Un profilo di Luigi Massimo Grande

 

di Lorenzo Madaro

Uno studio giovanile 3
Uno studio giovanile

Tra gli artisti di Terra d’Otranto attivi tra Otto e Novecento quasi misconosciuti – probabilmente per la mancanza di un’ampia fortuna critica rispetto ai contemporanei più celebri, e per l’assenza di un sostanzioso corpus di opere – vi è Luigi Massimo Grande, nato a San Pietro in Lama il 23 ottobre 1871 da «Don Oronzo Grande fu Antonio di anni Cinquatotto di professione proprietario domiciliato in San Pietro in Lama [e da] Donna Filomena Cagnazzo fu Vito»[i].  La vicenda biografica e artistica di Grande è stata prontamente registrata dallo studioso Amilcare Foscarini nel suo manoscritto Arte & Artisti di Terra d’Otranto, anche se va riconosciuto che il primissimo riordino biografico si deve a Colamussi che, in un articolo apparso su “La Gazzetta del Mezzogiorno” nel novembre 1933, a cinque anni dalla morte dell’artista, ha tratteggiato gli essenziali momenti della sua esistenza[ii]. Sia Colamussi, che Foscarini – e di seguito tutti gli altri autori che si sono occupati dell’artista –, l’hanno chiamato Grandi e non Grande, come invece risulta dal suo atto di nascita; d’altronde è lo stesso Luigi a firmarsi con continuità Grandi solo dopo il 1892, visto che a questa data risale un ritratto di Angelantonio Paladini firmato, appunto, Luigi Grande.

Foscarini all’inizio della sua biografia fa immediatamente riferimento alle radici culturali e visive dell’artista, asserendo che «non è esagerazione il dire che, forse, nella stessa sua patria, schiuse l’animo suo sensibile allo studio di quelle due arti nelle quali dette prove della sua genialità.

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Uno studio giovanile

Chi sa, giovanetto, quante volte ebbe agio di penetrare nello Stabilimento di ceramica che un nobile gentiluomo leccese vi aveva fondato e che una vera tempra di artista degnamente dirigeva. Tra statue in creta, tra’ vasi dipinti e circondati da fiori, tra quelle colonne scanalate in creta e dipinte color bronzo, tra’ mille gingilli che la valentia del direttore vi faceva eseguire, l’occhio suo spaziava fra quelle, per lui, meraviglie e ne traeva alimento pel suo spirito»[i]. Naturalmente lo studioso leccese si riferisce alla Manifattura Paladini, dove evidentemente Grande ha appreso la prima formazione nel disegno e nella decorazione della ceramica che, come si scorgerà, risulterà il biglietto da visita necessario per l’accesso all’insegnamento nella scuola d’arte applicata alla ceramica di Castelli, in Abruzzo.

Uno studio giovanile
Ancora uno studio giovanile dell’artista

Quella che Foscarini propone come una sorta d’ipotesi – ovvero la frequentazione della Manifattura Paladini – è un dato da ritenere certo; il citato ritratto di Angelantonio eseguito da Grande (Lecce, coll. privata), testimonia una vicinanza con la famiglia Paladini, e l’intercessione dell’onorevole Bernabei – già in contatto con  Paladini nel 1878, anno in cui la manifattura ha partecipato alla mostra internazionale di Parigi[ii] – per l’incarico d’insegnamento nella scuola di Castelli, ribadisce un rapporto diretto con quel «nobile gentiluomo leccese». A prescindere da questi elementi, è chiaro che all’epoca un ragazzo di San Pietro in Lama con il talento per l’arte non poteva non avvicinarsi a quella straordinaria fucina di creatività e ingegno che fu la Manifattura Paladini, all’interno della quale, negli anni, sono passati e si sono formati talenti dello spessore di Giuseppe Manzo, Andrea De Pascalis, tra i più autorevoli cartapestai leccesi, e dello scultore, poi trapiantato a Napoli, Francesco De Matteis. Quella, per Grande, fu una vera scuola, e non solo perché lì ha acquisito importanti competenze tecniche, ma per gli stimoli che ha ricevuto, visto che la Manifattura Paladini «non solo divulgò attraverso copie e rielaborazioni la ceramica antica locale, [ma] propose la scultura contemporanea, ma contribuì a introdurre il gusto orientalista nel Salento nelle cosiddette “arti minori”, in perfetta sintonia con la vasta e suggestiva fioritura architettonica»[iii].

Scultura
Una scultura dell’artista

A detta di Colamussi la prima opera proposta in pubblico da Grande, siamo nel 1894, è Giosuè che fa scaturire l’acqua dal monte, un pastello esposto, così com’erano soliti fare i pittori del tempo, in una vetrina di un negozio di Lecce. Sono certamente precedenti al suo apprendistato presso la Manifattura Paladini, e quindi da leggere come prime esercitazioni di un adolescente, gli schizzi disegnati a matita su due piccoli album (Lecce, collezione privata) che testimoniano un interesse verso la ritrattistica, anche se non mancano altri soggetti come caricature, puttini e immagini sacre, oltre che esercitazioni di calligrafia, una disciplina allora molto ammirata. Appunti visivi, schizzi veloci che dimostrano dimestichezza con il disegno, ma al contempo, anche se non in tutti i casi, una certa difficoltà del giovane nell’impostazione e nella resa delle anatomie. Sono degne d’interesse le teste virili conservate in questi due album; si tratta di disegni che dimostrano un’espressività notevole nella resa dei tratti del viso, gli stessi che ritroveremo in un gesso, eseguito probabilmente nei primissimi anni del Novecento, conservato a Lecce presso una collezione privata. Sono evidentemente esercitazioni, non a caso in alcuni fogli si scorgono più soggetti sulla stessa facciata; in uno di questi, oltre a un putto visto di spalle, Grande ha disegnato un giovane dai lineamenti molto caratterizzati e dai ciuffi ribelli; forse uno dei suoi primi ritratti.

Sicuramente insoddisfatto delle possibilità che il territorio era in grado di offrire a un giovane artista, e probabilmente per la volontà di proseguire la sua formazione presso un istituto artistico qualificato – evidentemente qualcuno, può darsi lo stesso Paladini, gli aveva suggerito di conseguire un titolo accademico per inseguire la strada dell’insegnamento –, Grande decide di stabilirsi altrove e tentare la fortuna, come d’altronde avevano fatto o stavano per fare molti altri giovani artisti conterranei.

Al 1898 – all’età di ventisette anni – risale il suo trasferimento a Roma; qui s’iscrive ai corsi di decorazione plastica del Museo Artistico Industriale (M.A.I.), una tappa fondamentale per chi all’epoca intendesse studiare e approfondire il “mestiere” dell’artista; nell’istituto, inaugurato nel 1873 per «raccogliere i prodotti delle arti industriali»[iv], «l’attività [degli allievi] fu […] soprattutto diretta al recupero e alla conservazione di un lessico desunto dalla tradizione classica, così presente in tutti i circuiti della cultura ufficiale e in particolar modo a Roma, neo capitale e città guida e custode del patrimonio culturale nazionale»[v]. È quindi palese che all’intero di questo istituto non abbia ricevuto stimoli particolarmente innovativi, ma insegnamenti rigorosamente legati allo studio dei canoni basilari della scultura, della pittura e del disegno. Al M.A.I. insegna un autorevole scultore salentino, Eugenio Maccagnani (Lecce, 1852 – Roma, 1930)[vi] che, da quanto testimonia Colamussi, gli procura un sussidio economico dal Consiglio Provinciale di Lecce[vii]. Nonostante l’apprezzamento di Maccagnani, Grande si lega piuttosto a un altro maestro allora attivo nella capitale, Valerio Laccetti (Vasto, 1836 – Roma, 1909)[viii] – a sua volta allievo di Filippo Palizzi –, che ha influito certamente per quell’attenzione costante al paesaggio campestre, così profondamente analizzato da Grande soprattutto intorno agli anni Venti, e per una forte dose di incoraggiamento se, come riportato da Colamussi, asserì che «i suoi lavori di pittura e di scoltura sono fatti con gran criterio d’arte e con molta accuratezza»[ix].

Durante la permanenza romana, Grande frequenta poi la Scuola libera con “modello vivente” annessa al Regio Istituto di Belle Arti, dove perfeziona le sue competenze nel campo della ritrattistica, il tema prediletto della sua prima attività, anche se il citato ritratto di Paladini (1892) già rivela ottime doti da ritrattista.

Ritratto di Vincenzina Caretti
Ritratto di Vincenzina Caretti

Sono gli anni in cui si distingue come autore di ritratti «somiglianti» e «riuscitissimi», come quello che effigia il Duca Sigismondo Castromediano (1897) realizzato con pastelli su carta (oggi a Lecce in una collezione privata) e i ritratti del colonnello Bellisario Colamussi e della moglie, Vincenzina Caretti, che dimostrano un’aderenza quasi fotografica al soggetto, in linea con certa ritrattistica del tempo che nello stesso Salento troverà ampio riscontro nell’attività di artisti come, per esempio, Realino Sambati.

Ritratto di Paladini
Ritratto di Paladini

Per Grande segue un periodo di temporaneo ritorno nella sua terra, dove tra il 1901 e il 1902 espone alcuni pastelli a Lecce. Nel 1906, probabilmente per i “soliti” motivi legati alla mancanza di buone prospettive lavorative, rientra a Roma e su proposta di Raniero Mengarelli, direttore del Museo di Villa Giulia, restaura alcuni stucchi antichi lì conservati. In questo periodo esegue poi i busti di Costanza, Ricciotti, Bruno e Costante Garibaldi, allora ospitati, insieme ad alcuni suoi pastelli, nella raccolta d’arte di Costanza Garibaldi. Nella sua produzione legata al ritratto, vanno poi annoverati: il busto di gesso dell’avvocato salentino Nicola Bruni e il Busto di un Giovine ungherese. Foscarini, citandolo, definisce quest’ultimo superbo, e lo stesso Colamussi – cui è appartenuta l’opera da individuare con certezza con la scultura oggi conservata in collezione Lorenzo Carlino a Lecce – dimostra di apprezzarla molto. Il Busto di un Giovine ungherese è stato esposto a una biennale romana e ed è stato recensito sulle colonne del “Messaggero”; per Colamussi era l’opera più amata dallo stesso artista, magari per «il particolare incanto ottenuto con la figura che nel fresco sorriso della giovinezza coglie l’ombra imminente della morte»[x].

Grande - paesaggio
Paesaggio

In seguito Grande è chiamato a insegnare disegno presso la “Scuola di Arte applicata alla Ceramica” di Castelli, in provincia di Termoli[xi], su proposta del già citato onorevole Bernabei, presidente del consiglio direttivo. Qui dal 1906, anno del decreto del Ministero di Agricoltura Industria e Commercio[xii], si dedica con impegno alla didattica riscuotendo ampi consensi, ma la permanenza abruzzese dura poco visto che nel 1909 torna definitivamente nel Salento. Dimora a San Cesario di Lecce, presso la sorella, e insegna per un breve periodo alla Regia Scuola Artistica-Industriale “Gioacchino Toma” di Galatina[xiii], fino a ritirarsi definitivamente dal mondo dell’insegnamento per dedicarsi all’attività artistica.

Nel 1921 partecipa, accanto a Cesare Augusto Lucrezio, Agesilao Flora, Pietro Baffa e altri esponenti della scena artistica regionale, alla Mostra di Artisti Pugliesi ordinata nel Regio Museo Nazionale di Taranto, dove espone ben undici dipinti raffiguranti dei paesaggi pugliesi[xiv]. È proprio il tema del paesaggio a interessare l’artista in questi anni. A giudicare dalle recensioni e dai cataloghi delle mostre cui partecipa dal 1921, in questi anni sembra che abbia tralasciato l’interesse per la scultura per dedicarsi pienamente alla ricerca pittorica.

Dalle opere, tutte databili intorno agli anni Venti, visionate in alcune collezioni private, emerge un’attenzione costante, quasi ossessiva, per il paesaggio. Dipinti e pastelli, di grandi e piccole dimensioni, eseguiti su supporti diversi – dalla tela, alla carta, alla faesite –, in cui ritornano, con più o meno differenze, le stesse porzioni di paesaggio. Grande schiva una visione molto rigogliosa del paesaggio salentino, scansa attentamente luoghi riconoscibili e, in linea probabilmente con un carattere riservato, si sofferma su angoli misconosciuti, forse addirittura inventati e mixati, a metà strada tra la visione intima e la riproduzione cartolinesca. La costruzione del dipinto è relativamente semplice. Spesso in primo piano campeggiano due o più alberi – Grande ha una predilezione per i mandorli in fiore –, che scandiscono il ritmo dell’inquadratura e della resa del resto del panorama. Non c’è attenzione per i particolari e, a differenza dei citati ritratti a pastello realizzati a cavallo tra Otto e Novecento, l’artista rinuncia ai margini ben definiti per abbandonarsi a un controllato, ma al contempo intenso, rapporto con la natura. In secondo o terzo piano il più delle volte tratteggia con pochi colpi di colore dei caseggiati semplici, quelli della tradizione contadina, per poi far emergere alcuni frammenti di vegetazione con segni solcati con la punta del pennello. È un dialogo perpetuo con la natura, qualcosa di molto privato e intimo. Ma è anche uno studio continuo, un vero e proprio confronto, come si evince da una serie di dipinti a olio su faesite di piccole dimensioni, conservati in una raccolta privata, in cui si ravvisa anche un gusto per le colorazioni rosate, cromìe quasi inedite per la pittura salentina di paesaggio e invece per lui fondamentali.

Paesaggio
Paesaggio

Talvolta, come nel Grande paesaggio (Lecce, coll. privata), la composizione si fa più complessa, ma sempre sotto la “guida” di uno studio cromatico; sono difatti i colori – tracciati con piccole pennellate rapide – e i segni del pennello che, sostituendo il disegno, scandiscono le porzioni di vegetazione, gli arbusti grandi e piccoli, e definiscono sinteticamente la prospettiva dei caseggiati che si stagliano sullo sfondo a contatto con un cielo così dinamico e gravido di sussulti da ricordare quelli di Giovanni Segantini. Rimane la luce l’interesse predominante dell’artista in questa serie di paesaggi che – pur ricordando la campagna salentina, come si legge anche in alcune “cronache” degli anni Venti – potrebbero ricordare anche la campagna abruzzese, quella osservata durante la sua permanenza del 1906-1909.

Non è forse l’Impressionismo, la base su cui Grande ha improntato la sua ricerca sul paesaggio sotto il profilo formale e stilistico? Naturalmente meditato e rielaborato, per certi versi anche combinato alle sue radici visive e culturali, in altre parole l’Ottocento napoletano assorbito dai Paladini a San Pietro in Lama e in seguito a Roma sotto la guida del pittore Valerio Laccetti. È naturalmente Roma l’unico centro più aperto alle tangenze contemporanee da lui visitato, prima del definitivo ritorno in patria, il teatro in cui lui viene in contatto con le “novità” dell’Impressionismo e del Post Impressionismo. Non sono forse Pierre Bonnard o Vincent Van Gogh due probabili punti di riferimento? Si pensi agli Albicocchi in fiore del 1888 di Van Gogh, oggi ad Amsterdam. Naturalmente Grande non raggiungerà mai quei risultati di estrema sintesi formale e non proporrà mai quell’energia così palpabile, anche sotto il profilo cromatico, dei dipinti dei due artisti citati, ma questa è probabilmente una delle chiavi di lettura per comprendere le sue opere. C’è stato poi – e mi riferisco a Pietro Marti – chi ha proposto un altro tipo di legame con la pittura francese dell’Ottocento. Nel 1924, in occasione della I Mostra d’Arte Salentina di Lecce, passando in rassegna gli artisti presenti in mostra – da Raffaele Maccagnani a Mario Palumbo e Rita Franco – a proposito della presenza di Grande, Marti ha asserito, infatti, che «un artista che passava quasi inosservato era Luigi Grande; e ciò costituiva una ingiustizia, perchè a parte la tecnica quasi divisionista e la uniformità cromatica dei cìeli e dei piani nei suoi paesaggi si notava un completo trionfo di luce ed un sicuro studio della prospettiva. E poi, nelle sue tele vi erano due note caratteristiche: la sincera visione dell’ambiente, e la spontanea rivelazione del carattere personale. Siamo certi che il Grande saprà prendersi presto o tardi la rivincita»[xv].

Prendendo in considerazione la produzione pittorica analizzata, l’artista s’inserisce a pieno titolo nell’alveo della pittura di paesaggio di Terra d’Otranto. A tal proposito Antonio Cassiano ha osservato che «scegliendo il paesaggio salentino come protagonista, [gli artisti] non correvano alcun pericolo di perdita di identità culturale», aggiungendo, a proposito di Grande, che il suo paesaggio è proposto con «manierata ripetitività»[xvi]. Questa «ripetitività» è una ricerca perpetua, uno studio continuo. Oltre agli aspetti cromatici – i suoi rosa non esistono nel paesaggio salentino –, e all’utilizzo del segno inciso sulla superficie dell’opera, nei dipinti abbandona il descrittivismo fine a se stesso, evita di soffermarsi su inutili particolari, come invece aveva fatto nei ritratti giovanili, e, soprattutto, ignora totalmente la presenza umana e la vita che dovrebbe scorrere in quei campi. Questo non vuol dire che sublimi il paesaggio per farlo divenire una sorta di luogo mitico lontano dalla realtà; quella di Grandi, anzi, è un’indagine sulla “sua” realtà, e in tal senso pare che faccia propria l’idea di Francesco Netti, ovvero che il compito dei pittori dell’epoca «era far di una tela una finestra dischiusa sui campi»[xvii].

Il paesaggio diviene per Grande il “soggetto” da proporre in tutte le mostre collettive di questi anni, dove certamente ha avuto un bel riscontro in termini di collezionismo, visto che si trattava di opere abbastanza appetibili. Nel 1925 partecipa alla III Mostra Biennale di Gallipoli con otto dipinti a olio: sei Paesaggi, Mandorli in fiore e Pergolato che suscitano un discreto interesse di Elia Franich, organizzatore della mostra, che si limita difatti a citare «otto quadretti dalla caratteristica tecnica miniata e il tono lilla favorito»[xviii], cinque dei quali sono oggi conservati in una collezione privata leccese. Con la partecipazione alla II Biennale di Lecce del 1926, accanto a Giulio Pagliano, Antonio Bortone, Gennaro Fantastico e altri, Grande termina la sua attività espositiva[xix]. Due anni dopo, il 12 marzo, muore a San Cesario di Lecce.

Da questo momento, se non fosse per la presenza di una sua opera alla Mostra d’Arte Salentina ordinata nel 1946 dall’Associazione della stampa – Paese, un dipinto a olio, è presentato nella sezione “Retrospettiva” accanto alle opere di Francesco De Matteis, Luigi Guacci, Stanislao Sidoti, Gioacchino Toma e di altri maestri scomparsi –, nella pubblicistica salentina e nell’attività espositiva del territorio si perdono le tracce dell’artista. La “rivincita” di Grande, auspicata nel 1924 da Pietro Marti, è un fatto recente e, per ora, episodico. Si deve alla recente mostra Arte in Terra d’Otranto tra Otto e Novecento, ordinata negli spazi del Museo Provinciale “Sigismondo Castromediano” di Lecce, la “riscoperta” dell’opera di Luigi Grande. All’interno di questa ampia rassegna sono stati proposti sei suoi paesaggi di medie dimensioni dipinti tra il 1916 e il 1928 e, per l’occasione, Michele Afferri ha redatto una biografia, ricca di rinvii all’emerografia dell’epoca, dedicata al maestro nativo di San Pietro in Lama[xx].


[i] A. FOSCARINI, Luigi Grandi, in Arte e Artisti di Terra d’Otranto tra medioevo ed età moderna (Lecce Bibl. Prov. «N. Bernardini», Sez. Mss, ms n.329), a cura di P.A. VETRUGNO, Edizioni del Grifo, Lecce 2000, pp. 29-31.

[ii] Bernabei è autore di una positiva recensione dell’attività della Manifattura Paladini. Cfr. F. BERNABEI, Ceramica, in catalogo dell’Esposizione del 1878, Relazione dei giurati italiani, Roma 1879, p. 4. Il volume è citato da I. LAUDISA, “Capitani d’industria” nel Salento post – unitario, (ceramica, cemento e cartapesta), in Fiscoli e muscoli, Archeologia industriale nel Salento leccese, testi di AA.VV., Capone, Lecce 1998, che ringrazio.

[iii] Cfr. I. LAUDISA, “Capitani d’industria”…cit.

[iv] G. RAIMONDI, Un regesto del M.A.I. tra storia e cronaca, in del M.A.I., Storia del Museo Artistico Industriale di Roma, a cura di G. BORGHINI, introduzione di G. Muratore, Istituto Arti Grafiche Mengarelli, Roma 2005, p. 37.

[v] G. RAIMONDI, Le opere e i giorni, in del M.A.I.…cit., p. 74.

[vi] Per biografia e riferimenti bibliografici essenziali sull’artista cfr. M. TENI, Eugenio Maccagnani (1852-1930), in Artisti salentini dell’Otto e Novecento. La collezione del Museo Provinciale di Lecce, a cura di A. CASSIANO, R&R Editrice, Matera 2007, pp. 135-136.

[vii] F. COLAMUSSI, Luigi…cit.

[viii] Cfr. La Pittura in Italia. L’Ottocento, tomo 2°, Electa, Milano 1990, pp. 876-877.

[ix] Il giudizio è riportato da F. COLAMUSSI.

[x] Cfr. F. COLAMUSSI, Luigi…cit.

[xi] Sull’istituto cfr. G. BAITELLO, La Regia Scuola d’arte ceramica Francesco Grue di Castelli, Le Monnier, Firenze 1942. Ringrazio Lorella Ranzi della biblioteca del Museo internazionale delle ceramiche di Faenza per avermi messo a disposizione il volume.

[xii] A. FOSCARINI, Arte…cit., p. 127.

[xiii] Sull’istituto cfr. R. D’AMBROSIO, G. CONGEDO VANTAGGIATO, La R. Scuola d’Arte G. Toma di Galatina, Le Monnier, Firenze 1942.

[xiv] Cfr. Mostra di Artisti Pugliesi, catalogo della mostra (Taranto, R. Museo Nazionale, febbraio-aprile MCMXXI), s.n.t., Taranto 1921, p. 8.

[xv] P. MARTI, Prima mostra salentina di arte pura e applicata, in “Fede”, a. II, Lecce 30 novembre 1924, p. 269. Sulla mostra cfr. T. GENOVESI, Note ed appunti sulla I Mostra d’Arte Salentina in Lecce, catalogo della mostra (Lecce, 1924), Lecce 1924, pp. 10-11; ELLENIO [P. MARTI], Prima Mostra Salentina d’arte pura ed applicata in Lecce, in “Fede”, a. II, Lecce 31 agosto 1924, p. 219. Per una contestualizzazione di questa e delle successive mostre citate e della situazione culturale in cui hanno operato gli artisti nominati si rinvia a I. LAUDISA, Arte, in Profili produttivi delle Province Italiane, Bari, 1981, pp. 267-327.

[xvi] A. CASSIANO, La pittura, in Arte in Terra d’Otranto tra Otto e Novecento, catalogo della mostra (Lecce, Museo Provinciale “S. Castromediano”, 9 dicembre 2007 – 31 marzo 2008), a cura di A. CASSIANO, M. AFFERRI, R&R Editrice, Matera 2007, p. 10. Sulla pittura di paesaggio in Puglia cfr. P. MARINO, Il luogo e la contrada. Arte e natura in Puglia. 1950/1990, Edizioni Laterza, Roma-Bari 1990.

[xvii] F. NETTI, Scritti critici, antologia a cura di L. Galante, De Luca, Roma 1980.

[xviii] Cfr. E. FRANICH, L’arte pugliese alla mostra di Gallipoli, in III Mostra Biennale d’Arte moderna in Gallipoli, catalogo della mostra (Gallipoli, 1925), Premiata Tipografia Guido, Lecce 1925, p. 4. Sulla mostra cfr. Amatori d’Arte Gallipoli. III Mostra d’Arte, depliant della mostra, s.n.t., s.l., s.d. [ma 1925], p. nn. [ma 5]. Cronache d’arte e di cultura. Esposizione d’arte in Gallipoli, in “Fede”, a. III, n. 10, Lecce, 5 luglio 1925, p. 156. La III Mostra d’arte a Gallipoli, in “Corriere Meridionale”, a. XXXVI, n. 28, 6 agosto 1925. La Terza Biennale d’Arte Moderna in Gallipoli, in “Fede”, a. III, n. 11, Lecce 13 agosto 1925, p. 173.

[xix] Cfr. II Biennale Leccese d’Arte Pura ed Applicata, catalogo della mostra (Lecce, agosto-settembre MCMXXVI), Lecce 1926; La II Biennale Leccese, in “La Voce del Salento”, a. 1, n. 29, Lecce 28 agosto 1926, p. 1. La II Biennale Leccese, in “Corriere Meridionale”, a. XXXVII, n. 34, Lecce 30 settembre 1926.

[xx] Cfr. M. AFFERRI, Luigi Grandi (San Pietro in Lama 1871–San Cesario di Lecce 1928), in Arte in Terra d’Otranto…cit., pp. 76-77. Ringrazio Michele Afferri per alcuni suggerimenti concernenti la vicenda biografica di Grande. Un sintetico e recente profilo biografico dell’artista (sprovvisto di apparati iconografici) inserito in un excursus sugli scultori di Terra d’Otranto attivi tra Otto e Novecento, si rintraccia in M. GUASTELLA, Scultori in Terra d’Otranto delle generazioni del secondo Ottocento, in Raffaele e Giuseppe Giurgola, “tradizione salentinità ironia”, a cura di L. PALMIERI, introduzione di L. Galante, Editrice Salentina, Galatina s.d. [ma 2010], p. 35. L’excursus di Guastella è stato ripubblicato, con qualche modifica, nel suo Edgardo Simone Scultore (1890-1948), Congedo, Galatina 2011.

 

 

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