Terra d’Otranto e Terra di Bari: due Dop a confronto

di Mimmo Ciccarese

 

OlioSalvo che non si avesse il titolo di assaggiatore ufficiale, riconoscere al palato senza tecniche di conoscenza di base la provenienza di un olio d’oliva non è per nulla semplice.

Percepire pregi e difetti, e aver poi la facoltà di descriverne differenze o sensazioni, è un dono di pochi; è quasi come avere un buon orecchio musicale. L’armonia del gusto di un olio extravergine d’oliva, si potrebbe descrivere quando si riesce a risolvere con decisione l’amaro, il dolce, il piccante o rilevare tutti gli aromi possibili. La qualità di un olio, in ogni caso, giunge proprio dalla sua terra, dal suo produttore oltre che da una moltitudine di elementi che lo caratterizzano. Con le moderne tecniche produttive e una sana dose di passione, la capacità di estrarre buoni requisiti da una normale oliva è universale ma è di solito condizionata dall’andamento stagionale.

La razionalità e le misurazioni tecniche nel campo olivicolo sono ormai una prassi consolidata che riesce a estrarre dall’obbligo delle buone regole un motivo di sostentamento per migliaia di aziende. Un tappeto di varietà, quindi, disteso su migliaia di ettari, disciplinate da diverse denominazioni d’origine protetta tra cui due importanti: la Dop “Terra d’Otranto” diffusa nel Salento e la Dop “Terra di Bari” con le sue diverse menzioni geografiche.

Sono territori a forte esperienza produttiva in cui singoli produttori e le decine di associazioni olivicole spesso competono tra loro per aggiudicarsi il premio per la migliore produzione.

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Allora, se i propositi sono gli stessi, cosa restituisce la diversità di questi territori? Che cosa dovrebbe preferire un olio rispetto a un altro se non per la soggettività del gusto o per un semplice campanilismo.

Le varietà che nel Salento sono caratterizzate prevalentemente da Ogliarola Leccese e Cellina di Nardò, e nel Barese da Coratina, Cima di Bitonto o Ogliarola Barese, possono riservare molteplici sorprese e la possibile fusione dei blend possono perfino creare sapori non identificabili neanche dai più raffinati panel. Con tali varietà, l’olio barese e quello leccese sono prodotti che derivano da due terre a confronto, con aspetti apparentemente simili, ma con sistemi d’impianto e mentalità produttive nettamente diverse. Paesaggi e gusti varietali non paralleli anche nell’analisi dei loro disciplinari di produzione; Dop che dovrebbe garantire, all’atto dell’immissione al mercato, standard come colore, sapore, acidità, punteggio al panel test, numero di perossidi o quantità di trigliceridi.

Ad esempio, nel Salento un olio Dop extravergine che riguarda le varietà Cellina e Ogliarola leccese dovrebbe essere di colore verde o giallo con riflessi verdi dal sapore fruttato con una leggera sensazione di piccante e di amaro.

Nel barese, invece, la Dop disciplina, se si tratta di varietà Coratina, un colore giallo oro con riflessi verdi, odor di fruttato medio o leggero, con sapore di frutti, sensazione di erbe fresche e sentore delicato di amaro e piccante, come nel caso della Cima di Bitonto, dell’Ogliarola barese o della Coratina. Per la menzione geografica “Murgia dei Trulli e delle Grotte un fruttato con sensazione di mandorle fresche e leggero sentore di amaro e piccante è tipico della Cima di Mola.

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Con un’acidità massima totale espressa in acido oleico, in peso, non superiore a grammi 0,8 per 100 grammi di olio la qualità è quasi una certezza; ma ciò non è ancora sufficiente nella nostra attenta valutazione. All’opposto, il numero dei perossidi è un parametro rilevante per la qualità dell’olio extravergine di oliva; esso misura proprio la concentrazione, appunto, di queste sostanze che si sviluppano in seguito all’ossidazione dei radicali degli acidi grassi che costituiscono i trigliceridi. Il numero di perossidi aumenta come l’acidità negli oli derivanti da olive deteriorate da eventi climatici o parassitari, da olive trasportate, stoccate in cattive condizioni o da moliture irrazionali.

Quello che mette di pari passo e concorda il valore delle Dop è la presenza dei polifenoli che affermano un altro sicuro fattore di qualità. Tali sostanze oltre a influire sulla stabilità di un olio, cooperano attraverso il consumo a combattere i fenomeni ossidativi a carico delle membrane cellulari da cui deriva l’invecchiamento dei tessuti e altri aspetti della salute.

Per la legislazione vigente e per tutte le Dop, un olio extra vergine deve tenere uno standard di perossidi ben stabilito e assieme ad altri parametri di genuità correlati alla presenza di smisurate sostanze come colesterolo, stigmasterolo b-sistosterolo7, trilinoleina, stigmastadieni, e sostanze connesse alla sicurezza come pesticidi fosforati e benzopirene.

Dal complesso mondo olivicolo si rinnova quindi il desiderio di suggerire una sana competitività in direzione di un’altrettanta qualità dell’olio extravergine di oliva che stimoli anche la voglia di degustarlo nel migliore dei modi possibili.

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2 Commenti a Terra d’Otranto e Terra di Bari: due Dop a confronto

  1. Restando in tema col settore olivicolo e degli “”ASSAGGIATORI” che con un cucchiaio assaggiavano l’olio appena uscito dalle presse dei frantoi ed ancora caldo, per definire le qualità e le caratteristiche del prodotto, senza i moderni e sofisticati laboratori chimici, per esaminare l’acidità e le qualità organolettiche.
    Questi personaggi mi fanno ricordare anche gli “”APPREZZATORI”” che, anch’essi dei praticoni, prima delle raccolte delle olive, si recavano negli uliveti per quantificare la quantità delle olive presenti sugli alberi e quindi dell’intero uliveto.
    Ricordo che con attenzione osservavano gli alberi e per non incorrere in errori, ogni tanto raccoglievano dai rami una oliva e la mettevano in tasca, poi alla fine della estimazione conteggiavano tutte le olive raccolte e quantificare i relativi TOMOLI.
    Da tener presente che ogni tomolo comprendeva 33 Kg. di olive e che sei tomoli facevano una tomolata che corrispondeva a circa 200 Kg. di olive sufficienti per riempire la vasca dove giravano le grosse macine di pietra viva per frantumare le olive.
    Questa procedura di estimazione veniva effettuata alla presenza del proprietario e del colono, del mezzadro o di chi era preposto alla raccolta delle olive il quale poi era dovuto a consegnare al proprietario la quantità di olio ricavato dalle tomolate di olive in precedenza stimate.

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