Tra i tuoi libri (ad Emilio Panarese)

 

Emilio Panarese nel suo studio - Maglie, 1979 (ph. Roberto Panarese)
Emilio Panarese nel suo studio – Maglie, 1979 (ph. Roberto Panarese)

 

di Titti De Simeis

Sento l’odore di legno e di carta. Una stanza di impronte in bianco e nero e di libri antichi con il prezzo in poche lire. Una libreria di fronte ad un’altra. Cornici sottili e foto di altri tempi in colletti di pizzo e cappelli di feltro.

Fuori è freddo, un inverno audace s’intravede appena. Le luci di Natale scaldano di rosso e nostalgia. Respiro il senso di una vita fatta di pensieri messi tra le pagine, rilegati in contrasto tra colori e pelle bordeaux, tra titoli in oro e manoscritti fotocopiati. Le vetrinette opache proteggono dalla curiosità ma lasciano intendere il valore di ciò che accolgono.

Non ero mai entrata qui. Quanta vita mi pare di intuire. E quanto travaglio. Quanta forza in quella passione e quanto entusiasmo da tramandare. Quanti fogli ancora da leggere, inediti e sconosciuti, accennati da frasi interrotte, cancellate o a matita. E quante attese mai pubblicate. La grande scrivania a fianco a me fa pensare a un vecchio disordine, fogli da inventare, ricerche da confrontare, dizionari l’uno sull’altro con matite per tenere il segno, luci basse a buio inoltrato e notti di letture senza sonno.

I racconti fanno la storia di un vissuto a me ignoto, lo sguardo di un ritratto a colori ne è la voce. Non so bene quale emozione io senta.  Essere lì mi appartiene, mi appartiene il ritrovarmi in un posto riconosciuto senza essere mai stato mio. Somiglia a strade da non tradurre, a un cammino tra ricordi sopiti, tra banchi di scuola vuoti, fuori dall’età per rientrarci. Un luogo che invoglia a domande ma chiede l’ascolto per farsi capire e sapere cosa è stato il percorso di una vita che non ho incontrato.

Leggere, avrei voluto, toccare quelle impronte che della cultura son state maestre ed alunne. Visitare gli spazi tra i libri a scalare, ripercorrere il tempo che li ha riempiti di inchiostro.

Ad esserci prima, cosa avrei detto? Nulla. Avrei taciuto la meraviglia e l’ammirazione. La stessa di adesso. Il pensiero è irrequieto e impaziente, ma sa come stare zitto. Ed io lo assecondo, ne seguo ogni fantasia, ne libero i passi.

Non so quali sensazioni porterò con me. Forse la grandezza di quel silenzio ingiusto o l’infinitezza di un attimo, mio per sempre. La dolcezza mai conosciuta o il desiderio di scriverne.

Le luci di questa grande casa sanno di caldo. Fuori piove quasi e fa ancora più freddo.

Mentre vado via guardo chiudersi il portone. Il lampione sulla strada è fulminato.

Qualcuno qui tornerà. E non solo per farlo aggiustare.

 

 

 

 

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