Il lampascione, re dei bulbi. Tutto ciò che occorre sapere

di Massimo Vaglio

 

Squisiti, adorabili, straordinari, benefici, gustosi, ottimi, particolari, ricercati, eleganti, versatili… Accanto a termini come questi, proferiti dai tanti estimatori si affiancano anche tutta una serie di termini meno lusingheri, rispettabile giudizio di una pur presente minoranza di detrattori. Per i lampascioni, infatti non si conoscono le mezze misure, o li si ama o li si odia.

È doveroso comunque premettere che il lampascione resta un bulbo misterioso per la stragrande maggioranza degli italiani, ma è molto probabile che, viste le sue prerogative, se fosse conosciuto meglio, sarebbe certamente amato un po’ di più.

In passato era conosciuto come Muscari comosum Mill.; dopo alcuni approfonditi studi botanici dal 1968, viene più correttamente appellato Leopoldia comosa (L.) Parl. Si contano, inoltre, varie specie simili al lampascione che vengono spesso utilizzate alla stessa stregua del lampascione per così dire verace: si tratta di una decina di specie appartenenti a tre diversi generi Bellevalia, Muscari, Leopoldia che hanno però un po’ tutte caratteristiche organolettiche più scadenti rispetto allo stesso. A tale proposito è utile ricordare quanto riportato dal Mannarini:“Assieme al pampasciulo trovasi spontaneo da noi un altro muscari, il Muscari Holzmannii Bois. o Leopoldia Holzmani Held., che ha proprietà eccitanti ed anche afrodisiache. Questo è volgarmente conosciuto col nome di pampasciulu pe li vecchi. Per questo, esso in Grecia si adibisce ad uso alimentare, da noi non è adoperato, anzi viene scartato nella raccolta del M. comosum”.

Decisamente meno tranquillizzanti le indicazioni di Dioscoride (II.358.) a proposito di una di queste specie identificata da alcuni traduttori naturalisti nel Muscari atlanticus e o M. botryoides:”il porro capitato fa ventosità, genera cattivi umori, fa sognare cose terribili e spaventose. Cuocersi la capillatura sua nell’aceto, ed in acqua marina. Con tali premesse non perderemo nulla se dal punto di vista gastronomico considereremo solo il lampascione rosso verace ovvero la Leopoldia comosa (L.) Parl.

La parte edule è costituita dal bulbo che può raggiungere eccezionalmente i 4 centimetri di diametro ed il peso di 35-40 grammi, anche se generalmente il diametro medio oscilla dagli uno ai due centimetri, ed il peso dai dieci ai venti grammi. La forma è piriforme, il colore esterno è rosso mattone, ma le tuniche tra le quali si nota la presenza di mucillagini verso l’interno si fanno sempre più chiare.

Dai bulbi, che giacciono ad una profondità di 10-30 centimetri, nell’inverno inoltrato si dipartono dei germogli di colore verde scuro che in breve andranno a costituire delle rosette fogliari composte da 3-5 foglie strette e lineari.  Solo a questo punto il lampascione può essere localizzato e finalmente cavat. In primavera emetterà un’infiorescenza violacea che di li a poco si disseccherà, rendendo il bulbo nuovamente difficilmente localizzabile.

Ancora oggi, nel Salento i migliori lampascioni si possono acquistare direttamente dal lampasciunaru, caratteristica figura di contadino povero (a cui si affianca anche qualche giovane disoccupato di buona volontà e con i tempi che corrono anche qualche cassintegrato). Costoro, durante il periodo vegetativo dei lampascioni, armati di una particolare pesante zappa a lama stretta denominata sirchialora o zzappone, perlustrano gli incolti e i pascoli magri, naturale habitat di questi bulbi e, una volta individuata una popolazione, stimano a colpo d’occhio, dalla porzione di pianta affiorante la grandezza di ogni singolo bulbo e lo cavano con pochi energici e precisi colpi del loro pesante attrezzo.  La loro giornata continua generalmente sino a quando non avranno riempito il capace paniere che si sono portato appresso, e finisce in paese ad un crocicchio, dove nella stessa serata convertiranno in moneta il frutto del loro duro lavoro. Per codesti indomiti spiriti liberi, quest’attività offre un’alternativa al non meno duro lavoro di bracciante agricolo, ma, soprattutto, il vantaggio di non dover sottostare alle dipendenze di alcuno.

Da quanto sopra, si evince come i lampascioni siano reperibili in una stagione ben circoscritta, però pagando un sovrapprezzo è possibile trovare lampascioni in ogni periodo dell’anno in quanto c’è chi li reinterra, naturalmente più fitti, in delle sorta di appositi vivai pronto a soddisfare le eventuali richieste.

Il lampascione, sviluppa 40 Kcal per100 grammi di parte edibile, risulta ricchissimo di Potassio, Fosforo, Calcio, Ferro e ricco di Manganese, Rame e Magnesio. La sostanza secca si aggira intorno al 25%; contiene l’8% di amido, oltre a saccarosio, fruttosio, glucosio e arabinosio. I bulbi contengono pure mucillagini e gomme, dalle quali sono state isolate sostanze che sembrano possedere proprietà antinfiammatorie ed antimutagene. Il lampascione, d’altronde, viene usato oltre che nell’alimentazione, anche nella medicina popolare per le proprietà diuretiche ed emollienti e nella cosmesi per lenire pelli arrossate, secche e screpolate.

Già conosciuto ad egizi, greci e romani, le sue virtù furono sperimentate sin dal I secolo d. C. dal famoso medico greco Galeno che lo prescriveva come diuretico, lassativo e depurativo e successivamente da molti altri scienziati dell’antichità fra cui Plinio e Teofrasto. Quindi, le dotte empiriche intuizioni di questi padri della medicina si sono rivelate estremamente fondate ed hanno ricevuto il suggello della moderna biochimica. Comunque, anche il nostro buon lampascione come ogni farmaco che si rispetti ha le sue, seppur piccole, controindicazioni, infatti, a volerlo dire come avrebbe detto il maestro Artusi, risulta piuttosto “ventoso”, ossia chi li consuma va incontro a meteorismo, ovvero ad un grande, salutare e liberatorio meteorismo, sempre che abbia la possibilità di darne libero sfogo.

Anche nel Salento, sua terra d’elezione, il lampascione è oggetto di multiple denominazioni: ampascione, campassulu, lampascione, lampaùne, pampascione, pampasciulu, pampasciune, vampascione, sino ad arrivare a quella più gentile, ma del tutto errata di lampone, probabilmente affibbiata al nostro orgoglioso bulbo da delicate signore incapaci di pronunciare alcuna delle ambigue e allusive denominazioni locali senza arrossire, in quanto spesso sinonimo di parti anatomiche per così dire impudiche, avallate in questo revisionismo da mercatino delle erbe da varie generazioni di insegnantucoli, che nella foga di epurare il linguaggio dei discenti da ogni sorta di termine gergale, hanno pensato di approvarne uno già presente nel ponderoso lessico botanico. Il Pignatti, massima autorità nazionale in materia di botanica, con un apprezzabile compromesso linguistico fra le denominazioni dialettali pugliesi e la lingua italiana lo appella lampagione.

Straordinariamente il lampascione nel Salento integra anche un probabile interessante caso di sincretismo religioso che si concretizza nella venerazione della Madonna dei Lampascioni, ogni primo venerdì di marzo nella suggestiva cornice della cittadina di Acaya. In questa straordinaria quanto singolare cittadina, fortificata nel XVI secolo da Gian Giacomo dell’Acaya sulle vestigia di una preesistente antica fortezza, ove si respira la suggestione di un’atmosfera incantata vecchia di secoli, la Madonna Addolorata cambia addirittura nome divenendo appunto Madonna dei Lampascioni. La celebrazione religiosa si integra con la tradizionale fiera, nonché sagra dei lampascioni, con l’immancabile devozionale degustazione di lampascioni preparati nei più svariati modi. Tutto fa pensare ad un rito pagano miracolosamente sopravvissuto; il germogliare dei lampascioni, bulbi importantissimi per l’alimentazione delle antiche popolazioni locali, per cui idolatrati, era festeggiata con delle sorti di riti pagani in seguito cristianizzati?

L’utilizzazione primaria e naturale del lampascione è indubbiamente quella gastronomica, ma dalla medicina popolare gli vengono riconosciute anche proprietà diuretiche ed emollienti e, ma solo per uso esterno, proprietà lenitive della cute irritata e secca. Il lampascione ha però nella tradizione popolare pugliese anche un impiego per così dire tecnico: infatti quando una pignatta di terra cotta, per il suo prolungato uso a diretto contatto con il fuoco si incrina perdendo così la sua tenuta stagna, viene diligentemente strofinata più volte nella parte lesa con un lampascione tagliato a metà; una volta essiccatesi, le mucillaggini copiosamente secrete dal nostro versatile bulbo, cicatrizzeranno perfettamente l’argilla e la pignatta potrà proseguire la sua  funzione per ancora diverso tempo.

(continua)

 

 

Condividi su...

Lascia un commento

La Fondazione Terra d'Otranto, senza fini di lucro, si è costituita il 4 aprile 2011, ottenendo il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Puglia - con relativa iscrizione al Registro delle Persone Giuridiche, al n° 330 - in data 15 marzo 2012 ai sensi dell'art. 4 del DPR 10 febbraio 2000, n° 361.

C.F. 91024610759
Conto corrente postale 1003008339
IBAN: IT30G0760116000001003008339

Webdesigner: Andrea Greco

www.fondazioneterradotranto.it è un sito web con aggiornamenti periodici, non a scopo di lucro, non rientrante nella categoria di Prodotto Editoriale secondo la Legge n.62 del 7 marzo 2001. Tutti i contenuti appartengono ai relativi proprietari. Qualora voleste richiedere la rimozione di un contenuto a voi appartenente siete pregati di contattarci: fondazionetdo@gmail.com.

Dati personali raccolti per le seguenti finalità ed utilizzando i seguenti servizi:
Gestione contatti e invio di messaggi
MailChimp
Dati Personali: cognome, email e nome
Interazione con social network e piattaforme esterne
Pulsante Mi Piace e widget sociali di Facebook
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Servizi di piattaforma e hosting
WordPress.com
Dati Personali: varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio
Statistica
Wordpress Stat
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Informazioni di contatto
Titolare del Trattamento dei Dati
Marcello Gaballo
Indirizzo email del Titolare: marcellogaballo@gmail.com

error: Contenuto protetto!