Nardò: il terremoto del 20 febbraio 1743 in una testimonianza poetica diretta, o quasi …

di Armando Polito

L’ideale sarebbe, e non solo per la storia, che di qualsiasi fenomeno fosse testimone oculare, cioè diretto, un esperto, ma esperto veramente … dello stesso fenomeno, perché così sarebbe almeno salva l’attendibilità della testimonianza, nei limiti, tipicamente umani,  in cui anche l’acribia dello scienziato deve fare i conti con la sua sfera emotiva. Certo, la sfiga è sempre in agguato, come quasi duemila anni fa capitò a Plinio per essersi avvicinato troppo, per studiarlo meglio,  al Vesuvio in eruzione. È pur vero che sull’evento e sulla sua fine ne lasciò memoria l’omonimo nipote in due famose lettere indirizzate a Tacito; ma è avventato credere che quella relazione che il destino non concesse di compilare all’autore della Naturalis historia probabilmente avrebbe contenuto qualche dettaglio in più? E poco importa se esso non avrebbe, forse, alimentato la ridda di interpretazioni che nel corso dei secoli si sono accavallate sulle letterine del nipote. Noi, d’altra parte, con tutta la tecnologia che rappresenta, per prendere a prestito (con il solo cambio degli aggettivi possessivi) le malinconiche parole di una canzone di Sergio Endrigo, il nostro orgoglio e la nostra allegria, saremo in grado di consegnare a chi verrà testimonianze chiare, cioè destinate ad un’interpretazione univoca, sui fenomeni della nostra era, inquinamento compreso?

Non mi meraviglierei, ammesso che  mi fosse concesso di farlo in deroga alle leggi naturali …, se non venisse trascurata quella che, forse, è la più alta forma di conoscenza possibile, la poesia. E non sarebbe né la prima né l’ultima volta in cui per indagini di tipo scientifico vengono utilizzati, non come extrema ratio in mancanza di altro ma come probabile elemento integrativo, dati estrapolati da un testo poetico.

È quello che mi accingo a fare pur limitando il mio intervento alla sfera di mia, mi auguro non presunta, competenza; nelle note il lettore comune avrà modo di chiarire il significato di qualche passaggio, l’esperto di terremoti potrebbe trovare qualche indizio per convalidare, integrare o correggere  un’ipotesi.

Poiché all’epoca del terremoto l’autore, che via via scopriremo, aveva 22 anni, è legittimo pensare che il componimento sia stato scritto quando l’eco dell’evento si era, se non spento, quantomeno attenuato, anche a livello psicologico. Può aver sfruttato i ricordi del padre Giovanni Bernardino (1695-1760), del quale scrisse la biografia1 nella quale si legge:

La sua erudizione non meno, che la sua presenza di spirito in qualunque scabroso affare, ben tosto gli guadagnarono una particolar confidenza col Signor Conte di Conversano, da cui nella piccola dimora, che fece in detta Città, gli fu conferito il governo di essa con piena soddisfazione del Pubblico; ed avvenuto in quel tempo il noto orribil tremuoto, che quasi affatto distrusse una Città così riguardevole; ed accorsovi il Signor Duca di Ceresano allora degnissimo Preside nella Provincia d’Otranto, e conosciuta l’abilità, e la destrezza di detto Tafuri con animo quieto, e tranquillo se ne parli, lasciando il tutto raccomandato al di lui prudente regolamento. Ben corrispose egli alla buona opinione di detto Signor Duca, mentre non risparmiando fatiga, né riguardando gl’incomodi di una rigidissima stagione, assistè sempre personalmente a tutto: fè subito aprire le strade ingombrate, e le Chiese dalle precipitate macerie, fè disseppellire i morti, e fè ridurre tutt’i poveri storpi in un destinato luogo per Ospedale, provvedendo tutti di vitto, di Medici, e di medicamenti, e mostrando in tal congiuntura non solo una mente la più metodica, e regolata nel distribuire le cose, ma eziandio un animo ridondante di Cristina Carità, e quel ch’è più senza pregiudicare le solite ore da lui addette allo studio.2

Il componimento che tra poco leggeremo fu pubblicato per la prima volta da Giovanni Bernardino nella seconda parte del terzo tomo (senza segnatura di pagina) della Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli uscito a Napoli, senza nome dell’editore, nel 17523, ma riproduco il testo, perché tipograficamente meglio leggibile, in formato immagine da un’altra pubblicazione4, aggiungendo di mio la traduzione a fronte e in calce le relative note (se il tutto dovesse risultare difficoltoso alla lettura, sarà sufficiente l’invio di un messaggio e il giorno successivo avrò già provveduto).

 


 


 

__________

1 Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Giovanni Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò ristampate ed annotate da Michele Tafuri, Stamperia dell’Iride, Napoli, 1851, v. II, pp. 582-590.

(https://books.google.it/books?id=IgMi5BSSwKcC&pg=PA585&dq=Opere+di+Angelo,+Stefano,+Bartolomeo,+Bonaventura,+Giovanni+Bernardino+e+Tommaso+Tafuri+di+Nard%C3%B2+ristampate+ed+annotate+da+Michele+Tafuri&hl=it&sa=X&ei=u_jEVOfwLIrxUuqYgogO&ved=0CCYQ6AEwAQ#v=onepage&q=Opere%20di%20Angelo%2C%20Stefano%2C%20Bartolomeo%2C%20Bonaventura%2C%20Giovanni%20Bernardino%20e%20Tommaso%20Tafuri%20di%20Nard%C3%B2%20ristampate%20ed%20annotate%20da%20Michele%20Tafuri&f=false)

2 Op. cit., pp. 589-590. Al padre Tommaso dedicò anche un componimento in distici elegiaci pubblicato da Giovanni Bernardino in Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Mosca, Napoli, 1748, tomo II, s. p. (https://books.google.it/books?id=8D40AAAAMAAJ&printsec=frontcover&dq=editions:lhRjZBX2xbUC&hl=it&sa=X&ei=CgDFVOOrNoitaZmJgvAC&ved=0CCAQ6AEwAA#v=onepage&q&f=false):

 

Traduzione: A GIOVANNI BERNARDINO TAFURI IL FIGLIO TOMMASO. O caro genitore, concessomi dagli astri favorevoli, tu che mi sostieni spinto da un amore particolare, voglia il cielo che io possa  procedere sulle tue orme e pari a te innalzarmi per l’onore del mio ingegno!  In me stesso, se c’è qualche forza, agisce il pericolo e ora grazie a te mi piace la sola Minerva. Quel tuo lavoro continuo mi atterrisce e con le lotte costringi tutti ad indietreggiare. Ma per te hanno un dolce sapore le arti della tua Tritonidea; ogni peso della fatica ha sempre un dolce sapore. Lucifero e Vesperob ti vedono immerso in profondi studi quando sarebbe necessario che anche una breve ora fosse libera da impegni. Ohimè, temo che tu, oppresso da tanta mole di fatica, mi venga a mancare (Dei, tenete lontana questa sventura!)c. Se il primo libro degli Scrittori del regnod piacque da tempo ai Sapienti, dovunque lo dimostra il plauso. Apollo è felice di conservarlo nei suoi scaffali e la dotta Minerva lo legge e rilegge come suo.  Ma il secondo si dirà degno di eterno onore, bella in esso la materia e alquanto piacevole.  Quanti Scrittori per te, quanti libri avesti cura di sfogliare, quante carte sporche di troppa polvere!  Qualsivoglia degli Autori mandò libri da lui messi insieme, ogni Biblioteca è al tuo servizio. Il tuo ingegno molto soffrì, fece, sudò e patì il freddo: ora, orsù, dà una pausa allo studio. La mente torna più sveglia alle consuete fatiche dopo un breve riposo: dunque mettine uno piccolo nel lavoro. Prego tutti gli dei che non mi rincresca ricorrere ai tuoi consigli qualora ti dessero la vecchiaia di Nestoree. O genitore, capo santo per tuo figlio, o veramente mia gloria destinata ad andare per tutte le vie del sole!

a Minerva, nata, secondo una delle tante tradizioni mitologiche, sulle sponde del lago Tritone (in Africa).

b Rispettivamente: stella del mattino e della sera.

c Purtroppo la sua paura si avverò perché Giovanni Bernardino morì a 64 anni.

d Il primo tomo della Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli uscì nel 1744 a Napoli per i tipi di Mosca; la composizione della poesia, perciò, è posteriore a tale data ed anteriore al 1748, anno come s’è detto, di pubblicazione.

e Il più saggio e vecchio dei condottieri greci.

Suo fu anche il testo della lapide apposta sulla tomba del padre nella chiesa di S. Francesco da Paola e poi rifatta nel 1920 da Antonio Tafuri. In essa è dominante il ricordo dell’impegno di studioso del padre.

 

Traduzione: A Dio Ottimo Massimo Qui sono sepolti i corpi di Giovanni Bernardino Tafuri e di Anna Isabella Spinelli coniugi patrizi neretini. Giovanni Bernardino illustre maestro di lettere come attestano moltissime sue opere edite con la fatica, la prudenza giovò alla patria e ai cittadini. Logorato più dal lavoro che dagli anni morì nel mese di maggio del 1760 all’età di sessantaquattro anni. Isabella assidua in chiesa per la carità profusa verso il prossimo, piissima verso dio chiuse la sua vita nel mese di giugno del 1751. Entrambi per la grande devozione verso S. Francesco da Paola, pur avendo  sepolcri gentilizi nel cenobio dei Padri Carmelitani vollero essere sepolti nella sua chiesa, dopo aver lasciato duecento ducati ai Padri per la celebrazione di messe in tempi stabiliti. Ai genitori amatissimi Tommaso Tafuri in lutto pose il 13 agosto 1760 dell’era volgare.

Essendo venuto meno il culto della chiesa la lapide, abbattuta nell’anno del Signore 1850, fu rifatta dall’arcivescovo Antonio Tafuri, figlio del pronipote nell’anno del Signore 1920.

Nell’immagine successiva il ritratto di Giovanni Bernardino Tafuri tratto da Domenico Martuscelli, Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, tomo I, Gervasi, Napoli, 1813:

3 http://books.google.it/books?id=2rFRAAAAcAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false

4 Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura …,op. cit, Napoli, 1848, v. I, pp. 51-57. Le pp. 58-60 contengono i poemi minori di Tommaso Tafuri.

 

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