Cantine sociali? C’era chi più di cento anni fa a Nardò aveva le idee molto chiare.

di Armando Polito

La genialità che gli altri popoli, per quanto a denti stretti (la Merkel, poi, non apre mai bocca per non mostrare neppure quelli), ci riconoscono rappresenta la nostra salvezza ma anche la nostra perdizione. La genialità, infatti, suppone l’individualismo che, nella società globalizzata e nell’estrema parcellizzazione del sapere col conseguente frenetico sviluppo della specializzazione, non si trova a suo agio nell’adattarsi al lavoro di gruppo. Non bisogna, poi, scordarsi del binomio genio-sregolatezza; senza evocare i fumi dell’alcol o di altro o altro, va da sé che il genio per definizione è (e deve essere) sregolato, sia pure nel significato più nobile del termine: senza regole o, più vicino a quello etimologico, lontano dalle regole, da quelle “normali” ma rispettoso di un suo codice morale i cui principi fondamentali non confliggono con i valori che, sia pure solo teoricamente, sono alla base di quelle.

La nostra, scusate la figura etimologica, genetica genialità deve impegnarsi, perciò, ad adattarsi alle nuove sfide senza per questo rinunziare, sarebbe veramente la fine, alla sua creativa originalità. Certo, non è facile, paradossalmente proprio perché ai più fa comodo, ribaltare situazioni consolidate da secoli e liberarsi, per esempio, da quei sentimenti di fatalistica accettazione e rassegnazione che a lungo andare costruiscono il pericolosissimo alibi del vittimismo.

Qualcosa, per esempio, si è mosso in Puglia e nel Salento, in particolare nel settore enogastronomico, sicché oggi i prodotti della nostra terra possono competere tranquillamente con la concorrenza nazionale ed internazionale. In particolare per il vino da decenni, ormai, non siamo più i fornitori di quella materia prima con cui i produttori del resto d’Italia tagliavano, per rinforzarli, i loro deboli vini. Le cantine sociali prima hanno rappresentato un momento di aggregazione e di difesa dei piccoli produttori e singoli imprenditori coraggiosi poi hanno consentito il gran salto. Eppure già nel 1909, cioè quasi trent’anni prima che  fosse fondata la prima cantina sociale a Nardò, c’era , sempre a Nardò, chi si era posto problema e soluzione. E il bello è che costui non era né un agricoltore, né un economista, tanto meno un politico;  era un poeta:  Francesco Castrignanò. E chi sennò? Fa pure rima, ma cominciamo a fare bene i conti. La poesia che ci accingiamo a leggere ha come titolo La Madonna di li Turchi1, il nome di un’edicola (ma Topolino non è in vendita …) oggi periferica, ai tempi del Castrignanò alle porte di Nardò (altra rima …), sulla sinistra dell’incrocio per Leverano per chi viene da Avetrana.

 

 

Il lettore si chiederà che rapporto possa esserci mai tra la Madonna, i Turchi e la cantina sociale, anche se a poca distanza ne venne fondata una successivamente a quella prima ricordata.

Non voglio rovinare tutto anticipando quello che la poesia stessa ci guiderà a scoprire. Vanno dette, però, due cose: la prima è che la cappella venne probabilmente eretta (dopo il  1480, cioè dopo il saccheggio di Taranto, Gallipoli e Otranto?) a seguito di qualche incursione e non necessariamente anche a seguito del rapimento da parte degli incursori di alcune ragazze (riferimento alla Vergine) neretine per rimpolpare (chiedo scusa per l’immagine spudoratamente maschilista …) qualche harem2; la seconda è che i poeti sono i re della metafora. Posso solo anticipare che la Madonna è incolpevole… e passo la parola alla poesia.

Si è compiuto un altro dei miracoli che solo la poesia può fare: riunire in un unico abbraccio il passato, il presente e anticipare il futuro che, nel frattempo, è diventato il nostro presente. Per quanto riguarda, di futuro, il nostro, dato il tema, vale comunque brindare ma intelligentemente (non avevo detto all’inizio che bisogna rimodellare la nostra genetica genialità?), cioè nella misura che consenta per un attimo di tollerare quest’infame presente, più che di dimenticarlo.

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1 Nella seconda edizione di Cose nosce (Leone, Nardò, 1968) è a pag. 11.

2 È questa l’opinione di Giovanni Siciliano in Influssi delle dominazioni sul dialetto di Nardò, in La Zagaglia, anno III, N. 10 (giugno 1961): Nel 1255 si affacciarono i saraceni e nel 1375 in qualche incursione anche i turchi in cerca di fanciulle per il gineceo sultanino, tanto che sulla via per l’Avetrana fu eretta una edicola propiziatrice detta “Madonna dei turchi”. Purtroppo per il 1375 l’autore non cita la fonte.

Non è un caso, poi, che si chiama via Madonna di Costantinopoli quella opposta alla via che porta a Leverano (via Due aie).

3 Vedi

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/25/riflessioni-sulletimologia-di-arneo/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/23/le-macchie-darneo/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/15/il-paesaggio-dellarneo-attraverso-i-segni-e-i-luoghi-dellacqua/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/13/le-amarene-dellarneo/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/04/calcare-e-calcinari-nellarneo/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/06/04/arneo-la-maremma-della-puglia/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/08/06/arneotrek-cronaca-di-unescursione-guidata/

4 Per l’etimo vedi la nota 29 in https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/03/28/lunes-dla-marenda-e-pascaredda-torino-chiama-nardo-risponde/

5 Corrisponde all’italiano appesi. Per l’etimo di ‘mpisu vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/05/11/mpisu-un-participio-passato-attualissimo/

6 Due testimonianze antiche sulla vocazione agricola di Nardò:

Leandro Alberti, Descrittione di tutta Italia, Giaccarelli, Bologna, 1550, pag. 214: …la città di Nardo molt’antica, da Tolomeo detta Neritum, la quale è molto civile, ricca & di popolo ben piena. Tiene un bello vago, & abondante territorio, ornato d’aranzi, limoni et di grande selve d’olivi, & di belle vigne.

Antonio De Ferrariis (Galateo), De situ Japygiae, Perna, Basilea, 1558, pagg. 112-113: Haec urbs in apricis campis aquarum minime indigentibus iacet. Caelum habet saluberrimum, & solum circa urbem non madidum, sed laetum & pingue, & olerum, & frugum supra sidera feracissimum: cunctarum rerum quas terra gignit, satis proveniens (Questa città [Nardò] giace in soleggiati niente affatto poveri di acque. Ha un clima molto salutare e il terreno attorno ad essa non umido ma fertile e grasso e fecondissimo di verdure e di frutti al di là delle stagioni: abbastanza fornito di tutto ciò che la terra fa nascere).

7 Corrisponde all’italiano accattare=chiedere in elemosina, dal latino ad+captare=prendere, intensivo di càpere; la corrispondenza, però, è di natura formale perché qui i ruoli risultano invertiti e il percettore dell’elemosina è il povero venditore di uva …

8 In senso traslato a poco prezzo. Il grano ai tempi del Castrignanò non era più in circolazione da un pezzo. Anche oggi il femminile grana (dal latino grana, neutro plurale di granum=grano) è usato come sinonimo generico di soldi.

9 Pure qui il Catrignanò sembra precorrere i tempi: camorra, ndrangheta e mafia non sono più prerogativa del sud ma nord e centro sembrano aver superato il maestro …

10 Il Rohlfs non propone nessun etimo; secondo me è da s-(dal latino ex)+carza=parte bassa della guancia o alta del collo; carza, sempre nel dialetto salentinoè anche la branchia del pesce e la voce ha dato vita al verbo in uso riflessivo scarzare (sta mmi scarzu=mi sto sgolando). In scarzare la s– (sempre dal latino ex) ha un valore chiaramente privativo (=mi sto privando della gola, della voce); credo che questo valore (l’altro sarebbe quello intensivo, ma è da escludere) valga, sia pur in forma più ridotta, per scarzone (il ceffone non è che faccia scomparire la guancia ma, comunque, la danneggia e, se dato con troppa energia, potrebbe pure compromettere la funzionalità della mascella …).

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