“Post fata resurgat”. La travagliata storia del monumento ai Caduti di Manduria

Il maestro De Bellis nel suo laboratorio
Il maestro De Bellis nel suo laboratorio

 

 di Nicola Morrone

 

Collocato in pieno centro cittadino, precisamente sull’estremo  margine occidentale della Villa Comunale, vi è uno  tra  i monumenti di  pubblica committenza  più significativi della Manduria contemporanea: il Monumento ai Caduti.

Delle complesse vicende relative a quest’opera, progettata sin dal 1949 e inaugurata solo diciassette anni dopo,  nel 1966, cercheremo di tracciare un profilo, segnalando le più significative tappe che portarono, attraverso un percorso lungo e  quanto mai travagliato, alla sua erezione. Intendiamo con queste  nostre note  (suscettibili chiaramente di ulteriori approfondimenti) contribuire ad una migliore e più diffusa conoscenza di un monumento la cui vicenda costruttiva, pur essendosi svolta appena mezzo secolo fa, rimane certamente ai più sconosciuta.

Il Lavoratore del pensiero
Il Lavoratore del pensiero

LE FONTI DOCUMENTARIE

Ci siamo avvalsi essenzialmente, per queste note, dei documenti conservati nell’Archivio di Deposito (Carteggio) del Comune di Manduria, ubicato attualmente al piano superiore dell’Ex Monastero delle Servite. Archivio inventariato  e gestito, insieme a tutto il patrimonio documentario  comunale, dal consorzio General Services di Noci (BA), a partire dall’anno 2000. L’accesso alla documentazione è avvenuto in conformità a quanto previsto dall’art. 122 del Decreto Legislativo 22/1/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), che disciplina le modalità di consultazione e riproduzione dei documenti conservati negli archivi pubblici. La documentazione superstite  che illustra la storia  del Monumento ai Caduti è interamente collocata  nell’Archivio di Deposito del Comune di Manduria, Categoria VIII (Leva e Truppa), Busta 1, fascicoli 4-9.

I fascicoli contengono documentazione compresa tra gli estremi cronologici 1949-1970 (si segnala la presenza, all’interno del fascicolo 9, di 28 foto in bianco  e nero del Monumento, eseguite dalla ditta fotografica Corcelli di Bari). Ed effettivamente la storia del Monumento ai Caduti di Manduria si svolge tutta tra queste due date: 1949 -1970. Al 24/6/1949 risale infatti la Delibera del Consiglio Comunale in cui si stabiliscono l’ubicazione e il finanziamento del monumento. Al 1970 risale invece l’ultima richiesta fatta dal Comune di Manduria allo scultore Vitantonio de Bellis, relativa ad un’ultima revisione globale  dell’opera.

Il Lavoratore del braccio
Il Lavoratore del braccio

LA VICENDA STORICA

Queste, in estrema sintesi, le tappe della vicenda, come risultano da un pro-memoria  allegato ai documenti contabili.

Il 24 Giugno 1949 lo scultore  Vito Antonio De Bellis di Bari spiega al Consiglio Comunale il concetto idatore del progetto del Monumento ai Caduti, che deve sorgere in Manduria ad iniziativa della locale sezione dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci, e ne illustra il bozzetto che si trova nella sala [I Combattenti, costituendo un comitato per il Monumento ai Caduti, avevano indetto un concorso nazionale per il progetto dell’opera, di cui purtroppo non abbiamo reperito alcun altro bozzetto  partecipante]. Il Consiglio Comunale (Sindaco Florenzo Di Noi) ad unanimità di voti, delibera che il Monumento deve essere ubicato nella Villa Comunale  e che la costruzione deve essere realizzata in pietra di Trani.

Il 16 Febbraio 1954 il Consiglio delibera di dare parere favorevole alla concessione del suolo occorrente per la edificazione del Monumento al centro del giardino pubblico, previa sistemazione definitiva di quest’ultimo, mediante pavimentazione.

Il 12 Novembre 1960 il Consiglio delibera di assumere l’impegno di completare il Monumento ai Caduti e di disporre i lavori di cui alla relativa perizia dell’ufficio tecnico del Comune. L’Associazione dei Combattenti, infatti,  non potendo piu’ sostenere l’onere dell’impresa, aveva chiesto al Comune, con lettera  di Aurelio Pasanisi, di subentrare nell’iniziativa.

Il 5 Novembre  1961 la Giunta Municipale delibera  di commettere allo scultore Vitantonio De Bellis di Bari  la fornitura di due statue di bronzo monumentale, da servire a completamento del monumento progettato dallo stesso, e di demolire i plinti provvisori esistenti e di costruire i nuovi con massi ciclopici, modificandoli poi in basamenti da ricavarsi con roccia marina e opportunamente sagomata, e infine sostituendoli con plinti in muratura e rivestimento con lastre di travertino.

Il 22 Maggio 1964 la Giunta Municipale delibera di commettere a trattativa privata, ad una ditta locale, i lavori di completamento del Monumento, da effettuarsi in ordine alla relativa perizia dell’ufficio tecnico comunale.

Il 4 Novembre 1966 , sindaco l’Ing. Ferdinando Fiorenza , alla presenza delle autorità civili, militari e religiose si inaugura nella Villa Comunale il Monumento ai Caduti.

 

Il Caduto
Il Caduto

IL PROGETTISTA

Vitantonio De Bellis nacque in Rutigliano il 24 Novembre 1887 da Giuseppe, costruttore edile, e Maria Carmela Pappalepore. Sin da bambino mostrò una spiccata attitudine per il disegno e la scultura. I genitori assecondarono questa sua inclinazione, iscrivendolo al prestigioso Istituto di Belle Arti di Napoli, dove maturò il suo estro sotto la guida dei principali artisti dell’epoca. Terminati gli studi, all’età di 20 anni tornò a Rutigliano per iniziare la sua lunga e feconda carriera artistica. Sono numerose e tutte di notevole pregio le opere da lui realizzate, come i celebri Monumenti ai Caduti eretti in molte città di Puglia e Basilicata: oltre a quello di Rutigliano, che domina piazza XX Settembre, vanno citati, tra gli altri, quelli di Conversano, Carbonara, Casamassima, Modugno, Cassano, Torre Santa Susanna, Erchie, Genzano e Brindisi.
Della sua vasta produzione vanno ricordati anche i busti di molti personaggi di rilievo, tra cui quelli del venerabile mons. Giuseppe Di Donna (nella villa comunale di Rutigliano), di mons. Domenico Morea (collocato nella piazza principale di Alberobello) e dell’on. Giuseppe Di Vagno. Fu anche progettista in Bari della chiesa del Redentore e della chiesa dei Padri Cappuccini, nonché autore della celebre fontana monumentale dell’Acquedotto Pugliese, ubicata nella Fiera del Levante.
Sposò nel 1943  Anna Maria Sebastiani, consigliere del Sindacato Internazionale d’Arte di Roma, conosciuta a Pisa dove De Bellis soggiornò per lavoro per un breve periodo.
Morì in Bari (città in cui aveva aperto il suo laboratorio artistico) nel 1977.
La sua città natale, Rutigliano, gli ha dedicato una via solo di recente, mentre Bari già da molti anni aveva intitolato una strada del centro allo scultore Vitantonio De Bellis.

 

Il bozzetto vincente
Il bozzetto vincente

LE MAESTRANZE 

Per la realizzazione della cripta sottostante il  Monumento ai Caduti, il Comune stipulò un contratto con la locale ditta Camillo Bagorda. Non siamo riusciti a precisare se la stessa  ditta fu  incaricata  di realizzare la restante parte dell’imponente architettura. Sappiamo invece con certezza che lo scultore De Bellis, dopo aver realizzato nel suo atelier i bozzetti  in creta , inviò i modelli in gesso delle statue a grandezza naturale, per la definitiva  fusione  in bronzo, alla Fonderia Artistica Ferdinando De Luca di Napoli, che disbrigò il lavoro a regola d’arte.

 

IL SIGNIFICATO DELL’OPERA

Un documento di estremo interesse è costituito dai  due fogli  senza data , redatti su carta intestata dallo  scultore Vitantonio De Bellis, dal titolo “Relazione sul Monumento ai Caduti di Manduria”. In essi l’artista spiega dettagliatamente il significato del monumento. Lo riportiamo integralmente, certi di contribuire a svelare un arcano iconografico. Quanti concittadini, infatti,e quante volte, si saranno  chiesti  cosa rappresenta  realmente la complessa struttura architettonico-scultorea che domina prepotentemente lo scenario della Villa Comunale?

Lasciamo la parola allo scultore De Bellis:

“La concezione alla quale si ispira il Monumento ai Caduti di Manduria può riassumersi nel seguente pensiero: il grande arco che inquadra le figure simboleggia la vita che continua, l’altro semicerchio, che dovrebbe raffigurasi sottoterra, rappresenta la morte. Morte da cui nasce la Vita, e Vita da cui nasce la Morte, nella perpetuità di un ritmo che infonde fede e coraggio, speranza e bontà. Le due fiaccole poste alle basi esterne dell’arco [poi non piu’ realizzate] rette da mani, simboleggiano lo spirito eternamente vivo di chi è morto per un supremo ideale, sembrano dire : “la nostra morte corporea è e deve essere la vita che torna. Noi siamo morti, affinchè dal nostro sacrificio potesse nascere migliorato questo eterno ritmo della vita che torna incessantemente! Siamo morti per far vivere ed agire i vivi in un mondo più completo e più libero”. La vita deve essere riedificata su nuove basi ed a questa riedificazione tutti gli uomini debbono partecipare. La nuova società, quindi, deve nascere dagli sforzi del Lavoratore del pensiero, che dallo studio deduce le leggi eterne dell’armonia, e della giustizia, e dal sudore del Lavoratore del braccio, che dalle viscere della terra trae l’alimento necessario alle esigenze della vita quotidiana. L’arco nelle sue linee armoniche e nella sua solidità sta, quindi, a significare che soltanto l’equilibrata comprensione di queste due forze può gettare le basi della nuova società; società in cui tutti i suoi componenti, consci dei diritti e dei doveri, trovino la giustizia e l’amore, uniche fonti di pace e di prosperità. Sull’area centrale, staccata dal grande arco, sta il Caduto, esempio di chi ha sofferto per la libertà e l’unità della Patria; esso è e sarà sempre un raggiante lume sul cammino degli Italiani. E’ il fiore della nostra stirpe che versa il suo sangue per santificare l’avvenire della nostra Patria. Il Fante! E’ la figura luminosa del popolo italiano, uscito da una trincea e ritorna nel solco, ora armato di spada, ora di martello. La sua storia è un’epopea che continua! Per tale motivo e per questa continuità che si tramanda nei secoli, desidero che l’arco sia costruito con quei massi ciclopici disseminati per chilometri e chilometri intorno a Manduria, massi che costituivano le mura erette in difesa della città messapica. Così, nei millenni passati, come oggi si perpetua la lotta per la libertà, e come quei massi costituirono le mura della difesa, così oggi nella continuità storica essi costituiranno l’arco glorioso eretto alla memoria dei Caduti morti nei millenni per la difesa dell’eterna civilta’. In quelle pietre corrose dai millenni, vivrà ancora l’anima dei gloriosi soldati che si immolarono per la patria, come oggi vibrerà l’ardente spirito dei Caduti, perchè è retaggio di glorie passate e presenti che si onoreranno nella sublimazione del Monumento. Per l’erezione di quest’arco occorreranno all’incirca una settantina di massi, da recuperare tra quelli disseminati, appunto, lungo le campagne, non già da togliersi dalle mura. Dietro l’ara è stato progettato un altare dove saranno celebrate le messe per i Caduti, mentre sul davanti dell’ara stessa verranno sottoscritte le seguenti parole: “POST FATA RESURGAT” – Manduria ai suoi Caduti”,

Al di la’ di qualche considerazione forse un po’ troppo retorica, il concetto dell’erigendo monumento risulta abbastanza chiaro.

 

CONCLUSIONI

Faremmo torto alla  verità se non segnalassimo, in conclusione,  che  il Monumento ai Caduti di  Manduria, così come oggi possiamo ammirarlo, non rispetta pienamente  la volontà dello scultore e progettista  De Bellis.  E questo, sia in relazione alla  concezione originaria (si confronti il bozzetto vincitore del concorso con il risultato finale: mancano addirittura  alcuni elementi scultorei e inoltre nel bozzetto l’opera  risultava di dimensioni piu’ contenute); sia in relazione al  materiale impiegato (l’arco non  fu realizzato con i massi ciclopici provenienti dalle mura messapiche, e la qual cosa, se si  fosse concretizzata, avrebbe rivestito un fortissimo carattere simbolico, come era nell’idea di De Bellis); sia, infine, in relazione al contenuto dell’epigrafe dedicatoria. Su quest’ultima ci fu, prima dell’inaugurazione dell’opera,  una serrata discussione tra i rappresentanti delle forze politiche (ottobre 1966), che convennero poi, adducendo varie motivazioni (alcune  francamente  curiose )sull’attuale testo, che nulla ha a che vedere  con le parole in origine scelte da De Bellis. E non era, quella dell’epigrafe, una questione secondaria: nelle sue parole  si condensava il significato autentico  dell’intero monumento, che doveva essere pressappoco il seguente “La società risorga dopo i destini avversi” (Post fata resurgat), del tutto cancellato  in favore dell’attuale  “Manduria civile ai suoi caduti per la liberta’ nella pace “.

 

 

[ Dobbiamo qui  ringraziare quanti hanno agevolato il nostro lavoro di ricerca: il Dott. Vincenzo Dinoi, per aver concesso l’autorizzazione alla consultazione dei documenti; la Dott.ssa Carmelina Greco, per averne  facilitato la riproduzione fotografica (eseguita in gran parte dall’amico Ivan Pinto); il Dott. Gregorio Dinoi e il Maresciallo Leonardo Stano per l’aiuto fornito nel reperimento del fascicolo; il Maresciallo Girolamo Libardi per averci consentito di effettuare un sondaggio nell’Archivio della locale sezione dei Combattenti e Reduci.]

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Un commento a “Post fata resurgat”. La travagliata storia del monumento ai Caduti di Manduria

  1. Mi piacerebbe conoscere le motivazioni, “curiose” e non, che hanno fatto maturare la fatidica, è il caso di dire, decisione. E quest’aggettivo me lo ispira con quel “fata” la stessa iscrizione, che non è altro che l’adattamento del motto dell’araba fenice, il mitico uccello che risorgeva dalle sue ceneri, immortalato, più di quanto non fosse già stato, dall’ironico metastasiano “che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”.
    Il motto originale dell’araba fenice è “Post fata resurgam” (Dopo la morte io risorgerò), in quello del monumento l’autore ha sostituito (consapevolmente!) la prima persona singolare del futuro indicativo (resurgam) con la terza del congiuntivo di valore ottativo (resurgat=egli risorga/egli possa risorgere), che esprime felicemente un augurio ma nello stesso tempo una dubbiosa aspettativa, contrapposti alla orgogliosa, egotistica certezza dell’ originario indicativo.

    Il cambiamento risulta per i miei gusti indigesto almeno per i tre motivi che seguono.

    1) non si è rispettata la volontà dell’artista ma è prevalsa quella del “committente”. Qualcosa di simile capitò a Luigi Cepolla, il progettista dell’obelisco di Porta Napoli a Lecce. In un opuscoletto in cui descrive la sua opera, uscito a monumento già costruito, lamenta pubblicamente l’assenza dell’epigrafe prevista, il cui testo presenta notevoli discordanze con quello attualmente leggibile e che, evidentemente, fu apposto successivamente.

    2) la nuova formula esprime in modo banale e, tutto sommato, meno pregno di significato il concetto che l’artista intendeva celebrare e la cui delucidazione, a scanso di equivoci e di bizzarrie interpretative, ha inteso lasciare.

    3) si è persa una buona occasione per mantenere vivo il ricordo del latino, oltre che, sia pur indirettamente, dei miti, anche in considerazione del fatto che oggi in genere raramente si riesce a comprendere il senso di una frase (in italiano!) che abbia qualche altro componente oltre al soggetto e al verbo e, dunque, bisognerà che qualcuno avanti negli anni spieghi ai più giovani che dovessero fermarsi a leggere l’attuale epigrafe che cosa essa significa. Tanto valeva mantenere la parte in latino …

    Non credo, poi, che la decisione sia maturata per il fatto che il motto originale (ripeto originale), essendo noto (?), apparisse già inflazionato o per evitare la connessa accusa di plagio, sia pure parziale, da parte dei comuni napoletani di Torre del Greco e Castellammare di Stabia, di quello modenese di Zocca, di quelli laziale di Formia e di Arsoli, di quello mantovano di Suzzara e, lo lascio per ultimo ad effetto, di quello leccese di Alezio, che il motto dell’araba fenice hanno adottato nel loro stemma pur nella versione che ha sostituito il futuro “resurgam” con il presente “resurgo” (io risorgo). Perché aspettare? Tutto e subito!

    Comunque, c’è di peggio: nelle marche tipografiche antiche dove il mitico uccello è il logo, il motto è “Vivo morte refecta mea. Semper eadem” (Vivo rianimata dalla mia morte. Sono sempre la stessa) o, in una formula mista italiana e latina, “De la mia morte eterna vita i’ vivo. Semper eadem”, per giungere, infine, al solo “Semper eadem”, come se ormai l’incinerazione fosse diventata per il nostro volatile una pura formalità …

    Quest’uccello mi ricorda qualcuno che questa volta, però, dovrebbe essere giunto veramente al capolinea (quello politico, perché non augurerei la morte nemmeno alla morte, anche perché in quanti potremmo solo fisicamente “entrare” su questo pianeta?), ma senza ripartenza …

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