Castrum Minervae nell’opera di Pietro Marti

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CASTRUM MINERVAE NELL’OPERA DI PIETRO MARTI

In un volume di ERMANNO INGUSCIO

 

Non era difficile per i numerosi intervenuti all’incontro culturale tenutosi nel Salone del castello di Castro Marina, il 29 agosto 2014, ascoltare ragioni a favore, ancora una volta, della tutela e della riscoperta del noto sito archeologico, Castrum Minervae, fatto con la presentazione del volume  Pietro Marti (1863-1933). Cultura e Giornalismo in Terra d’Otranto, di Ermanno Inguscio, su puntuale introduzione del giornalista Rocco Boccadamo.

Una tematica scottante nella perla adriatica, Castro, accostata alla tirrenica più nota Portofino, annunciata dalla puntuale locandina  dell’Associazione  “Castro puoi volare in alto” di Gigi Fersini, se  a tal proposito una attualissima kermesse porta, addirittura, alla eventualità del cambio del nome della bella località turistica salentina sulla base delle nuove acquisizioni archeologiche dell’équipe del prof. D’Andria.  Ciò che era stato già preannunciato da Pietro Marti, nel 1932, già Regio Ispettore ai Monumenti dal 1923 al 1929, nel suo volume  Ruderi e Monumenti nella Penisola salentina. Con molta chiarezza  egli aveva chiesto, nella  Ragione del libro, tra le cinque sue proposte, di dichiarare il Salento inferiore “zona archeologica” di estremo interesse, citando espressamente, accanto a Castrum Minervae, le località di Valentium, Carminianum, Sesinum, Rudiae, Lupiae, Turium o Sybaris, Tutinum, Veretuma, Oxentum, Hydruntum, Bavata, Aletium, Soletum, Galatena e Vasten: solo alcune delle 144 località di città sepolte da esplorare scientificamente.

Alle domande di Boccadamo, l’autore del volume, edito dalla Fondazione Terra d’Otranto di Marcello Gaballo, ha rimarcato quanto scritto da Marti, circa la sua  ansia di ricerca, di tutela e di rivendicazione del noto e dell’ignoto patrimonio archeologico rappresentativo.

Un lavoro di decenni di puntuali segnalazioni e denunce, anche all’interno della Brigata leccese dei Monumenti, ribadito con forza anche nei suoi volumi, a cominciare dal fortunato Origini e Fortuna della Coltura salentina (1893), Lettera a Pompeo Molmenti, La Provincia di Lecce nella storia dell’Arte, Storia e Arte  e Nelle Terre di Galateo, sintesi, quest’ultima opera, dell’attività di conferenziere di Marti in giro per tutta la Puglia.  Mai inerte spettatore, Marti aveva sempre con tempestività segnalato e fatto pressioni sulla Sovrintendenza regionale e sulle Amministrazioni comunali la necessità di una  più larga conoscenza della vita preistorica, messapica, romana, medievale e moderna del Salento e della Puglia.

Una ciclopica battaglia di Marti compiuta anche sui suoi giornali, dal 1887 al 1931, come  “La Democrazia”, “L’Avvenire”, “Il Presente”, “L’Imparziale”, “La Voce del Salento” e “Fede”. Una passione storico-archeologica per la Puglia dimostrata nelle sue Relazioni, nei Discorsi inaugurali delle Esposizioni d’Arte pura e applicata in Lecce e Gallipoli (1924,1925,1926,1928), nei  Bozzetti di Diporti a Carpignano, a Otranto, a Maruggio, a Surbo, a Cerrate, a Giurdignano.

Novità autorevole la sua, ma quasi sempre inascoltata, nelle cinque  proposte-denuncia dello studioso Marti, lanciate, sempre nella  Ragione del libro del volume  Ruderi e Monumenti.

Se, grande è stata l’attenzione dell’uditorio nel Castello di Castro Marina, alla presentazione del volume di Inguscio, si riscopre ancora una volta, un po’ in tutti gli scritti di Marti,  la necessità della nazionalizzazione del Museo Castromediano in Lecce, l’ampliamento e il riordino del Museo Civico di Lecce e del Museo Archeologico di Gallipoli. Ma egli giungeva a chiedere persino la compilazione di un inventario analitico delle opere d’arte conservate nelle chiese della Regione Puglia e nelle gallerie private, ad evitare che tesori dell’arte pugliese, acquistate da facoltosi privati, finissero bellamente nel Museo del Louvre. E, dalle colonne del suo giornale leccese “La Voce del Salento”, chiedeva continuamente alle Autorità preposte il restauro di monumenti come i gioielli della Basilica di Santa Croce, della chiesa delle Scalze a Lecce, di Santa Caterina in Galatina, di Santa Maria di Cerrate, del castello di Acaya, delle cripte di Carpignano e Giurdignano. Un grido di allarme, il suo, sempre attuale. Un’ansia-passione, quella di Pietro Marti, ben descritta nel volume di Ermanno Inguscio.

Quel giornalista salentino, aveva imparato ad amare l’arte alla scuola fiorentina dello scultore Antonio Bortone e  ad occuparsi del recupero di beni storico-ambientali nella sodale frequentazione tarantina con l’archeologo Luigi Viola. Marti, così, nei primi giorni del 1933, già fiaccato nella salute, nell’ accorrere a Rudiae a tentare di fermare la furia devastatrice di contadini e tomabaroli, sotto uno scroscio micidiale di pioggia, riuscì a fermare un ennesimo scempio ai danni della comune memoria. Rientrato nel capoluogo leccese, Marti dovette sostenere un ultimo letale assalto di una sopravvenuta polmonite, che, senza pietà,  per mesi non gli lasciò scampo.

Ma le intuizioni-denuncia di Marti in campo storico-artistico ne fanno un campione di civica modernità: eco di tanta lucida fatica, nella vita di un uomo impegnato come lui, innamorato della sua terra, è nel volume di Ermanno Inguscio, storico e continuatore di quell’antica civica passione, la tutela del nostro patrimonio culturale.

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