casse di protocolli notarili e 97 buste dell’Archivio Farnesiano.

Molto probabilmente l’incendio fu appiccato dai tedeschi come ritorsione per le Quattro giornate di Napoli (27-30 settembre).

Filangieri ricostruì quanto accadde: da qualche settimana squadre di militari tedeschi armati si aggiravano nell’agro nolano alla ricerca di approvvigionamenti alimentari e di beni, saccheggiando e depredando tutto ciò che era prezioso. A queste squadre si aggiunsero quelle di guastatori che minavano e incendiavano edifici pubblici e privati. Il pomeriggio del 28 settembre, tre tedeschi arrivarono a villa Montesano, entrati nell’edificio e viste le casse, seppero del contenuto che custodivano. La mattina successiva si presentò alla villa un ufficiale tedesco, che volle visitare le sale dov’erano custodite le casse e visionare alcuni documenti. Nel tardo pomeriggio un’altra squadra di tedeschi si soffermò per qualche tempo nei sotterranei: si pensò che l’edificio fosse stato minato. Riccardo Filangieri, messo a conoscenza dell’accaduto, indirizzò al comando tedesco stanziato a Nola una lettera in cui illustrava il contenuto del deposito e l’importanza dei documenti. La mattina del 30 settembre tre soldati tedeschi giunsero alla villa, il comandante della squadra lesse la lettera, la ignorò e portò a termine il suo mandato. Gli abitanti della villa furono allontanati, nelle sale che contenevano le casse, furono ammonticchiate paglia, carta e polvere pirica e in pochi minuti l’edificio fu devastato dal fuoco. Non si è mai saputo chi ordinò di bruciare i documenti. In seguito Filangieri seppe che alcuni cartelli affissi dai tedeschi a Nola in quel periodo, recavano la firma di Kellerman, altri quella del Capitano Sommerfield.

Si è già detto che nel deposito erano stati riuniti i più preziosi documenti dell’Archivio di Napoli, dov’erano state convogliate le serie di documenti provenienti dai vari archivi dell’Italia Meridionale, tra cui le 757 pergamene originali di Gallipoli, Lecce, Castellaneta e Laterza, versate dall’Archivio di Stato di Lecce a quello di Napoli nel 1845, quando fu solennemente inaugurata la nuova sede nel Monastero dei SS. Severino e Sossio, in occasione del Congresso Nazionale degli Scienziati Italiani.

Riccardo Filangieri aveva stilato un elenco, suddividendo i documenti napoletani in quattordici categorie: Museo storico-diplomatico, Cancelleria Angioina, Cancelleria Aragonese, Pergamene, Archivio della Real Casa, Archivio Farnesiano, Ministero degli Interni, Regia Camera della Sommaria, Consiglio Collaterale, Real Camera di Santa Chiara, Segreteria dei Vicerè, Cappellania Maggiore, Scritture varie della Sezione Politica, Scritture varie della Sezione Amministrativa. Andarono a fuoco anche i documenti provenienti da altri Archivi di Stato ed Enti, esposti a Napoli in occasione della Mostra delle Terre d’Oltremare.

L’entità dei danni è stata immensa: ne è esempio indicativo il Registro di Federico II del 1239-40, i 378 volumi contenenti gli atti dei sovrani angioini dal 1265 al 1434, i 7232 volumi della Regia Camera della Sommaria, ecc.

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[1] Riccardo Filangieri volle avviare, grazie al finanziamento dell’Accademia Pontiana, la ricostruzione dei documenti della Cancelleria angioina, i cui risultati sono, e continuano a essere, pubblicati in I Registri della Cancelleria Angioina: una capillare raccolta di originali, copie, manoscritti, codici, fotografie, microfilm, pubblicazioni e fonti inedite, così com’è illustrato nella guida dell’Archivio di Napoli. Cfr. La Guida generale degli Archivi di Stato italiani: http://www.maas.ccr.it/PDF/Napoli.pdf.

[2] Nel sito del Ministero dei Beni Culturali è presente il seguente link da cui si apprendono le vicissitudini accadute all’Archivio di Stato di Napoli e le perdite subite. Il rapporto risale al 1946 e l’elenco dei danni fu stilato da Riccardo Filangieri: www.archivi.beniculturali.it/Biblioteca/DanniGuerra/08_AdS_MO_PA.pdf.

 

 

 

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2 Commenti a L’incendio del deposito dell’Archivio di Stato di Napoli

  1. Giovanna ha ricordato molto opportunamente una delle tante barbarie “occidentali” perpetrate, questa volta, nello stesso punto cardinale (ma la nostra violenza non ha mai perso l’occasione di esibirsi pure nei restanti), e non certo per giustificare, per la par condicio, quelle in atto in questi ultimi giorni.
    Nel mio fatalismo (credo che l’uomo sia condannato in eterno a certi comportamenti, a meno che la genetica non riesca a condizionarli, ma sarebbe, forse, a differenza del tentativo di curare alcune malattie, il peggiore atto di violenza …) vedo brillare un lume tecnologico per il quale, ad eccezioni di alcune meritorie iniziative per lo più private, il petrolio a disposizione è sempre miserevolmente scarso.
    Fuor di metafora: oggi la tecnologia ci mette a disposizione, per giunta a costi ragionevolissimi, attrezzature sofisticate (senza scomodare le stampanti in 3d, basti pensare alla definizione raggiunta dalla fotografia digitale, per cui l’obiettivo riesce a cogliere, mettiamo su un manoscritto, dettagli che sfuggirebbero allo sguardo umano, per quanto attento e competente), ma l’esiguità degli investimenti in campo culturale non consente di sfruttarle.
    E pure basterebbe veramente poco per riprodurre digitalmente tutto ciò che è testimonianza del nostro passato, (non ci vorrebbe certo uno spazio enorme ed incontrollabile, qual è quello in cui i ricordi della nostra Umanità, più spesso, forse, della nostra non umanità … sono disseminati), riporne una o più copie in uno o più posti sicuri e, così, non privare le generazioni future di questa eredità che consente, fra l’altro, di continuare a studiare qualcosa che non esiste più.
    L’aveva già intuito, sia pur a danno fatto, Riccardo Filangieri. Sono trascorsi più di settanta anni: chi ne ha il dovere faccia almeno in modo che quella intuizione non vada perduta insieme, per esempio, con le tante carte che in archivi e biblioteche sono esposte al pericolo potenziale di un incendio, di una calamità naturale, di una guerra e a quello reale e giornaliero degli effetti dell’attività di topi, tarme, vandali e ladri …

  2. sottoscrivo quanto detto da Armando, lo condivido in toto. In fondo siamo nel paese che ha il patrimonio artistico e culturale più immenso al mondo. Un dubbio tuttavia si insinua, se governi (più di uno ahimè, quello attuale non ne è esente) taglia finanziamenti alla cultura e alla scuola, a chi spetta il compito di proteggere e tramandare? I singoli hanno immensa bontà d’animo e capacità, però qualcuno dovrebbe gartantire per loro, dovrebbe stanziare. Digitalizzare? Si faccia, chi però? Finchè governi sostanzialmente inetti, incapaci e tutto sommato vili mettono la finanza davanti all’economia, lo spread davanti alle persone, l’incapacità davanti alla cultura e letteralmente sputano sulla più immensa azienda: il turismo e i beni culturali, non se ne uscirà. E sto pendendo anche le residue speranze che succeda. Mio malgrado sarò costretto a difendere la privatizzazione dei monumenti? Diamo il colosseo ai cinesi, la torre di pisa agli americani, vendiamo gli uffizi a Mc Donalds? Magari loro li tratteranno come si deve. Questa è la sconfitta non solo dei beni culturali, proprio dell’intelligenza.

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