Tra giunchi e ricotte

‘Nc’era nna fiàta la fesca; osce è rrimastu sulu lu fiscu, ma pi lli fiscalìri… (C’era una volta la fiscella; oggi è rimasto solo il fisco, ma per gli stupidi…)

di Armando Polito

La crisi in atto ha tutte le caratteristiche di una vera e propria terza guerra mondiale in cui gli attacchi speculativi (reali o presunti…) hanno la forza dirompente di un missile e non è detto che, a parziale differenza rispetto alla guerra reale, sul terreno non rimanga una schiera immensa di morti…suicidi o di fame. Le esperienze negative, però, hanno il pregio di un potere didattico ed educativo infinitamente superiore ai successi, soprattutto quando questi ultimi sono dovuti non al puro talento personale ma alla furbizia, all’opportunismo, all’ammanicamento col potere, politico, finanziario, religioso; in poche parole, alla schiavitù alle proprie miserie o a quelle altrui. Nel corso poco dignitoso dei suoi millenni di storia la nostra razza ha dovuto toccare più volte il fondo prima di trovare il coraggio di risalire con una vistosa inversione di tendenza nei suoi comportamenti. Appare, perciò, come un fenomeno provvidenziale, anche se doloroso, la recessione che ha colpito il globo e lo è proprio perché globale, il che renderà inevitabile, prima o poi, prendere delle decisioni condivise da tutti perché, anche in prospettiva addirittura immediata, le uniche a ciascuno convenienti. E dovrà essere la fine, pena la nostra, dello sviluppo forsennato rapinatore e assassino dell’ambiente, della cultura, fin qui prevalente, del superfluo, dello spreco, della sola immagine. Tutto ciò avverrà, comunque, se avverrà, in tempi relativamente lunghi e non perdo tempo nell’illudermi che i nostri nipoti potranno gustare una porzione di giuncata o una ricotta appena estratta dal suo letto naturale di una volta.

Non a caso l’immagine in alto riprodotta1 è l’unica (provare per credere) che mostri la ricotta nel suo contenitore di una volta, nella sterminata serie che si visualizza con l’opzione Immagini di Google.

Voglio perdere, invece, e far perdere al lettore un po’ di tempo andando indietro nel tempo (a parte il gioco di parole, è il massimo del sadismo?), quando il pastore si confezionava da solo i contenitori per la ricotta e il formaggio e la stuoietta per la giuncata raccogliendo gli steli di giunco in riva al mare o in zone paludose.

immagine tratta da http://luirig.altervista.org/schedenam/fnam.php?taxon=Juncus+maritimus

 

nome scientifico: Juncus maritimus Lam.

famiglia: Juncaceae

nome italiano: giunco

nome dialettale salentino: sciuncu

La prima parte del nome latino significa (che scoperta!) giunco e maritimus (altra scoperta!) marittimo. Juncaceae, per chi non l’avesse ancora capito, è forma aggettivale da jùncus; giunco è, incredibile!,  dal latino jùncu(m) e lo stesso per sciùncu, con normalissimo esito del gruppo iniziale come, per fare un solo esempio, in sciùu (=giogo) da iùgu(m). Se poi, come pare, jùncus è da jùngere (=unire), abbiamo una perfetta identità tra il sostantivo  e il verbo che ne indica l’azione.

Poi il nostro pastore, anche lui avviluppato dalla tirannia del tempo, cominciò a rifornirsi al mercato utilizzando contenitori, sempre di giunco, fatti da altri. Passò ancora qualche anno e, col trionfo della plastica, stuoiette, fesche e fiscarièddhi assunsero un aspetto (direi una natura e una vita, se di natura e vita si tratta…) diverso, freddo ed esteticamente insignificante, proni ai dettami dell’igiene2 e della Comunità europea…3

immagine tratta da http://www.salentolifeweb.com/blog/2010/11/04/torta-alla-ricotta-fresca-e-limoncello/

La fesca (in italiano fiscella) era riservata di solito al formaggio, la fiscarèddha alla ricotta, come pure lu fiscarièddhu, destinato, però, a contenerne una porzione minore; quest’ultimo, oltre che di giunco, poteva essere fatto anche in rame e la sua superficie interna veniva zincata (anche se si usava il verbo stagnare)  due o tre volte l’anno. Tutte le voci (come pure il fiscolo, sul quale si mette la pasta delle olive appena frante prima della spremitura) derivano dal latino fiscu(m) che già allora aveva esteso il significato di base (cesto) a quello di cassa erariale, padre del nostro fisco. Nel  Brindisino, poi, il derivato fiscalìri è usato come sinonimo di minchione ad Erchie, Francavilla Fontana e Mesagne;  in quello di furbacchione nel Tarantino a Manduria. Per questa voce il Rohlfs non suggerisce etimologia ma mi pare molto evidente che si tratta di una formazione aggettivale eufemistica di fessa (=fesso); quest’ultima voce (per chi non lo sapesse è un sostantivo, sia pur derivato da un participio passato fesso=spaccato), che indica in italiano la vulva, in dialetto si comporta al singolare come un sostantivo mentre l’articolo, quando c’è, conserva il genere del soggetto interessato (lu sire è ffessa/lu sire è nnu fessa; la mamma è ffessa, la mamma è nna fessa); al plurale segue lo stesso destino dell’italiano fesso (li siri so’ ffessi/li mamme so’ ffesse). Da fessa, per un processo analogo a quello di canna>cannale>cannalìre (aggiunta di un doppio suffisso aggettivale) si è passati prima a *fissàle, poi a *fissaliri e, infine, per dissimilazione eufemistica indotta da fesca, fiscalìri. Va detto per completezza che anche fessa ha subito la stessa trasformazione edulcorante nell’espressione la fesca ti màmmata per la fessa ti màmmata. Non deve neppure sorprendere il fatto che fiscalìri possa essere usato in posti relativamente poco distanti tra loro in due significati che sono uno l’esatto opposto dell’altro, e potrei a tal proposito elencare una lunga serie di casi; qui mi preme sottolineare come una volta tanto non ha funzionato il maschilismo linguistico, dal momento che una voce attinente al sesso femminile (fessa) ha assunto un significato offensivo anche per il mondo maschile e, quasi a sanzionare la superiorità finale della donna pure in questo campo (sto già sentendo l’applauso delle femministe…ma non mi tocca più di tanto), addirittura tramite un derivato (fiscalìri), un significato non più (a Manduria) offensivo ma  ammiccante a quella forma moralmente negativa di intelligenza, che pur sempre intelligenza è, che si chiama furbizia.

Fesca, fiscarèddha e fiscarièddhu sono destinati a morire come oggetti e come parole; resterà il fisco per i fiscalìri (come l’intendono a Erchie, Francavilla Fontana e Mesagne e come mi sento nei sussulti di scarsa autostima ai quali sono periodicamente soggetto nella stagione della dichiarazione dei redditi)4.

E pensare che sono nato a Manduria…

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1 Tratta da http://labancaimport.com/tedesco/kaese_de.htm

2 Sarebbe interessante sapere quanti di questi contenitori sono in plastica alimentare e, anche nel caso in cui lo siano, se non rilasciano proprio nessuna molecola nociva alla salute a contatto con le temperature relativamente alte del contenuto; se così non è l’ignaro consumatore rischia non di beccarsi (come nella peggiore delle ipotesi poteva succedere con i contenitori di giunco o materiale affine) il tifo (oggi, comunque, più curabile di ieri) ma (a distanza però di qualche anno o decennio, sta qui la consolazione…) il cancro.

3 Si direbbe che i risultati più brillanti raggiunti dai suoi burocrati (assistiti, come succede in questi casi, da esperti competenti, geniali e di pari onestà…) siano quelli legati alla pezzatura della melanzana pugliese e del cetriolo napoletano, naturalmente tra le grida di entusiasmo dei nostri rappresentanti…

4 Mi auguro che quello recente non passi alla storia col nome di “blitz di Cortina” ma sia solo la prima tappa di un lungo giro da completare e da effettuare ogni anno, e dappertutto, in modo da tappare la bocca a chi parla di “operazione di facciata” e si abbandona alle solite, bizantine e tutt’altro che disinteressate distinzioni tra “merito” e “metodo”.

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2 Commenti a Tra giunchi e ricotte

  1. La creatività linguistica non ha fine! Lungi dal chiamare in causa le femministe ormai, spero, scomparse, c’è da sciogliere le devastanti connivenze di due generi: le fesse (donne o vulve) e i furbi di carattere prevalentemente maschile. A me piacerebbe ritrovare le bellissime fische di giunco (le ricordo quando andavo dalla vicina di casa a prendere il siero per la colazione e la ricotta per un piatto di “spaghetti alla ricotta”! Tempi di semplicità e d’amore genuino come le cose che avevamo il piacere di gustare. E’ sempre interessante e piacevole leggere qualcosa della nostra storia sperando che si possa recuperare se non le “fische” almeno il rapporto con il “fisco” che è colpevole di un drammatico ritardo nello svolgimento del suo onesto lavoro a tutela di chi le tasse le paga fino ad un centesimo. Grazie Armando Polito e buona giornata a tutti!

    • Le fische, fiscareddhe di cui si parla, nonché tutta una serie di articoli nello stesso materiale, per quello che ne so io, venivano prodotti esclusivamente dalle “spurtare” del mio paese Acquarica del Capo. Vedi sito
      http://www.comune.acquaricadelcapo.le.it/citta_territorio/arte-cultura.php
      Come detto nell’articolo di Armando, questi prodotti sono stati soppiantati dall’avvento della plastica. Attualmente, vuoi anche per la difficoltà a reperire la materia prima il giunco, nel mio paese sono rimaste pochissime “spurtare” (compresa la mia mamma) che si dedicano a confezionare soprattutto dei cestini molto fini divenuti ormai degli oggetti d’arte e non già più destinati al loro uso originario. Sull’argomento qualche articolo più completo e didattico non starebbe male, giusto per non perdere le tradizioni o almeno per tenerne traccia.
      Un saluto a tutti gli spigolatori

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