di Armando Polito
Sui risvolti economici delle corna la letteratura è sterminata. Non parlo di quelle reali del rinoceronte o delle zanne dell’elefante che, per il loro presunto potere afrodisiaco (attenzione, non vanno assunte intere ma polverizzate! …) le prime e come materia per l’estrinsecazione della vena artistica umana (e ti pareva …) le seconde, vengono subito in mente. Intendevo riferirmi alle corna metaforiche che invisibilmente spuntano sulla testa degli umani (in passato, almeno così comunemente si pensava …, più frequentemente su quella delle donne che degli uomini; poi, dopo millenni, sono spuntate più frequentemente sulla testa di questi ultimi e ultimamente, a voler dire come le cose stanno veramente e per rispettare le scelte sessuali di ognuno, spuntano dappertutto …
Il concetto del valore economico delle corna umane è antico e ben vivo nei due proverbi che seguono:
Li corne so’ comu li tienti: ti tòlinu quandu ti èssinu ma poi ti servinu pi mmangiare (Le corna sono come i denti: ti dolgono quando spuntano ma poi ti servono per mangiare).
Ci tene corne tene pane, ci tene figghe femmine cu nno ddica puttane, ci tene fili masculi cu nno ddica latri! (Chi ha corna ha pane, chi ha figlie femmine non dica puttane, chi ha figli maschi non dica ladri!).
Secondo me condensano in poche parole ciò che sociologhi rinomati non sarebbero capaci di fare nemmeno in duecento pagine (nei casi migliori la prolissità è dovuta all’obbligo contratto con l’editore che il saggio non debba avere un numero inferiore di pagine …). Io non credo di essere prolisso ma, non essendo un sociologo, passo ad altro, anzi ad altre corna e, precisamente a quelle del porto di Brindisi preliminarmente rivisitate attraverso la loro rappresentazione geografica procedendo a ritroso nel tempo.
Immagine personalmente tratta ed adattata da Google Maps.
Mario Consiglio, Sono venuto a catturare la tua voce, disegno su carta nautica (2012), immagine tratta da http://www.artribune.com/wp-content/uploads/2012/06/Untitled_1201-low.jpg
Piano generale del porto di Brindisi (1866), mappa visibile in alta definizione in http://hdl.huntington.org/cdm/ref/collection/p15150coll4/id/7163)
Anonimo (1780 circa); immagine tratta da http://www.antiquarius-sb.com/Catalogue_c.asp?page=4&area=115&subarea=41
È la rielaborazione in inglese di una carta del 1575 (quella di Andrea Palladio) che presenterò più avanti.
Joseph Roux (1764); immagine tratta da http://www.antiquarius-sb.com/Catalogue_c.asp?page=4&area=115&subarea=41
Giovan Battista Pacichelli (1703)1
In un lavoro in corso d’opera saranno esaminate nei dettagli tutte le mappe relative ai centri della Terra d’Otranto che corredano il testo dell’abate romano. Per l’idea che me ne sono fatto mi sento di affermare che esse hanno un carattere storico più che geografico in senso stretto, cioè non descrivono i luoghi così come apparivano agli inizi del XVIII secolo ma, probabilmente, rifacendosi a mappe precedenti, quali erano agli albori dell’età moderna. Una prova di ciò può essere considerata proprio nella mappa di Brindisi la presenza delle due colonne romane (nella didascalia si legge 14 le Colonne) in prossimità del porto (dettaglio evidenziato con la circonferenza rossa nella mappa e di seguito riprodotto ingrandito).
Una colonna, com’è noto, era già crollata nel 1528.
Willem e Joan Blaeu (1663 circa); immagine tratta da http://www.antiquarius-sb.com/Details_c.asp?ID=8873#info
Questa è proprio bella! Il titolo (Tarento) è certamente un errore (come mostra, oltretutto, lo stemma che è quello di Brindisi), ma non mi sentirei di escludere che esso sia stato indotto inconsciamente, nei collaboratori locali di cui il Blaeu dovette avvalersi, dall’antico ricordo dell’egemonia di Taranto, le cui prove ho fornito recentemente in https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/09/05/come-gli-spartani-presero-in-giro-in-un-colpo-solo-gallipolini-e-tarantini/
Andrea Palladio (1575)2
Piri Reis (1520 circa); immagine tratta da http://it.wikipedia.org/wiki/File:Brindisi_by_Piri_Reis.jpg
Volutamente non ho fin qui fatto nessun commento alle tavole riprodotte (a parte qualche nota di servizio) perché intendo su questo lasciare la parola ad autori, questa volta letterari, che hanno preceduto di secoli quest’ultima rappresentazione. Anche per loro procederò dai più recenti ai più antichi.
Stefano di Bisanzio (probabilmente VI secolo d. C.): Brentèsion, città sull’Adriatico (così chiamata) da Brento (figlio) di Ercole oppure perché è ben fornita di porto: infatti in una sola imboccatura sono racchiusi molti porti. Sarebbe stata chiamata così in quanto molto somigliante a una testa di cervo; brention infatti presso i Messapi è la testa del cervo, come dice Seleuco nel secondo libro delle glosse. L’etnico è Brentesìnos.3
Dione Cassio Cocceiano (II-III secolo d. C.): Poi (i Romani) mossero in armi contro quella che ora si chiama Calabria col pretesto che aveva accolto Pirro e avevano fatto incursioni contro i loro alleati, ad onor del vero poiché volevano impadronirsi di Brindisi in quanto ben fornita di porto e luogo di avvicinamento e di sbarco per chi naviga dall’Illiria e dalla Grecia tale che si poteva pure arrivare e ripartire (sospinti) dallo stesso vento. E la presero e mandarono coloni sia lì che altrove.4
Sesto Pompeo Festo (II secolo d. C.): Barium chiamarono una città i suoi fondatori espulsi dall’isola di Barra che non è lontano da Brindisi. Alcuni poeti per brevità dissero Brenda.5
Lucano (I secolo d. C.): … così [Pompeo] Magno impari per forze lasciò l’Esperia e profugo attraverso le campagne apule riparò sulle sicure rocche di Brindisi. È una città un tempo posseduta dai coloni dittei che profughi da Creta spinsero per i mari le poppe di Cecropia quando le vele annunziarono menzognere che Teseo era stato vinto. Di qua un angusto lembo di Esperia che già si piega in un arco spinge in mare una sottile lingua che con le sue corna ricurve chiude le onde dell’Adriatico. E tuttavia il mare accolto nelle strette fauci non sarebbe un porto se un’isola non ricevesse con le sue rocce i violenti maestrali e lasciasse scorrere onde stanche. Da una parte e dall’altra la natura ha opposto al mare aperto montagne di rocciosa rupe e ha deviato i venti perché le carene potessero stare trattenute da una tremula fune. Da qui ampiamente si apre il canale sia che le vele si dirigano, o Corcira, ai tuoi porti, sia che sia cercata a sinistra l’illirica Epidamno che piega verso le onde ionie. Qui è il rifugio dei marinai quando l’Adriatico scatena le sue forze e i monti Cerauni sono scomparsi tra le nubi e quando la calabra Sason è investita dal mare schiumoso.6
Strabone (I secolo a. C.-I secolo d. C.): I Brindisini possiedono un territorio migliore di quello dei Tarantini: esso è infatti poco profondo ma ferace, tra quelli molto apprezzati per il miele e per le lane. Inoltre Brindisi è dotata di un porto di gran lunga migliore . In una sola imboccatura, infatti, ci sono chiuse molte rade riparate dai flutti mentre al loro interno ci sono insenature, sicché il luogo appare simile nella struttura alle corna di un cervo, da cui anche il nome. Infatti il luogo insieme con la città assomiglia moltissimo ad una testa di cervo e nella lingua messapica la testa del cervo si chiama brention. Il (porto) tarantino, invece, non è assolutamente protetto dai flutti per la sua conformazione aperta e verso l’interno ha pure alcune parti poco profonde.7
Tenuto conto soprattutto di quanto ci ha tramandato Dione Cassio Cocceiano, concludo dicendo che non sempre le corna rendono, nemmeno quelle di un porto …
_______________
1 Immagine tratta personalmente dal secondo volume de Il Regno di Napoli in prospettiva, opera in tre volumi consultabile e scaricabile da:
2 Immagine tratta personalmente da I commentari di C. Giulio Cesare, Pietro De Franceschi, Venezia, 1575, testo consultabile e scaricabile da http://books.google.it/books?id=nT08AAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=palladio+i+commentarii+di+Caio+Giulio+Cesare&hl=it&sa=X&ei=ZBsrUonUGe6h7AaD9oCwCA&ved=0CD8Q6AEwAA#v=onepage&q=palladio%20i%20commentarii%20di%20Caio%20Giulio%20Cesare&f=false
L’ho riportata perché, anche se storica, credo che l’autore inevitabilmente tenne presente la conformazione dei luoghi a lui contemporanea.
3 Ethnikà, lemma Βρεντέσιον: Πόλις παρὰ τὸν Ἀδρίαν, ἀπὸ Βρέντου ἩἩρακλέους, ἢ ὡς εὐλίμενος οὖσα· ἐνὶ γὰρ στόματι λιμένες πολλοὶ συγκλείονται. Ὡς ἐικυῖα τοίνυν κεφαλῇ ἐλάφου οὔτως ὠνόμασται· βρέντιον γὰρ παρὰ Μεσσαπίοις ἡ τῆς ἐλάφου κεφαλή, ὡς Σέλευκος ἐν δευτέρῳ γλωσσῶν. Τὸ ἐθνικὸν Βρεντεσίνος.
4 Historiae Romanae, (nell’epitome di Zonara VIII, 7, 3): Εἶτα εἰς τὴν νῦν καλουμένην Καλαβρίαν ἐστράτευσαν, προφάσει μὲν ὅτι τὸν Πύρον ὑπεδέξαντο, καὶ τὴν συμμαχίδα κατέτρεχον· τῇ δ’ἀληθείᾳ ὅτι ἐδούλοντο οἰκειώσασθαι τὸ Βρεντέσιον, ὡς εὐλίμενον καὶ προσβολὴ καὶ κάταρσιν ἐκ τῆς Ἰλλυρίδος καὶ τῆς Ἑλλάδος τοιαύτην ἔχον, ὤσθ’ὑπὸ τοῦ αὐτοῦ πνεύματος καὶ ἐξανάγεσθαί τινας καὶ καταίρειν. Καὶ εἷλον αὐτὸ, καὶ ἀποίκους ἔπεμψαν εἰς αὐτὸ τε καὶ εἰς ἑτέρα.
5 De verborum significatu (libro II nell’epitome di Paolo Diacono): Barium urbem Italiae appellarunt conditores eius expulsi ex insula Barra, quae non longe est a Brundisio. Brundisium quidam poetae brevitatis causa Brendam dixerunt.
6 Pharsalia, II, 607: … sic viribus impar/tradidit Hesperiam, profugusque per Apula rura/Brundusii tutas conscendit Magnus in arces./Urbs est Dictaeis olim possessa colonis,/quos profugos Creta vexere per aequora puppes/Cecropiae, victum mentitis Thesea velis./Hac latus angustum iam se cogentis in arcum/Hesperiae tenuem producit in aequora linguam,/Hadriacas flexis claudit quae cornibus undas./Nec tamen hoc arctis immissum faucibus aequor/portus erat, si non violentos insula Coros/exciperet saxis, lapsasque refunderet undas./Hinc illinc montes scopulosae rupis aperto/opposuit natura mari, flatusque removit,/ut tremulo starent contentae fune carinae./Hinc late patet omne fretum, seu vela ferantur/in portus, Corcyra, tuos, seu laeva petatur/Illyris Ionias vergens Epidamnos in undas./Huc fuga nautarum, cum totas Hadria vires/movit, et in nubes abiere Ceraunia, quumque/spumoso Calaber perfunditur aequore Sason.
7 Geographia, VI, 3, 6: Χώραν δ᾽ ἔχουσι βελτίω τῆς Ταραντίνων· λεπτόγεως γὰρ ἐκείνη, χρηστόκαρπος δέ, μέλι δὲ καὶ ἔρια τῶν σφόδρα ἐπαινουμένων ἐστί. Καὶ εὐλίμενον δὲ μᾶλλον τὸ Βρεντέσιον· ἑνὶ γὰρ στόματι πολλοὶ κλείονται λιμένες ἄκλυστοι, κόλπων ἀπολαμβανομένων ἐντός, ὥστ᾽ ἐοικέναι κέρασιν ἐλάφου τὸ σχῆμα, ἀφ᾽ οὗ καὶ τοὔνομα. Σὺν γὰρ τῇ πόλει κεφαλῇ μάλιστα ἐλάφου προσέοικεν ὁ τόπος, τῇ δὲ Μεσσαπίᾳ γλώττῃ βρέντιον ἡ κεφαλὴ τοῦ ἐλάφου καλεῖται. Ὁ δὲ Ταραντῖνος οὐ παντελῶς ἐστιν ἄκλυστος διὰ τὸ ἀναπεπτάσθαι, καί τινα καὶ προσβραχῆ ἔχει τὰ περὶ τὸν μυχόν.