di Daniele Vigna
La processione è finita, i pellegrini si radunano sul sagrato della chiesa.
Vengono a piedi dai paesi vicini e dormiranno all’aperto questa notte.
Qualche fuoco prende vita e scalda le pelli dei tamburi, le rami dei cimbali
brillano e già cominciano a fremere.
Ci si ritrova dopo un anno ed è naturale salutarsi con rispetto prima di
entrare nella chiesa del santo a inginocchiarsi e a pregare con devozione.
Il segno della croce, un ultimo sguardo e si lascia l’altare alle spalle
insieme all’odore d’incenso e di cera misto alle voci cadenzate dei rosari.
Dirimpetto c’è il clamore della festa che comincia a prendere vita con i suoi
grandi cerchi fatti di uomini e di tamburi: le ronde.
Ci si raduna, qualche frase per definire i ruoli sostituita, a volte, solo da
uno sguardo, tanto lunga è ormai la conoscenza. In mezzo a centinaia di persone
sbocciano i cerchi. “A nome te Diu!” grida un anziano, il pollice comincia a
battere la pelle del primo tamburo e gli altri lo seguono; il cerchio, come una
rosa, fiorisce, si allarga e comincia a srotolarsi un ritmo lento e regolare,
possente, lo si sente vibrare nei piedi e salire nel ventre, nel petto.
Tthumm! Tthumm! Tthum tthum tthum!
I primi due sfidanti fanno un cenno, prendendosi per mano si fermano, si
guardano negli occhi, presentano simbolicamente le armi: l’indice e il medio
distesi e il pollice chiude le altre dita. Le gambe sono flesse e leggere, il
baricentro basso, la colonna distesa, le spalle dritte e lo sguardo fermo. Si
gira ancora, studiandosi e aspettando il momento giusto per cogliere una
breccia nella difesa dell’avversario. A turno una volta si attacca, una volta
si difende, muovendosi e respirando assieme al ritmo del suono. Secondo il
codice antico, chi viene colpito più volte esce fuori dalla ronda. Il rituale
lentamente comincia a rivivere svelandosi e i tamburi battono la cadenza
catturando il pulsare del cuore: tthum! Tthum! Tthum tthum tthum!
Un altro cenno, altri due avversari si prendono per mano e inizia una nuova
sfida: il codice vuole che ogni attacco venga presentato e sferrato sull’ultimo
accento della terzina assieme al battere sonoro del piede al suolo. Nessuno può
trasgredire, mancare di rispetto all’avversario significa offendere la ronda e
con forza essere cacciati via tra il disprezzo di tutti.
Nessuno può disturbare la ronda, “Ci nu ssai ‘soni statte ccasa!”, e per farne
parte bisogna conquistarsene la fiducia e il rispetto anno dopo annno. Ogni
gesto si impara bene osservando e affrontando l’avversario, ogni regola viene
compresa dopo ogni sbaglio e ancor più attraverso i consigli preziosi dei
maestri, festa dopo festa, anno dopo anno, a patto di saperli sedurre col
rispetto, la perseveranza e la misura. Una volta fatto questo, però, nella
sfida si è soli, in nessun caso è consentito trasgredire le regole o il maestro
sarà il primo a punire gli sciocchi cacciandoli via con sdegno e disonore. Non
è ammesso colpire il viso, è segno di stupidità e di arroganza; mai voltare le
spalle allo sfidante, ne si ferirebbe l’orgoglio; mai in nessun caso viene
tollerata la violenza, il corpo dell’avversario deve essere solo sfiorato, non
colpito, e se ciò accade accidentalmente, le scuse vengono immediatamente
presentate con un cenno della mano destra.
Le sfide si avvicendano nei cerchi che si allargano e gli occhi soggiogati
dalla luce febbrile dei cimbali, osservano inebriati la danza dei corpi e dei
tamburi.
Ma per favore, si tratta di cose passate che nulla aggiungono all’essere salentino. tempi passati, e che non devono tornare senza fare troppo i malinconici.
bello, vibrante, salentino.
Non vedo malinconia fuori posto ma una bella descrizione della scherma che fa rivivere, sicuramente in maniera sublimata e non realistica, i momenti della notte di san Rocco. La scherma fa parte del salento che ci portiamo dentro il cuore come le pietre leccesi scolpite, le scogliere, le dune, il mare , i cuti, i purciddhruzzi, le pucce, il sole che ti acceca, il vento che ti accarezza o ti affligge se è scirocco.
Tutte queste cose possono sembrare straordinariamente vive ed evocative oppure possono sembrare stucchevoli. depende da que punto guardi el mundo tutto depende.
A me è piaciuto.