Fuoco, luce, racconto, energia nel percorso artistico di Orlando Sparaventi

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di Antonio Mele ‘Melanton’

 

Vado in Terronia a vedere com’è”, disse un bel po’ d’anni fa alla moglie Lella, che gli aveva già dato due bambini, il giovanotto di belle speranze Orlando Sparaventi da Urbino, patria dell’immenso Raffaello, e città d’arte fra le più seducenti d’Italia. Insegnava già da qualche tempo a Pesaro, dove s’era formato nel prestigioso Laboratorio di Franco Bucci, ma nel sud del Sud, a Parabita, in Terra d’Otranto, quasi ai confini del mondo, c’era bisogno di un maestro che istruisse e svelasse i segreti della tecnica ingegnosa e non facile degli smalti su metallo, e per la specifica sezione nel locale Istituto d’Arte gli era stato per l’appunto proposto tale incarico.

Quella cattedra sarà mia”, deve aver pensato il giovane e prode Orlando, “ma è meglio partire da solo, poi si vedrà”. E infatti s’è visto fin da subito: è stato, verso Parabita e il Salento, un innamoramento immediato e fatale, tuttora di forte impeto e vivacità. Così, ha di lì a poco chiamato “in Terronia” il resto della famiglia, e questo piccolo privilegiato paradiso è diventato una scelta gioiosa, un destino, una nuova amabile patria.

Qui, e da qui, nella sua grande casa sulle alture poco fuori paese, immersa tra ulivi e alberi da frutto, e protesa in un panorama palpitante che spazia fino alle marine di Gallipoli, Orlando Sparaventi ha costruito e costruisce passionalmente le sue magie, dando un senso d’arte e di vita alla materia, traducendola in fuoco, luce, racconto, energia.

Era da tempo che volevo incontrare da vicino quest’artista davvero speciale, che nel suo carismatico magistero, e dentro le sue feconde ispirazioni, racchiude ricerche tecniche molteplici e intense: di artigiano, di artefice, di pittore, scultore, modellatore, creatore di  arredi sacri, e filigrane, e gioielli, e soprattutto “smaltista”. Fra i più autorevoli in Europa (i suoi seminari nel Museo di Himmerod, in Germania, sono frequentati da professionisti già affermati, su prenotazioni di largo anticipo), e fra i pochi in grado di padroneggiare ed esaltare la complessa tecnica del cloisonnè, dello champlevè e soprattutto dello “smalto cattedrale”, tecnica raffinatissima consistente nel riempimento di un reticolo con smalti trasparenti, per ottenere appunto l’effetto delle vetrate delle cattedrali.

Sparaventi avevo avuto modo di conoscerlo una prima volta in occasione di una bella collettiva al castello De’ Monti di Corigliano d’Otranto, qualche anno addietro, su invito del cortese professore Luigi Mangia, promotore di quell’incontro, al quale parteciparono numerosi e valenti artisti salentini. Ma fu quello un incontro fugace, ancorché molto coinvolgente.

Ora, accompagnato da mia moglie Teresa, l’occasione si è rinnovata, e posso finalmente appagarmi del suo affabile e fascinoso discorrere sull’arte.

Orlando, per la verità, non parla molto. Per lui parlano gli occhi, talora pieni di divertita ironia. E ancor più le mani. Mai ferme, come se modellassero anche l’aria. Non che gesticoli, tutt’altro: il suo aplomb è sempre misurato e perfetto. Ma le mani di Sparaventi si capisce subito che sono dinamiche, sensibili, irrefrenabili, piene di vitalità, pronte a plasmare e a carezzare la forma inerte per darle vita e respiro.

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Dalla nostra conversazione emerge anche un certo suo ‘caratterino’, che lo porta ad essere sempre fin troppo severo ed esigente con se stesso, capace di distruggere – come ci ricorda la signora Lella, anche lei esperta d’arte – intere produzioni di opere di non completa soddisfazione.

Di tanto in tanto si alza, e con passo felpato sparisce per ricomparire con nuove magnificenze. Con un certo orgoglio ci conduce infine nel giardino, dov’è allocato il forno per le cotture degli smalti, fra i più grandi in assoluto per questo genere di produzione: “Qui prendono vita le mie opere più impegnative, che possono avere misure straordinarie, pressoché uniche”, dice con un sorriso di giusto compiacimento.

Ma al di là della dimensione – che pure, in questo ambito specifico ha un suo non piccolo valore – gli smalti di Sparaventi (su oro, argento, rame e altri metalli) sono un autentico inno alla bellezza.

Astratto e figurativo, classico e moderno, si integrano e convivono armoniosamente, e il segno dell’arte pura è riconoscibile in ogni piccolo tocco o dettaglio, che da soli o tutti insieme spiegano meglio i ‘quattro elementi’ di cui parlavo, fondamentali, credo, per una lettura completa del variegato percorso artistico del maestro: il fuoco, da cui l’opera è contraddistinta, sancita, impressionata; la luce, che dall’opera stessa viene trasmessa in cangianti moltiplicazioni di visioni anche fantastiche; il racconto, che è la narrazione sostanzialmente tecnica, che l’autore stesso ci partecipa ed invita a condividere; l’energia, come trasferimento totale delle percezioni tra il maestro e l’osservatore, che rappresenta di fatto l’esaudimento conclusivo di piacere e di gioia, vale a dire una delle precipue finalità dell’arte.

Questa, peraltro, è arte di solida ‘fisicità’, che riverbera grazia e sentimento, proprio perché vivificata dalle mani e dal cuore dell’artefice: un’opera che rimane comunque pregna di una magica poetica e seduzione extrasensoriale.

È un uomo che parla poco, Orlando Sparaventi. Che non ama la luce dei riflettori. Eppure, avverti il suo spirito fanciullesco e la sua anima artistica  quando ti mostra qualcosa che ha creato con particolare entusiasmo, lasciando allora la parola alla semplice sapienza stilistica, che emerge con vigore dai suoi manufatti.

È un artista completo. Istintivamente sorpreso e invaghito del suo stesso talento, ma senza alcun narcisismo di maniera. Consapevole, al contrario, di questo dono naturale, ed anche della sua appassionante “missione” che instancabilmente conduce – a Parabita e altrove – con gruppi di giovani altrettanto rapiti dall’incanto creativo, ai quali insegna e trasferisce i suoi prodigi di sognatore.

Torneremo a parlare di questo maestro straordinario, concreto e ideale, venuto nella nostra terra per innamorarsene. Segno anche questo che le vie dell’arte, come quelle della vita, sono un meraviglioso, splendido, umanissimo mistero.

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