Rodolfo Valentino e S. Chiara

di Armando Polito

immagine tratta ed adattata da Google Maps
immagine tratta ed adattata da Google Maps

 

Avrei potuto dare un altro titolo a questo post, per esempio: Il sacro e il profano oppure Il diavolo e l’acqua santa. Appartendo, però, anch’io alla schiera infinita dei peccatori, ho ceduto alla tentazione di poter avere qualche lettore in più con un accostamento che potrà apparire addirittura sacrilego per chi ancora crede nei miti, umani o religiosi che siano …

Continuando sul gioco dei contrasti, propongo dopo l’immagine di testa, che è in tutta evidenza recente, un’altra risalente al 1703.

È la mappa di Castellaneta che Giambattista Pacichelli (1634-1695), storico romano, inserì ne Il Regno di Napoli in prospettiva, opera in tre volumi1 uscita postuma a Napoli per i tipi di Perrino nel 17031. L’ho tratta direttamente dal secondo volume in cui l’abate romano presenta, oltre a Castellaneta, altri centri di Terra d’Otranto, corredandone per alcuni la trattazione con  le relative mappe. Siccome al peggio non c’è mai limite, avverto i lettori che ad essi ho dedicato un lavoro che, se il responsabile del sito sarà generoso nei miei confronti come fino ad ora è sempre stato, sottoporrò prossimamente, a puntate, a coloro che vorranno continuare a privilegiarmi della loro lettura. Gli amici di Castellaneta, perciò, oggi non se la prendano più di tanto: ritornerò a parlare della loro meravigliosa cittadina e, sparata la cartuccia a pallettoni (!), il prossimo colpo sarà a salve …

So che gli appassionati di queste cose (e gli amici di Castellaneta sono, per evidenti motivi logistici, favoriti) si precipiteranno, se non l’hanno già fatto, ad operare il raffronto con lo stato attuale dei luoghi. Non voglio frenare gli entusiasmi ma, per quel poco che ho capito studiando le altre mappe (e non solo del Pacichelli), sono giunto alla conclusione (e il discorso vale soprattutto per il nostro abate) che esse sono un misto tra mappe “attuali” e mappe storiche, nel senso che ho l’impressione (e restringo il discorso alla nostra) che essa non rappresenti fedelmente lo stato dei luoghi qual era alla fine del XVIII secolo, ma costituisca l’adattamento, l’elaborazione e forse solo l’aggiornamento parziale di una carta più antica. Si tenga conto, poi, che neppure nelle mappe più fedeli o presunte tali la rappresentazione dei dettagli (per esempio, del profilo delle fabbriche) rispecchia le forme reali, anche perché la loro rappresentazione (case e chiese in primis) sembra seguire stereotipi convenzionali. A ciò si aggiungano pure le trasformazioni che inevitabilmente i luoghi hanno subito in più di tre secoli (basti pensare al criminale sventramento dei centri storici massicciamente perpetrato a partire dal secolo XIX e continuato per buona parte di quello appena trascorso) e ci si renderà conto che ogni ricostruzione storico-topografica inevitabilmente presenterà, più di qualsiasi altra, difficoltà, ombre e dubbi.

Tutto questo, però, non condiziona minimamente, anzi facilita le riflessioni che seguono.

È aperto da tempo il dibattito circa il dovere di preservare per noi ma ancor più per coloro che verranno ciò che rimane (ed è immenso) del già immenso patrimonio culturale che abbiamo avuto la fortuna di ereditare e si pone il problema di dare una valenza di rientro economico ai notevoli investimenti che l’intervento protettivo (Pompei docet) richiede. Le proposte (ahimè, solo quelle …) non mancano e ce ne sono di tutti i tipi: dalle valide alle bizzarre, dalle utopistiche alle demenziali.

In assenza di un piano sistematico si vivacchia con iniziative isolate che talora (raramente, perché non è facile conciliare interessi diversi) riscuotono apprezzamento incondizionato, più spesso suscitano, nel migliore dei casi, perplessità di vario genere.

Lascio al lettore giudicare il nostro caso, cioè la decisione di utilizzare la fabbrica dell’ex convento delle Clarisse come sede del museo dedicato a Rodolfo Valentino. La mia opinione sui miti di ogni tipo l’ho già espressa, dunque non mi scandalizzo affatto sulla nuova destinazione d’uso, tanto più che essa dovrebbe garantire almeno l’ordinaria manutenzione di una fabbrica destinata, come tante altre, ad un degrado esiziale.

Non mi scandalizza neppure più di tanto che la gigantografia di Rodolfo si contrapponga, sia pure per fini pubblicitari contingenti, all’immagine della Madonna (o della Santa?; non cambia nulla di nulla) nella nicchia in alto; in fondo, l’appartenenza a due sfere diverse (la terrena e la divina) risulta rispettata (l’icona umana al piano terra, la divina al piano elevato che già le apparteneva e dal quale fortunatamente non è stata sfrattata …), anche se malignamente debbo riconoscere che un Rodolfo collocato in alto avrebbe avuto un impatto visivo drasticamente inferiore.

Mi scandalizzerei, però, se una nuova destinazione d’uso, magari fra un secolo, dovesse servirsi dell’ex convento delle Clarisse, poi Museo Valentiniano, per ospitare una tappa dell’Erotica tour o di qualche manifestazione consimile della nostra miseria. Mi consola solo il fatto che, per motivi naturali, scandalizzarmi sarà impossibile perché, oltretutto, la volontà muore con noi.

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1 Leggibili e scaricabili rispettivamente da

http://books.google.it/books?id=sFRTAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=editions:Z4HnoiVoGbYC&hl=it&sa=X&ei=Z1snUtHmGe6h7AaU1oCACQ&ved=0CEEQ6AEwAg#v=onepage&q&f=false

http://books.google.it/books?id=ulRTAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=editions:Z4HnoiVoGbYC&hl=it&sa=X&ei=Z1snUtHmGe6h7AaU1oCACQ&ved=0CDUQ6AEwAA#v=onepage&q&f=false

http://books.google.it/books?id=wVRTAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=editions:Z4HnoiVoGbYC&hl=it&sa=X&ei=Z1snUtHmGe6h7AaU1oCACQ&ved=0CDsQ6AEwAQ#v=onepage&q&f=false

 

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